“Esulta grandemente, o figlia di Sion, manda gridi di gioia, o figlia di Gerusalemme; ecco, il tuo re viene a te; egli è giusto e vittorioso, umile, in groppa a un asino, sopra un puledro, il piccolo dell'asina”. Zaccaria 9:9. GDN 429.1
Il profeta Zaccaria aveva annunciato la venuta del Re d'Israele cinquecento anni prima della sua nascita. Quella profezia stava per adempiersi. Colui che per tanto tempo aveva rifiutato gli onori regali, giungeva ora a Gerusalemme come l'erede promesso del trono di Davide. GDN 429.2
Gesù fece il suo ingresso trionfale il primo giorno della settimana. Lo accompagnava la folla che si era raccolta intorno a lui a Betania: tutti volevano assistere al suo trionfo. Molti che erano in cammino verso Gerusalemme per celebrare la Pasqua, si unirono alla folla che seguiva Gesù. Sembrava che tutta la natura si rallegrasse: gli alberi si erano rivestiti di foglie e i fiori diffondevano nell'aria un profumo delizioso. Il popolo sembrava animato da nuova vita e da nuova gioia. Si riaccendevano le speranze della venuta del regno. GDN 429.3
Siccome voleva entrare in Gerusalemme a dorso d'asino, Gesù inviò due discepoli a cercare un'asina con il suo puledro. Alla sua nascita accettò l'ospitalità di estranei e ottenne la mangiatoia nella quale fu deposto. In quest'occasione, nonostante fosse suo tutto il bestiame che pascolava sulle colline, Gesù si rivolse alla cortesia di un estraneo per avere un asino sul quale entrare in Gerusalemme come re. Le esatte indicazioni che Gesù dette ai discepoli erano una prova ulteriore della sua divinità. Come aveva detto, fu sufficiente l'affermazione “Il Signore ne ha bisogno”. Matteo 21:3. Gesù voleva un puledro che nessuno avesse ancora cavalcato. I discepoli, pieni di entusiasmo, stesero i loro mantelli sull'animale e vi fecero salire il Maestro. Siccome Gesù aveva sempre viaggiato a piedi, i discepoli si stupirono per il suo desiderio di una cavalcatura, ma subito i loro cuori si riaccesero di speranza pensando che stava per entrare nella capitale dove si sarebbe proclamato re e avrebbe riaffermato il suo potere. Durante il cammino comunicarono la loro speranza agli amici e un'intensa eccitazione si diffuse ovunque; il popolo era fremente. GDN 429.4
Gesù stava seguendo l'antica consuetudine ebraica sugli ingressi regali. Cavalcava sullo stesso animale di cui si erano serviti i re d'Israele. I profeti avevano predetto che il Messia sarebbe entrato nel suo regno in questo modo. Appena fu salito sul puledro, si udì un possente grido di trionfo. La folla lo acclamava Messia e Re. Gesù accettò in quel momento l'omaggio che prima aveva sempre respinto; i discepoli considerarono quel fatto come la prova che le loro speranze stavano per attuarsi; la folla era convinta che fosse giunta l'ora della liberazione. GDN 430.1
La loro immaginazione vedeva già la partenza dell'esercito romano e la riconquista dell'indipendenza. Tutti erano felici, entusiasti e gareggiavano nel rendere omaggio a Gesù. Non potevano offrire una manifestazione pomposa e splendida, ma offrirono a Gesù l'adorazione dei loro cuori esultanti. Non potevano offrirgli doni costosi, ma stesero i loro mantelli come un tappeto lungo la strada, sulla quale sparsero anche rami di ulivo e di palma. Non potevano guidare il corteo con stendardi regali, ma tagliarono dei rami di palma, simbolo di vittoria, e li agitarono con acclamazioni e osanna. GDN 430.2
Coloro che venivano a sapere dell'arrivo di Gesù si univano alla processione a mano a mano che avanzava. Persone nuove si aggiungevano continuamente alla folla e chiedevano informazioni sulla persona e su quell'entusiasmo. Avevano sentito parlare di Gesù e avevano atteso che salisse a Gerusalemme, ma sapevano che aveva sempre scoraggiato ogni tentativo di porlo sul trono e furono molto stupiti quando appresero che si trattava proprio di lui. Si chiedevano che cosa mai avesse potuto produrre un tale cambiamento in colui che aveva dichiarato che il suo regno non era di questo mondo. GDN 430.3
Le loro domande vengono sommerse da grida di trionfo. La folla entusiasta le ripete in continuazione; le riprende la folla lontana, sino a farle riecheggiare sulle colline e nelle vallate. La gente che esce da Gerusalemme si unisce al corteo. Migliaia di persone, salite per celebrare la Pasqua, accorrono per salutare Gesù agitando rami di palma e cantando inni sacri. I sacerdoti annunciano nel tempio con le trombe il servizio della sera, ma pochi rispondono, e i capi si dicono allarmati: “Ecco, il mondo gli corre dietro!” Giovanni 12:19. GDN 430.4
Mai, fino a quel momento, Gesù aveva permesso una simile dimostrazione. Sapeva che il risultato sarebbe stata la croce. Ma voleva ugualmente presentarsi in pubblico come il Redentore. Voleva attirare l'attenzione sul suo sacrificio, coronamento della sua missione per un mondo decaduto. Mentre il popolo si riuniva a Gerusalemme per celebrare la Pasqua, egli, l'agnello simbolico, si offriva volontariamente in sacrificio. La chiesa in tutte le epoche future avrebbe dovuto fare della sua morte per i peccati del mondo un soggetto di intensa meditazione e studio, per chiarire tutto ciò che si riferisce a questo fatto. In quel momento era necessario che gli occhi di tutto il popolo si volgessero verso di lui, perciò gli eventi che precedevano il suo grande sacrificio dovevano essere tali da richiamare l'attenzione di tutti. Dopo la grande manifestazione del suo ingresso in Gerusalemme, tutti avrebbero seguito il rapido svolgimento degli eventi sino alla scena finale. GDN 430.5
Ognuno avrebbe poi parlato di quell'ingresso trionfale e di tutti i fatti della vita di Gesù collegati con essa. Dopo la sua crocifissione, molti avrebbero ricordato quegli avvenimenti in rapporto al suo processo e alla sua morte. Ciò li avrebbe spinti a investigare le Scritture e li avrebbe convinti della messianicità di Gesù, producendo frutti di conversione alla vera fede. GDN 431.1
In quest'unica scena trionfale della sua vita terrena, Gesù avrebbe potuto farsi scortare dagli angeli e annunciare dalla tromba di Dio, ma una simile manifestazione sarebbe stata contraria allo scopo della sua missione e ai princìpi della sua vita. Gesù rimase fedele all'umile condizione che aveva accettato. Doveva portare il fardello dell'umanità fino al sacrificio per la vita del mondo. GDN 431.2
Quel giorno, in cui i discepoli vedevano il coronamento delle loro speranze, sarebbe apparso loro oscuro se avessero saputo che era il preludio della sofferenza e della morte del Maestro. Sebbene Gesù avesse più volte parlato del suo sacrificio, in quel giorno di trionfo tutti dimenticarono le sue tristi parole e pensarono invece al suo regno trionfante sul trono di Davide. GDN 431.3
Il corteo si ingrandiva sempre più e, tranne poche eccezioni, tutti venivano travolti dall'entusiasmo generale e si univano agli osanna che riecheggiavano nelle colline e nelle valli. Continuamente si udivano queste esclamazioni: “Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nei luoghi altissimi!” Matteo 21:9. GDN 431.4
Mai prima di allora il mondo aveva visto un trionfo simile. Esso era del tutto diverso da quello dei famosi conquistatori della terra. Non c'era alcun seguito di prigionieri vinti e umiliati, ma solo trofei gloriosi di un ministero d'amore in favore dei peccatori. C'erano i prigionieri che egli aveva sottratto al potere di Satana e che innalzavano lodi a Dio per la liberazione. Guidavano il corteo i ciechi a cui Gesù aveva ridato la vista; i muti ai quali aveva reso la parola cantavano gli osanna più sonori; gli storpi che aveva guarito saltavano con gioia ed erano i più attivi nel tagliare i rami di palma e nell'agitarli davanti al Salvatore; vedove e orfani esaltavano Gesù per la misericordia ricevuta; i lebbrosi che aveva guarito, non più impuri, stendevano sulla strada i loro mantelli e lo salutavano come il Re della gloria. Tra quella folla vi erano anche coloro che erano stati svegliati dal sonno della morte. Lazzaro, il cui corpo aveva conosciuto la corruzione del sepolcro, nella forza della piena virilità, guidava il puledro del Salvatore. GDN 431.5
Molti farisei erano presenti e, pieni di invidia e malizia, tentavano di orientare altrove i sentimenti popolari. Servendosi della loro autorità, cercavano di far tacere il popolo; ma i loro appelli e le loro minacce servivano solo a far crescere l'entusiasmo. Temevano che quella grande folla proclamasse re Gesù. Infine si fecero strada tra la folla, fino al Salvatore, e gli rivolsero queste parole di rimprovero e minaccia: “Maestro, sgrida i tuoi discepoli!” Luca 19:39. Dicevano che una tale dimostrazione era illegale e che non sarebbe stata permessa dalle autorità. Ma Gesù li ridusse al silenzio con questa risposta: “Vi dico che se costoro tacciono, le pietre grideranno”. Versetto 40. Quella scena trionfale faceva parte del piano di Dio. Era stata annunciata dal profeta, e nessuno avrebbe potuto impedirla. Se gli uomini non avessero attuato quel piano, Dio avrebbe dato la voce alle pietre, che avrebbero salutato suo Figlio con acclamazioni di lode. Mentre i farisei, confusi, si allontanavano, centinaia di voci ripetevano le parole di Zaccaria: “Esulta grandemente, o figliuola di Sion, manda gridi d'allegrezza, o figliuola di Gerusalemme; ecco, il tuo re viene a te; egli è giusto e vittorioso, umile e montato sopra un asino, sopra un puledro d'asina”. GDN 432.1
Quando il corteo raggiunse la cima della collina, Gesù si fermò, e la folla insieme a lui. Davanti si estendeva Gerusalemme nella sua magnificenza, accarezzata dalla luce del tramonto. Tutti gli sguardi si volsero verso il tempio, che nella sua maestosa grandezza dominava tutti gli altri edifici e sembrava indicare il cielo e guidare il popolo verso l'unico Dio vero e vivente. Il tempio era stato per molto tempo l'orgoglio e il vanto della nazione ebraica. Anche i romani ne erano fieri. Un re nominato dai romani si era unito agli ebrei per riedificarlo e abbellirlo, e perfino l'imperatore lo aveva arricchito offrendo doni. Per imponenza, ricchezza e grandezza, costituiva una delle meraviglie del mondo. GDN 432.2
Il sole al tramonto aveva reso d'oro il cielo; i suoi raggi si riflet tevano sui marmi puri e bianchi delle mura del tempio e facevano risplendere le sue colonne ricoperte d'oro. Dalla cima della collina, dove Gesù e la folla si erano fermati, il tempio sembrava una struttura di neve sormontata da pinnacoli d'oro. All'ingresso del tempio c'era una vite d'oro e d'argento, con foglie verdi e grandi grappoli d'uva, opera di abili artisti. Israele veniva rappresentato come una vite fruttifera. L'oro, l'argento e le foglie verdi erano abbinati con gusto raffinato e abilità squisita. La vite, stringendosi graziosamente con i suoi viticci splendenti agli ornamenti dorati dei bianchi pilastri lucenti, rifletteva il chiarore del sole al tramonto e brillava di una gloria che sembrava presa dal cielo. GDN 432.3
Gesù contemplava quella scena e l'immensa folla, affascinata da quell'improvvisa visione di bellezza, smise di gridare. Tutti guardarono il volto del Salvatore, cercandovi la stessa ammirazione che essi provavano. Ma vi scorsero, invece, un'ombra di tristezza. Videro con sorpresa e delusione che i suoi occhi si riempivano di lacrime e che il suo corpo ondeggiava come un albero scosso dalla tempesta, mentre un gemito usciva dalle sue labbra tremanti, come dalla profondità di un cuore spezzato. Era un triste spettacolo per gli angeli vedere il loro amato condottiero in un'agonia di lacrime. Era un triste spettacolo per una folla esultante che con grida di osanna e agitazione di rami di palme lo aveva scortato sino alla gloriosa città dove sperava ardentemente che avrebbe regnato! Quando Gesù aveva pianto sulla tomba di Lazzaro, le sue lacrime erano state provocate dalla simpatia per la miseria umana. Ma quest'improvviso dolore era come un gemito in un grande coro di trionfo. In una scena di gioia, dove tutti gli porgevano il loro omaggio, il Re d'Israele era in lacrime, non in silenziose lacrime di allegrezza, ma in lacrime e lamenti di incontenibile sofferenza. La folla fu afferrata da un'improvvisa tristezza. E tacque. Molti piangevano simpatizzando con un dolore che non potevano comprendere. GDN 433.1
Gesù non piangeva pensando alla sua sofferenza. Davanti a lui sorgeva il Getsemani, dove ben presto gli si sarebbe riversato addosso l'orrore di una grande oscurità. Si vedeva la Porta delle pecore, attraverso la quale per secoli si conducevano gli animali al sacrifl-cio. Quella porta si sarebbe ben presto spalancata davanti a lui, che rappresentava l'adempimento di tutti i sacrifici offerti per il peccato. Vicino sorgeva il Calvario, luogo della sua imminente agonia. Ma non fu il pensiero della prossima morte crudele a far piangere e gemere il Redentore. Non soffriva pensando a sé: il pensiero della sua agonia non spaventava quell'animo nobile e generoso. Fu invece la vista di Gerusalemme a ferire il cuore di Gesù, la vista di quella Gerusalemme che aveva respinto il Figlio di Dio, che aveva disprezzato il suo amore, che aveva rifiutato di lasciarsi convincere dai suoi grandi miracoli, e che stava per togliergli la vita. Vide ciò che era per aver rifiutato il Messia, e che cosa invece sarebbe potuta diventare se avesse accettato colui che poteva guarire le sue ferite. Era venuto per salvarla, e come avrebbe potuto abbandonarla alla sua sorte? GDN 433.2
Israele era stato un popolo privilegiato. Dio aveva deciso di abitare nel tempio di Gerusalemme, sul monte di Sion, che “bello si erge, e rallegra tutta la terra”. Salmi 48:2. Là c'era il ricordo di più di mille anni della guida e del tenero amore di Cristo, simile a quello di un padre per il suo unico Aglio. In quel tempio i profeti avevano annunciato i loro solenni avvertimenti. Là erano stati agitati i turiboli pieni di carboni ardenti mentre l'incenso, unito alle preghiere degli adoratori, saliva Ano a Dio. Là era stato sparso il sangue degli animali, simbolo di quello di Cristo. Là l'Eterno aveva manifestato la sua gloria, sopra il propiziatorio. Là i sacerdoti avevano officiato e per molto tempo si era svolto tutto il simbolismo cerimoniale. Ora tutto questo stava per finire. GDN 434.1
Gesù sollevò la mano, quella mano che tanto spesso aveva guarito il malato e il sofferente, e volgendola verso la città condannata, esclamò con voce rotta dai singhiozzi: “Oh se tu sapessi, almeno oggi, ciò che occorre per la tua pace!” Luca 19:42. Il Salvatore si interruppe e non disse quale sarebbe stata la condizione di Gerusalemme se avesse accettato l'aiuto che il Signore desiderava offrirle: il dono del suo amato Figlio. Se Gerusalemme avesse compreso ciò che aveva avuto il privilegio di conoscere e avesse accettato il messaggio che il cielo le aveva inviato, avrebbe potuto vivere nella prosperità, come regina dei regni, libera nella forza di Dio. Allora non vi sarebbe stato nessun soldato straniero alle sue porte e nessuna bandiera romana avrebbe sventolato sulle sue mura. Il Figlio di Dio vide il glorioso destino di Gerusalemme se avesse accettato il suo Redentore. Vide che avrebbe potuto essere guarita dalle sue terribili malattie, liberata dalla sua schiavitù e costituita come la più grande città della terra. Dalle sue mura la colomba della pace sarebbe volata verso tutte le nazioni. Gerusalemme sarebbe diventata un simbolo glorioso per il mondo intero. GDN 434.2
Ma quello splendido quadro si dissolse davanti agli occhi del Salvatore. Egli vide Gerusalemme qual era: soggiogata dai romani, disapprovata da Dio, minacciata dai suoi giudizi. E continuò il suo lamento interrotto. “Ma ora è nascosto agli tuoi occhi. Poiché verranno su te dei giorni nei quali i tuoi nemici ti faranno attorno delle trincee, e ti accerchieranno e ti stringeranno da ogni parte; abbbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché tu non hai conosciuto il tempo nel quale sei stata visitata”. Luca 19:42-44. GDN 434.3
Gesù era venuto per salvare Gerusalemme con tutti i suoi figli, ma l'orgoglio, l'ipocrisia, la gelosia e la malizia dei farisei gli hanno impedito di attuare il suo piano. Gesù sapeva quale terribile castigo si sarebbe abbattuto sulla città colpevole. Vide Gerusalemme circondata da eserciti; vide gli assediati costretti alla fame e alla morte; vide madri nutrirsi con i corpi morti dei loro figli; vide genitori e figli contendersi l'ultimo boccone; vide gli affetti naturali distrutti dai lancinanti dolori della fame; vide che la caparbietà degli ebrei, così come li aveva spinti a rifiutare la sua salvezza, li avrebbe anche indotti a rifiutare la resa agli eserciti invasori; vide il Calvario, sul quale sarebbe stato innalzato, fitto di croci come gli alberi di una foresta; vide i miseri abitanti sottoposti alla tortura, alla distruzione, alla crocifissione; i bei palazzi distrutti; il tempio in rovina, senza che una pietra delle sue grandi mura rimanesse sopra un'altra pietra; vide la città arata come un campo. Il Salvatore poteva ben piangere contemplando una scena tanto terribile. GDN 435.1
Gerusalemme era stata come un figlio di cui ci si prende cura e Gesù pianse sulla sua amata città come un padre affettuoso piange per il figlio sbandato. Come posso abbandonarti alla tua sorte? Come posso assistere alla tua distruzione? Devo permetterti di riempire l'amara coppa della tua malvagità? Una sola anima vale più di tutto il mondo, e lì, però, un'intera nazione periva. Con il tramonto, sarebbe finito per Gerusalemme il giorno della grazia. Mentre il corteo sostava sul monte degli Ulivi, non era ancora troppo tardi perché Gerusalemme si pentisse. L'angelo della misericordia stava per spiegare il volo dal trono divino per lasciar posto alla giustizia e all'imminente giudizio. Ma il grande cuore di Cristo intercedeva ancora per Gerusalemme, per quella città che aveva disprezzato la sua misericordia, i suoi avvertimenti e stava per macchiarsi le mani del suo sangue. Se Gerusalemme si fosse pentita, non sarebbe stato troppo tardi. Mentre gli ultimi raggi del sole morente indugiavano sul tempio, sulle torri e sui pinnacoli, non avrebbe potuto qualche angelo condurla all'amore del Salvatore ed evitarle la condanna? Città bella e malvagia, che aveva lapidato i profeti, rigettato il Figlio di Dio e che rinsaldava con la sua corruzione le catene della schiavitù: il giorno della misericordia stava per concludersi! GDN 435.2
Lo Spirito di Dio parlava ancora a Gerusalemme. Prima che il giorno finisse, venne data a Gesù una nuova testimonianza, in adempimento di un annuncio profetico. Se Gerusalemme ascolta l'appello e accoglie il Salvatore che entra nelle sue porte, potrà essere salvata. GDN 435.3
I capi di Gerusalemme vennero informati che Gesù si stava avvicinando alla città sostenuto da una grande folla, ma non andarono a porgere il benvenuto al Figlio di Dio. Impauriti, si dirigono verso di lui nella speranza di disperdere la folla. I capi si imbattono nel corteo mentre scende dal monte degli Ulivi e chiedono il motivo di quella gioia tumultuosa. Alla domanda: “Chi è costui?” (Matteo 21:11), i discepoli, ispirati dallo Spirito Santo, rispondono ripetendo le profezie messianiche. GDN 436.1
Adamo vi dirà che è la progenie della donna che schiaccerà il capo del serpente. GDN 436.2
Abramo vi risponderà che è Melchisedec, re di Salem, re di pace. Cfr. Genesi 14:18. GDN 436.3
Giacobbe vi dirà che egli è colui che appartiene alla tribù di Giuda e vi darà il riposo. GDN 436.4
Isaia vi dirà che è l'“Emmanuele”, il “Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace”. Isaia 7:14; 9:5. GDN 436.5
Geremia vi dirà che è il germoglio di Davide, “Signore, nostra giustizia”. Geremia 23:6. GDN 436.6
Daniele vi dirà che è il Messia. GDN 436.7
Osea vi dirà che egli è “il Dio degli eserciti; il suo nome è Signore”. Osea 12:6. GDN 436.8
Giovanni il battista vi dirà che è “l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” Giovanni 1:29. GDN 436.9
L'Eterno ha proclamato dal suo trono: “Questo è il mio diletto Figlio”. Matteo 3:17. GDN 436.10
Noi, suoi discepoli, dichiariamo che egli è Gesù, il Messia, il Principe della vita, il Redentore del mondo. GDN 436.11
E il principe della potenza delle tenebre lo riconosce dicendo: “Io so chi sei: il Santo di Dio!” Marco 1:24. GDN 436.12