Gli Ebrei avevano dimenticato quasi completamente che la grazia di Dio è un dono. I rabbini insegnavano che bisogna meritare il favore divino e cosi cercavano di guadagnarsi con le opere la ricompensa del giusto. Il loro culto era intriso di uno spirito avido e utilitaristico. I discepoli stessi non ne erano del tutto esenti perciò il Salvatore approfittava di ogni occasione per far loro notare questo errore. Proprio prima di raccontare la parabola degli operai delle diverse ore, Gesù ebbe un incontro che gli diede modo di presentare questa verità. PV 272.1
Mentre era in cammino, un giovane rettore lo raggiunse di corsa ed inginocchiandosi gli chiese con riverenza: “Maestro buono, che farò io per ereditare la vita eterna?” Marco 10:17. PV 272.2
Questo rettore si era rivolto a Gesù come ad un venerabile rabbino, senza riconoscere in lui il Figlio di Dio, perciò il Salvatore replicò: PV 272.3
“Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Iddio”. Marco 10:18. Come mai mi chiami buono? Dio solo lo è, e se tu mi definisci cosi, devi accettarmi anche come suo Figlio e rappresentante. PV 272.4
“Ma se vuoi entrar nella vita”, proseguì Gesù, “osserva i comandamenti”. Matteo 19:17. Il carattere di Dio si esprime nella sua legge e chi vuole vivere in armonia con lui deve ispirare ogni suo atto ai principi di questa legge. PV 272.5
Cristo non sminuisce le esigenze della legge, anzi dice in termini inequivocabili che l’obbedienza è la condizione della vita eterna, dunque la medesima condizione alla quale era soggetto Adamo prima della caduta nel peccato. Il Signore non si attende dagli uomini di oggi nulla di meno che da Adamo in paradiso: una perfetta obbedienza, una giustizia irreprensibile. Il patto della grazia contiene la stessa condizione stabilita nel giardino di Eden: l’osservanza della legge divina che è santa, giusta e buona. PV 272.6
All’invito di Gesù: “Osserva i comandamenti”, il giovane replicò: “Quali?” Pensava probabilmente a qualche precetto cerimoniale, ma Cristo stava parlando della legge del Sinai e citò alcuni comandamenti della seconda tavola del decalogo che poi sintetizzò nella formula “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Matteo 19:19. PV 273.1
Il giovane rispose senza esitare: “Tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza; che mi manca ancora?” Matteo 19:20 (Diodati). Aveva una concezione della legge esteriore e superficiale. Secondo il giudizio umano aveva conservato un carattere irreprensibile e condotto una vita apparentemente esente da colpe, cosicché credeva veramente che la sua obbedienza fosse perfetta. Nondimeno nutriva un timore segreto che non tutto fosse in regola tra lui e Dio, perciò chiese: “Che mi manca ancora?” PV 273.2
“Gesù gli disse: Se vuoi essere perfetto, va, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, ed avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguitami. Ma il giovane, udita questa parola, se ne andò contristato, perché avea di gran beni”. Matteo 19:21, 22. PV 273.3
L’amore di sé è una violazione della legge. Gesù voleva farglielo capire e lo sottopose ad una prova che mise a nudo tutto l’egoismo del suo cuore. Aveva toccato il punto debole del suo carattere. Improvvisamente il giovane non desiderò più altri chiarimenti: l’idolo che accarezzava era venuto alla luce, il suo dio era il mondo. Pretendeva di osservare i comandamenti, ma ignorava il principio che trasmette ad essi spirito e vita: gli mancava il vero amore di Dio e del prossimo. Gli mancava proprio l’essenziale per entrare nel regno di Dio. Il suo egoismo e la sua sete di guadagno erano inconciliabili con i principi del cielo. PV 273.4
Quando questo giovane rettore si era presentato a Gesù, la sua sincerità ed il suo fervore avevano conquistato il Salvatore che, “riguardatolo in viso, l’amò”. Marco 10:21. In questo giovane di talento e di nobile famiglia aveva visto un futuro predicatore di giustizia, e l’avrebbe accolto volentieri al suo servizio come aveva accolto i poveri pescatori che lo seguivano. Se avesse dedicato le sue capacità all’opera di salvezza delle anime, sarebbe stato un operaio di successo al servizio del Maestro. PV 273.5
Ma doveva prima accettare le condizioni del discepolato e consacrarsi a Dio senza riserve. Quando ad esempio Giovanni, Pietro, Matteo ed i loro compagni ricevettero la chiamata del Salvatore, lasciata ogni cosa lo seguirono. Cfr. Luca 5:28. Gesù richiedeva la medesima consacrazione dal rettore, un sacrificio che non era affatto più grande di quello che lui stesso aveva fatto perché, “essendo ricco, s’è fatto povero per amor vostro, onde, mediante la sua povertà, voi poteste diventar ricchi”. 2 Corinzi 8:9. Il giovane ricco doveva semplicemente seguire il cammino tracciato da Gesù. PV 274.1
Guardandolo, Gesù fu preso dal desiderio ardente di guadagnare questo giovane per inviarlo ad annunciare la buona novella della salvezza agli uomini. In cambio di tutto quello che doveva abbandonare, Cristo gli offriva il privilegio della comunione con lui: “Seguitami”, gli disse. Pietro, Giacomo e Giovanni l’avevano seguito con gioia. Anche il giovane ammirava Cristo e si sentiva attratto a lui, tuttavia non era disposto ad accettare il principio del sacrificio di sé. Le ricchezze erano per lui più importanti di Gesù. Desiderava la vita eterna ma rifiutava d’altra parte l’amore altruistico che è l’unico a condurre alla vita. Con tristezza si allontanò dal Salvatore. PV 274.2
Mentre se ne stava andando Gesù disse ai discepoli: “Io vi dico in verità che un ricco malagevolmente entrerà nel regno dei cieli”. Matteo 19:23. Queste parole stupirono i discepoli perché avevano sempre sentito insegnare che i ricchi fossero i favoriti del cielo. Loro stessi speravano anzi di conquistare ricchezze e potenza mondana nel regno del Messia, ma se i ricchi non potevano entrare in cielo, che speranza rimaneva allora per gli altri? PV 274.3
Gesù soggiunse: “E da capo vi dico: È più facile a un cammello passare per la cruna d’un ago, che ad un ricco entrare nel regno di Dio. I suoi discepoli, udito questo, sbigottirono forte”. Matteo 19:24-26. A questo punto si resero conto che il solenne avvertimento valeva anche per loro. Le parole del Salvatore avevano messo a nudo la loro segreta ambizione di potenza e di ricchezze. Preoccupati di se stessi chiesero: “Chi dunque può esser salvato?” PV 274.4
“E Gesù, riguardateli fisso, disse loro: Agli uomini questo e impossibile; ma a Dio ogni cosa è possibile”. Matteo 19:25, 26. PV 275.1
Chi è ricco non entrerà nel regno dei cieli sol perché è ricco. I suoi beni non gli conferiscono alcun diritto di ricevere l’eredità gloriosa dei santi. E solo l’immeritata grazia di Cristo che ci permette di entrare nella città di Dio. PV 275.2
Per i ricchi come per i poveri valgono le parole dello Spirito Santo: “Non sapete ... che non appartenete a voi stessi? Poiché foste comprati a prezzo...” 1 Corinzi 6:19, 20. Chi ci crede vedrà nei suoi beni un prestito che secondo la volontà di Dio è da usare per la salvezza dei perduti e il conforto dei sofferenti e dei poveri. Per l’uomo inconvertito questo è impossibile, perché il suo cuore è legato ai tesori terreni. Chi è schiavo di mammona rimane sordo al grido dell’umanità sofferente. Ma per Dio tutto è possibile: contemplando l’impareggiabile amore di Cristo, il nostro egoismo svanirà e anche il ricco si sentirà costretto a confessare col Fariseo Saulo: “Ma le cose che m’eran guadagni, io le ho reputate danno a cagion di Cristo. Anzi, a dir vero, io reputo anche ogni cosa essere un danno di fronte alla eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore”. Filippesi 3:7, 8. Allora ci renderemo conto che niente ci appartiene e saremo felici piuttosto di considerarci dispensatori della molteplice grazia di Dio e servi di tutti gli uomini per amor suo. PV 275.3
Pietro fu il primo a riprendersi dopo che il Salvatore aveva messo in luce il loro atteggiamento sbagliato. Con soddisfazione pensava a tutto quello che aveva sacrificato insieme ai suoi confratelli. “Ecco”, esclamò, “noi abbiamo lasciato ogni cosa e t’abbiam seguitato”. Marco 10:28. Tenendo presente la promessa condizionata fatta al giovane ricco “...tu avrai un tesoro nel cielo”, voleva sapere che ricompensa avrebbero ricevuto lui e i suoi compagni per i loro sacrifici. PV 275.4
La risposta del Salvatore fece trasalire il cuore di questi pescatori galilei. Egli parlava di una gloria tale da far svanire i loro sogni più belli: “Io vi dico in verità che nella nuova creazione, quando il Figliuol dell’uomo sederà sul trono della sua gloria, anche voi che m’avete seguitato, sederete su dodici troni a giudicar le dodici tribù d’Israele”. Matteo 19:28. Poi Gesù aggiunse: “Io vi dico in verità che non v’è alcuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figliuoli, o campi, per amor di me e per amor dell’evangelo, il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto; case, fratelli, sorelle, madri, figliuoli, campi, insieme a persecuzioni; e nel secolo avvenire, la vita eterna. Ma molti primi saranno ultimi e molti ultimi primi”. Marco 10:29-31. PV 275.5
Ma la domanda di Pietro “Che ne avremo dunque?”, dimostrava un atteggiamento che, se non fosse stato corretto, avrebbe impedito ai discepoli di fare da ambasciatori di Cristo. Si trattava di uno spirito opportunistico e mercenario. Pur essendo stati attratti dall’amore di Gesù, i discepoli non erano ancora del tutto esenti dal modo di pensare dei Farisei, lavoravano con l’idea di ricevere una ricompensa in base ai meriti e accarezzando uno spirito di orgoglio e autocompiacimento facevano l’un l’altro dei paragoni. Se uno commetteva un errore, gli altri si sentivano superiori. PV 276.1
Per evitare che i discepoli perdessero di vista i principi dell’Evangelo, Cristo raccontò la parabola che illustrava in che modo Dio tratta i suoi servi e quale spirito si attende da loro. PV 276.2
“Il regno dei cieli”, iniziò, “è simile a un padron di casa, il quale, in sul far del giorno, uscì a prender ad opra, de’ lavoratori per la sua vigna”. Matteo 20:1. Allora si usava che chi cercasse un impiego andasse alla piazza del mercato ad attendere qualche datore di lavoro. La parabola ci presenta uno di loro che in differenti ore della giornata, andava a cercare operai per la sua attività. Quelli che furono assunti sin dalle prime ore del mattino concordarono un certo salario; gli altri, impiegati in un secondo momento, si rimisero alla discrezionalità del padrone. PV 276.3
“Poi, fattosi sera, il padron della vigna disse al suo fattore: Chiama i lavoratori e paga loro la mercede, cominciando dagli ultimi fino ai primi. Allora, venuti quei dell’undicesima ora, ricevettero un denaro per uno. E venuti i primi, pensavano di ricever di più; ma ricevettero anch’essi un denaro per uno”. Matteo 20:8-10. PV 276.4
Il trattamento che il proprietario della vigna riserva agli operai è un immagine del modo in cui Dio tratta noi uomini, cioè ben diversamente dagli usi umani. Nella vita professionale il pagamento è in proporzione al lavoro svolto e l’operaio si attende una retribuzione commisurata alla sua resa. Ma nella parabola Cristo illustra i principi del suo regno, un regno che non è di questo mondo e che non si può misurare con parametri umani: “Poiché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie, dice l’Eterno. Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie, e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri”. Isaia 55:8, 9. PV 276.5
Gli operai della parabola impiegati sin dal mattino ricevettero la paga che avevano pattuito, non una lira in più. Gli ultimi arrivati credettero alla promessa del padrone: “Vi darò quel che sarà giusto”. Matteo 20:4. E dimostrarono la loro fiducia non facendo domande di sorta in merito al salario. Confidavano nel suo senso di giustizia ed equità e furono ricompensati non in base alla quantità di lavoro prestato ma secondo la generosità del datore di lavoro. PV 277.1
Similmente Dio desidera che abbiamo fiducia in lui che giustifica i peccatori e ci ricompensa non secondo il nostro merito bensì secondo il “proponimento eterno ch’Egli ha mandato ad effetto nel nostro Signore, Cristo Gesù”. Efesini 3:11. “Egli ci ha salvati non per opere giuste che noi avessimo fatte, ma secondo la sua misericordia”. Tito 3:5. E per quanti hanno fiducia in lui Egli può “fare infinitamente al di là di quel che domandiamo o pensiamo”. Efesini 3:20. PV 277.2
Non è la quantità di lavoro svolto o i suoi risultati visibili che Dio apprezza, quanto lo spirito con cui lavoriamo. Gli operai che sì presentarono nella vigna all’undicesima ora erano riconoscenti di quella possibilità di lavorare e che il proprietario li avesse accettati così a tarda ora. E quale non fu la loro sorpresa quando, alla fine, egli lì ricompensò per una giornata intera di lavoro! Sapevano benissimo di non meritare quella retribuzione. La gentilezza con cui li trattava li riempì di gioia e mai dimenticarono la sua bontà e il generoso salario ricevuto. Così è del peccatore che, cosciente della propria indegnità, entra nella vigna del Signore all’undicesima ora. Sa che non gli rimane ormai molto tempo per lavorare al servizio di Dio e meritare una ricompensa, ma è felice che Dio l’accetti. Fa il suo dovere con umiltà e fiducia, grato del privilegio di collaborare con Cristo. Dio gradisce questo atteggiamento e lo onora. PV 277.3
Il Signore desidera che abbiamo fiducia in lui senza preoccuparci della ricompensa. Per chi ha Cristo nel cuore la ricompensa non è la cosa principale e nemmeno il movente che lo spinge al servizio. È vero che dovremmo tenere di mira la ricompensa futura, attenderla con gioia e apprezzare le benedizioni promesse, ma Dio non vuole che pensiamo solo a questo e che pretendiamo una ricompensa per ogni opera buona che facciamo. Dobbiamo preoccuparci non tanto di ricevere una ricompensa quanto di agire bene indipendentemente dal nostro vantaggio. Il movente dei nostri atti sia l’amor di Dio e del prossimo! PV 278.1
Questa parabola non scusa quanti hanno udito il primo appello a entrare nella vigna e si sono rifiutati di andare. Quando il padrone andò alla piazza del mercato all’undicesima ora, chiese agli uomini disoccupati: “Perché ve ne state qui tutto il giorno inoperosi? Essi gli dissero: Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Matteo 20:6, 7. Nessuno di questi disoccupati si trovava li ad aspettare dal mattino o aveva respinto l’offerta del datore di lavoro. Chi lo fa e dopo si pente, fa bene a pentirsi, ma è pericoloso ignorare il primo appello della grazia. PV 278.2
Quando i vignaiuoli ricevettero “un denaro per uno”, quelli che avevano lavorato sin dal primo mattino si indignarono. Non erano stati all’opera per ben dodici ore? Non era loro buon diritto ricevere più di coloro che avevano prestato la loro opera solo un’ora e quand’era più fresco? “Questi ultimi non han fatto che un’ora”, obiettarono, “e tu li hai fatti pari a noi che abbiamo portato il peso della giornata e il caldo. PV 278.3
“Ma egli rispondendo a un di loro disse: Amico, io non ti fo alcun torto; non convenisti meco per un denaro? Prendi il tuo, e vattene; ma io voglio dare a quest’ultimo quanto a te. Non m’è lecito far del mio ciò che voglio? O vedi tu di mal occhio ch’io sia buono? PV 278.4
“Cosi gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi”. Matteo 20:12-16. PV 278.5
Gli operai del primo gruppo rappresentano coloro che, in virtù dei loro servizi, vorrebbero essere preferiti rispetto agli altri. Si mettono all’opera compiaciuti di loro stessi, ma senza spirito di rinuncia e di sacrificio. Forse hanno promesso di servire Dio per tutta la vita e sono stati in prima fila a sopportare fatiche, privazioni e prove, perciò ritengono di avere diritto ad una lauta ricompensa. Pensano più alla retribuzione che al privilegio di servire Cristo. Secondo loro il lavoro ed i sacrifici che hanno fatto gli dà diritto di essere più onorati degli altri, e siccome Dio non riconosce questa pretesa, si offendono. Lavorando con dedizione e fiducia potrebbero continuare ad essere i primi, ma la loro tendenza a lamentarsi e criticare è contraria allo spirito di Cristo e dimostra che non sono degni di fiducia, che si preoccupano soprattutto di far carriera, che non confidano in Dio, che sono gelosi e invidiosi dei fratelli. La bontà e generosità del Signore per loro sono solo motivo di mormorio, e questo dimostra che essi non hanno alcuna comunione con lui. Non conoscono la gioia di collaborare col Maestro. PV 278.6
Non c’è niente che offenda Dio più di questa meschinità egoistica. Egli non può collaborare con coloro che manifestano queste caratteristiche e sono insensibili all’opera dello Spirito Santo. PV 279.1
Gli Ebrei erano stati chiamati per primi nella vigna del Signore e questo li aveva resi orgogliosi e arroganti. Credevano che i lunghi anni di servizio conferissero loro il diritto di ricevere una ricompensa maggiore degli altri ed erano indignati al massimo nell’apprendere che anche i gentili avrebbero goduto gli stessi privilegi. PV 279.2
Cristo mise in guardia i discepoli, che aveva chiamato per primi, da una simile reazione negativa. Egli prevedeva che l’orgoglio sarebbe stato una maledizione e causa di debolezza per la chiesa. Gli uomini si sarebbero illusi di poter fare qualcosa per guadagnarsi un posto nel regno dei cieli, avrebbero immaginato che il Signore li avrebbe aiutati solo dopo aver conseguito i primi progressi. Cosi l’io avrebbe trionfato e Gesù sarebbe stato accantonato. Molti sarebbero andati fieri di ogni minimo passo avanti, ritenendosi superiori agli altri, sarebbero stati avidi di adulazioni e gelosi del primo posto nella considerazione altrui. Cristo voleva preservare i discepoli da questo pericolo. PV 279.3
Vantarsi dei propri meriti è fuori luogo: “Il savio non si glori della sua saviezza, il forte non si glori della sua forza, il ricco non si glori della sua ricchezza: ma chi si gloria si glori di questo: che ha intelligenza e conosce me, che sono l’Eterno, che esercita la benignità, il diritto e la giustizia sulla terra; perché di queste cose mi compiaccio, dice l’Eterno”. Geremia 9:23, 24. PV 279.4
Noi non saremo ricompensati in base ai nostri meriti — affinché nessuno si glori —, ma per grazia: “Che diremo dunque che l’antenato nostro Abrahamo abbia ottenuto secondo la carne? Poiché se Abrahamo è stato giustificato per le opere, egli avrebbe di che gloriarsi; ma dinanzi a Dio egli non ha di che gloriarsi; infatti, che dice la Scrittura? Or Abrahamo credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto di giustizia. Or a chi opera, la mercede non è messa in conto di grazia, ma di debito; mentre a chi non opera ma crede in colui che giustifica l’empio, la sua fede gli è messa in conto di giustizia”. Romani 4:1-5. Non c’è motivo quindi di ritenersi migliori degli altri o invidiarli. Non abbiamo alcun privilegio che ci metta ad un livello superiore agli altri e nessuno ha diritto alla ricompensa. PV 280.1
Sia i primi che gli ultimi riceveranno la medesima ricompensa eterna, e i primi dovranno dare gioiosamente il benvenuto agli ultimi. Chi invidia la ricompensa altrui dimentica che anche lui è salvato solo per grazia. La parabola dei vignaiuoli condanna ogni atteggiamento di gelosia e di invidia. Chi ama si rallegra della verità e non fa confronti invidiosi, ma paragona soltanto il proprio carattere imperfetto alla perfezione e bontà di Cristo. PV 280.2
Questa parabola è un monito per tutti gli operai del Signore, indipendentemente dalla loro anzianità di servizio e dall’importanza delle loro realizzazioni: senza carità per il fratello, senza umiltà dinanzi a Dio tutto questo non vale niente. Chi vive una fede religiosa non può nel contempo idolatrare il proprio io, altrimenti si accorgerà presto che gli manca quella grazia che sola può rendere efficace la sua opera al servizio di Cristo. Dove l’orgoglio e la vanità si fanno spazio l’opera risulta compromessa. PV 280.3
Dio apprezza non quanto tempo lavoriamo per lui, bensì se lavoriamo volenterosamente e con fedeltà. Ci vuole una consacrazione totale. Il dovere più umile, assolto con sincerità e abnegazione di sè, è gradito a Dio più di un’opera imponente segnata dall’egoismo. Egli osserva se coltiviamo lo spirito di Cristo e fino a che punto le nostre opere somigliano alle sue. L’amore e la fedeltà sono per lui più importanti della quantità di lavoro che sbrighiamo. PV 280.4
Solo quando l’egoismo e morto in noi e abbiamo bandito ogni ambizione di supremazia, quando il cuore trabocca di riconoscenza e l’amore ispira la nostra vita, Cristo dimorerà veramente in noi e Dio ci riconoscerà suoi collaboratori. PV 281.1
Per quanto duro, i veri operai di Dio non considerano il loro compito un penoso fardello. Sono pronti a sacrificarsi e a lavorare di buon animo. La loro gioia somiglia a quella di Cristo, che poteva dire: “Il mio cibo è di far la volontà di Colui che mi ha mandato, e di compire l’opera sua”. Giovanni 4:34. La consapevolezza di collaborare con il Signore della gloria allevia ogni fatica, tonifica la volontà e dà allo spirito la forza di affrontare qualunque cosa accada. Nel loro altruismo i discepoli di Cristo parteciperanno alle sue sofferenze, ma anche alla sua bontà e simpatia. Cosi essi contribuiscono ad annunciare il lieto messaggio al mondo e ad esaltare il nome di Dio. PV 281.2
Ecco con quale spirito bisogna servire il Signore! Dove esso manca, molti che sono apparentemente i primi saranno gli ultimi, mentre coloro che lo possiedono, anche se annoverati fra gli ultimi, si ritroveranno fra i primi. PV 281.3
Molti si sono consacrati a Cristo ma non vedono alcuna possibilità di fare qualcosa di grande al suo servizio o di fare grandi sacrifici. Si consolino al pensiero che non è necessariamente la sorte del martire la più gradita a Dio. Può darsi che non sia il missionario, che affronta tutti i giorni vari pericoli e la morte, ad occupare il primo posto nei libri del cielo. Chi si dimostra vero cristiano nella vita privata, nel sacrificio quotidiano di sé, nella sincerità di propositi, nella purezza di pensiero, nella mansuetudine di fronte alla provocazione, nella fede e pietà, nella fedeltà nelle piccole cose, chi nella famiglia riflette il carattere di Cristo, è più prezioso dinanzi a Dio del missionario o martire di fama universale. PV 281.4
Come è diverso il parametro con cui Dio e gli uomini misurano il carattere! Egli vede le numerose tentazioni alle quali abbiamo resistito e che il mondo e gli stessi amici intimi ignorano — tentazioni scatenatesi in famiglia o nella profondità del cuore. Egli vede quando siamo umiliati e depressi dalla nostra stessa debolezza e ci pentiamo sinceramente di un pensiero malvagio. La consacrazione senza riserve al suo servizio non gli rimane nascosta, come pure le lotte e le vittorie realizzate contro il nostro io. Dio e gli angeli sanno tutto questo. Un libro di memorie è scritto dinanzi all’Eterno a favore di coloro che lo temono e celebrano il suo nome. PV 281.5
Il segreto del successo non risiede nella cultura o nella nostra posizione sociale, nel numero degli adepti, dei talenti che abbiamo ricevuto o nella forza della volontà umana. Coscienti della nostra insufficienza, contempliamo Gesù, sorgente di ogni forza e del pensiero supremo, e se siamo volenterosi e obbedienti conquisteremo una vittoria dopo l’altra! PV 282.1
Quantunque breve il nostro servizio ed umile la nostra attività, se seguiamo Cristo con una fede semplice non rimarremo delusi in merito alla ricompensa. I più deboli e umili potranno ottenere quel che i più grandi e saggi non possono raggiungere con le loro forze. L’aurea porta del cielo rimarrà chiusa di fronte agli orgogliosi e non si aprirà davanti ai superbi, ma si spalancherà al trepido bussare di un bambino. Magnifica sarà la ricompensa della grazia riservata a quanti hanno lavorato per Dio nella semplicità della fede e dell’amore. PV 282.2