Alcuni angeli avevano ordinato ad Aronne di incontrarsi con suo fratello; i due, che non si vedevano da molto tempo, si ritrovarono nel silenzio del deserto, presso Horeb. “E Mosè riferì ad Aaronne tutte le parole che l’Eterno l’aveva incaricato di dire, e tutti i segni portentosi che gli aveva ordinato di fare”. Esodo 4:28. Si diressero allora verso l’Egitto e, dopo aver raggiunto la terra di Goscen, furono accompagnati dagli anziani d’Israele. Aronne raccontò loro l’incontro eccezionale che Mosè aveva avuto e presentò i segni che il fratello aveva ricevuto da Dio. “Ed il popolo prestò loro fede. Essi intesero che l’Eterno aveva visitato i figliuoli d’Israele e aveva veduto la loro afflizione, e si inchinarono e adorarono”. Esodo 4:31. PP 213.1
Mosè era stato incaricato di rivolgere il suo messaggio anche al sovrano d’Egitto. I due fratelli entrarono nel palazzo del faraone come ambasciatori del Re dei re e parlarono a suo nome: “Così dice l’Eterno, l’Iddio d’Israele: Lascia andare il mio popolo, perché mi celebri una festa nel deserto... Chi è l’Eterno ch’io debba ubbidire alla sua voce e lasciar andare Israele?” chiese il monarca. “Io non conosco l’Eterno, e non lascerò affatto andare Israele”. Esodo 5:1, 2. PP 213.2
I due fratelli risposero così: “L’Iddio degli Ebrei si è presentato a noi; lasciaci andare tre giornate di cammino nel deserto per offrir sacrifizi all’Eterno, ch’è il nostro Dio, onde ei non abbia a colpirci con la peste o con la spada”. Esodo 5:3. PP 213.3
La notizia del loro arrivo e l’interesse che essi stavano suscitando fra il popolo erano giunti già da qualche tempo alle orecchie del sovrano. A quelle parole egli si adirò. “...O Mosè e Aronne, perché distraete il popolo dai suoi lavori?” disse. “Andate a fare quello che vi è imposto!” Esodo 5:4. Il suo regno aveva già subito danni economici, a causa delle interferenze di quei due stranieri. Per questo egli aggiunse: “...Ecco, il popolo è ora numeroso nel paese, e voi gli fate interrompere i lavori che gli sono imposti”. Esodo 5:5. PP 213.4
Durante la schiavitù, gli israeliti avevano in parte dimenticato la legge di Dio, trascurando l’osservanza dei suoi princìpi. Nella maggioranza dei casi, gli israeliti trasgredivano il riposo del sabato: d’altra parte, sembrava impossibile poterlo osservare, a causa delle imposizioni dei sorveglianti. Mosè fece comprendere al popolo che l’ubbidienza a Dio era una condizione essenziale per ottenere la salvezza, ma gli oppressori vennero a conoscenza di questi tentativi di ristabilire il riposo del sabato.1Il sabato — Ordinando la liberazione d’Israele, Dio disse al faraone: “...Israele è il mio figliuolo, il mio primogenito... Lascia andare il mio figliuolo, affinché mi serva...”. Esodo 4:22, 23. Il salmista ci spiega perché Dio abbia liberato Israele dall’Egitto: “E trasse fuori il suo popolo con allegrezza, e i suoi eletti con giubilo. E dette loro i paesi delle nazioni, ed essi presero possesso della fatica dei popoli, perché osservassero i suoi statuti e ubbidissero alle sue leggi”. Salmi 105:43-45. Da queste parole deduciamo che gli ebrei durante la schiavitù in Egitto non potevano servire Dio. In Deuteronomio 5:14, 15 viene messa in risalto quella parte del quarto comandamento che prescrive il riposo per il servo e la serva: qui viene ricordato all’israelita che è stato servo in Egitto. “...Ma il settimo giorno è giorno di riposo consacrato all’Eterno, al tuo Dio: non fare in esso lavoro alcuno, né tu, né il tuo figliuolo, né la tua figliuola, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il tuo forestiero che sta dentro le tue porte, affinché il tuo servo e la tua serva si riposino come tu. E ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto, e che l’Eterno, l’Iddio tuo, ti ha tratto di là con mano potente e con braccio steso; perciò l’Eterno, il tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno del riposo”. In Esodo 5:5 leggiamo che Mosè e Aronne fecero “interrompere i lavori”. Possiamo concludere che il sabato era uno dei princìpi che gli israeliti non potevano osservare in Egitto; e quando Mosè e Aronne portarono il messaggio di Dio (cfr. Esodo 4:29-31), tentarono di promuovere una riforma che servì soltanto ad aumentare la loro oppressione. Gli israeliti infine furono lasciati liberi di osservare le leggi del Signore, compreso il quarto comandamento, e ciò li indusse a rispettare, in maniera più rigida, il sabato e gli altri comandamenti. In Deuteronomio 24:17, 18, l’evento della liberazione degli israeliti dall’Egitto viene citato anche per indicare come essi fossero tenuti a interessarsi delle vedove e degli orfani: “Non conculcherai il diritto dello straniero e dell’orfano, e non prenderai in pegno la veste della vedova, ma ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto...”. PP 213.5
Seriamente allarmato, il sovrano sospettò che gli israeliti stessero progettando una ribellione, per liberarsi dalla schiavitù. Pensò che questi atteggiamenti fossero dettati dalla pigrizia: volendo arrestare subito il pericoloso complotto, decise di rendere più dura la vita degli israeliti, per soffocarne lo spirito di indipendenza. In quello stesso giorno, infatti, furono promulgati alcuni decreti che resero il lavoro ancora più restrittivo e opprimente. Il materiale da costruzione più comune, in quel paese, era costituito dai mattoni essiccati al sole. I muri degli edifici più belli, per la costruzione dei quali occorrevano molti schiavi, erano stati edificati con questo materiale e in un secondo tempo rivestiti in pietra. PP 214.1
Per rendere l’argilla più consistente, veniva usata la paglia, che quindi doveva essere disponibile in grandi quantità. Il re ordinò che quel materiale non fosse più fornito agli schiavi: essi avrebbero dovuto procurarselo da soli e produrre la stessa quantità di mattoni. PP 214.2
L’ordine gettò gli israeliti nella disperazione. Gli ispettori egiziani avevano nominato degli ebrei come sorveglianti, perché essi controllassero il lavoro eseguito dal popolo e ne fossero responsabili. Quando il decreto entrò in vigore, gli israeliti si sparsero per tutto il paese e raccolsero la stoppia invece della paglia. Tuttavia, si accorsero che era impossibile compiere la stessa quantità di lavoro. In seguito a questo fallimento, i sorveglianti ebrei furono picchiati crudelmente. PP 214.3
Allora i responsabili dei lavori si recarono dal sovrano presentando le loro rimostranze: essi supponevano infatti che a determinare questo inasprimento fossero stati i loro ispettori, e non il re. Egli rispose con un rimprovero: “...Siete dei pigri! Siete dei pigri! Per questo dite: Andiamo a offrir sacrifizi all’Eterno”. Esodo 24:17. Il faraone ordinò che tornassero alle loro occupazioni e dichiarò che il carico di lavoro non sarebbe stato in nessun modo alleggerito. Ritornando dal palazzo reale i sorveglianti ebrei incontrarono Mosè e Aronne, ai quali espressero le loro proteste dicendo: “...L’Eterno volga il suo sguardo su voi, e giudichi! Poiché ci avete messi in cattivo odore dinanzi a faraone e dinanzi ai suoi servitori, e avete loro messa la spada in mano perché ci uccida”. Esodo 5:21. PP 214.4
Nel sentire questi rimproveri, Mosè fu assalito da una grande angoscia. Le sofferenze del popolo erano aumentate; in tutto il paese ogni israelita, giovane o vecchio che fosse, gridava per la disperazione e attribuiva a lui la responsabilità di quel grave peggioramento delle condizioni della schiavitù. Con profonda amarezza Mosè si rivolse al Signore e gli disse: “Signore, perché hai fatto del male a questo popolo? Perché dunque mi hai mandato? Poiché, da quando sono andato da Faraone per parlargli in tuo nome, egli ha maltrattato questo popolo, e tu non hai affatto liberato il tuo popolo”. Esodo 5:22, 23. Ma Dio rispose: “...Ora vedrai quello che farò a Faraone; perché, forzato da una mano potente, li lascerà andare; anzi, forzato da una mano potente, li caccerà dal suo paese”. Esodo 6:1. Il Signore gli ricordò ancora una volta il patto che aveva stabilito con i suoi padri e gli garantì che sarebbe stato mantenuto. PP 214.5
Nonostante il lungo periodo di schiavitù in Egitto, alcuni israeliti erano ancora fedeli a Yahweh; essi erano profondamente turbati nel vedere che i loro figli erano spesso costretti ad assistere alle perversioni del paganesimo. Alcuni si erano spinti fino al punto di inchinarsi davanti a quelle divinità inesistenti. Nella loro angoscia, quei genitori invocarono la liberazione di Dio dall’oppressione degli egiziani e dall’influsso degradante dell’idolatria. Essi non avevano tenuto segreta la loro fede, ma avevano dichiarato apertamente agli egiziani che l’unico oggetto del loro culto era il Creatore del cielo e della terra, un Dio reale e vivente. Spesso essi parlavano delle prove della sua esistenza e potenza, che Egli aveva manifestato dalla creazione sino ai giorni di Giacobbe. Gli egiziani avevano avuto la possibilità di conoscere la religione degli ebrei; tuttavia disprezzarono le parole dei loro schiavi, cercando anzi di corromperli con promesse di ricompensa e, se non avessero ceduto, con minacce e torture. PP 215.1
Gli anziani d’Israele cercarono di sostenere la fede ormai incerta dei loro fratelli. Ricordarono loro le promesse di Dio ai padri d’Israele e le parole profetiche pronunciate da Giuseppe prima di morire, con cui aveva predetto la liberazione dal dominio egiziano. Alcuni li ascoltarono e continuarono ad avere fede, altri, scoraggiati dalla situazione presente, si rifiutarono di sperare. Quando gli egiziani vennero a conoscenza dei discorsi che circolavano fra gli schiavi ebrei, derisero le loro aspettative e negarono con disprezzo la potenza del loro Dio. Sottolineando la loro condizione di schiavi, dicevano in tono sarcastico: “Se il vostro Dio è giusto e misericordioso, ed è più potente di tutti gli dèi egiziani, perché non vi libera?” Il popolo egiziano, affermavano, era ricco e potente: eppure adorava quelle divinità che gli schiavi ebrei continuavano a definire false. Gli egiziani attribuivano infatti la loro prosperità alla benedizione degli dèi, che resero schiavi dell’Egitto gli israeliti: si vantavano di avere il potere di opprimere e distruggere coloro che adoravano Yahweh. Il faraone stesso osò affermare che il Dio degli ebrei non avrebbe mai potuto liberarli dal suo dominio. PP 215.2
Questo atteggiamento soffocò la speranza di molti israeliti, ai quali sembrava evidente che gli egiziani avessero ragione. Tutto ciò che gli egiziani dicevano era vero: gli ebrei erano schiavi e dovevano sopportare i soprusi e le crudeltà dei sorveglianti. I loro figli erano stati ricercati e uccisi, la vita stessa era diventata penosa: tutto questo, nonostante la loro fedeltà al Dio dei cieli. Se l’Eterno fosse stato davvero superiore a tutti gli altri dèi, pensavano, sicuramente non li avrebbe abbandonati nelle mani di chi invece adorava solo degli idoli. PP 216.1
Coloro che rimasero fedeli a Dio, compresero tuttavia che il Signore aveva permesso la schiavitù degli israeliti perché essi si erano uniti in matrimonio con i pagani, e avevano ceduto all’idolatria. Essi rassicurarono gli scoraggiati, annunciando che presto la schiavitù sarebbe terminata. Gli ebrei credevano di ottenere la liberazione senza affrontare alcuna sofferenza: non erano pronti per la libertà. La loro fede era debole ed essi non riuscivano a sopportare con pazienza le avversità, in attesa dell’intervento divino. Molti avrebbero preferito rimanere schiavi, piuttosto che affrontare le difficoltà di un viaggio verso una terra sconosciuta. Altri si erano talmente inseriti nell’ambiente egiziano che ormai desideravano rimanervi. Questa situazione spinse il Signore a non liberare il popolo d’Israele con un’improvvisa manifestazione di potenza. Egli impose agli eventi un corso tale da permettere allo spirito tirannico del monarca egiziano di manifestarsi chiaramente. PP 216.2
L’intervento divino sull’Egitto doveva costituire una rivelazione anche per Israele. Il popolo doveva conoscere la giustizia, la potenza e l’amore di Dio: allora avrebbe scelto volontariamente di lasciare l’Egitto e di farsi guidare dal Signore. Il compito di Mosè sarebbe stato meno difficile se molti ebrei non fossero diventati così corrotti da rifiutare la prospettiva della partenza. PP 216.3
Il Signore chiese a Mosè di ripetere al popolo la promessa della liberazione e rassicurarli ancora una volta della bontà dei suoi propositi. Gli israeliti, però, non lo vollero ascoltare. Le Scritture affermano: “...Ma essi non dettero ascolto a Mosè, a motivo dell’angoscia dello spirito loro e della loro dura schiavitù”. Esodo 6:9. Mosè allora ricevette questo messaggio: “Va’, parla a Faraone re d’Egitto, ond’egli lasci uscire i figliuoli d’Israele dal suo paese”. Esodo 6:11. PP 216.4
Scoraggiato, egli replicò: “...Ecco, i figliuoli d’Israele non mi hanno dato ascolto; come dunque darebbe Faraone ascolto a me...?” Esodo 6:12. Gli fu detto allora di prendere Aronne con sé e presentarsi al faraone “...per trarre i figliuoli d’Israele dal paese d’Egitto”. Esodo 6:13. PP 216.5
Mosè capì che il faraone avrebbe ceduto solo nel momento in cui Dio avesse eseguito la sua sentenza sull’Egitto, liberando Israele attraverso una chiara dimostrazione di potenza. Prima che le piaghe colpissero il paese, Mosè doveva presentare al sovrano le terribili conseguenze che ne sarebbero derivate, per offrirgli la possibilità di evitarle. Ogni volta che il faraone avesse respinto una punizione, rifiutando di riconoscere il proprio errore, ne sarebbe seguita un’altra ancora più dura. Infine, umiliato, sarebbe stato costretto a riconoscere nel Creatore dei cieli e della terra il vero Dio. Il Signore desiderava che gli egiziani potessero constatare quanto fosse sterile la saggezza dei loro grandi uomini e quanto fosse debole la forza che i loro dèi potevano opporre alla realizzazione dei suoi piani. L’Egitto sarebbe stato punito per la sua idolatria: gli egiziani non avrebbero più potuto vantare la protezione delle loro divinità inanimate. Dio avrebbe glorificato il suo nome, affinché gli altri popoli potessero conoscere e temere la potenza dei suoi interventi. Anche gli ebrei avrebbero abbandonato l’adorazione degli idoli per offrire un culto sincero all’Eterno. PP 217.1
Mosè e Aronne entrarono ancora una volta nelle imponenti sale del palazzo reale. I due rappresentanti del popolo schiavo erano lì, tra le superbe colonne, i ricchi ornamenti, i dipinti preziosi e le immagini scolpite degli dèi pagani, per ripetere al faraone l’ordine divino di liberare Israele. Il sovrano, per assicurarsi che fossero stati inviati da Dio, pretese un segno miracoloso. Mosè e Aronne erano già stati istruiti su come agire in questa situazione e così Aronne prese il bastone, lo gettò ai piedi del faraone, ed esso si trasformò in serpente. “Faraone a sua volta chiamò i savi e gli incantatori” ognuno dei quali “gettò il suo bastone, e i bastoni diventaron serpenti; ma il bastone d’Aaronne inghiottì i bastoni di quelli”. Esodo 7:11, 12. Il sovrano, sempre più deciso, dichiarò che i suoi indovini avevano gli stessi poteri di Mosè e Aronne e li denunciò come impostori. Era tanto sicuro di sé che rifiutò ancora una volta di acconsentire alle loro richieste. Nonostante il disprezzo con cui il sovrano aveva accolto il loro messaggio, Dio gli impedì di fare del male ai suoi inviati. Il miracolo che si era verificato sotto gli occhi del faraone non era stato determinato dai poteri miracolosi di Mosè o Aronne, ma da Dio stesso. Questi segni straordinari avrebbero dovuto convincere il faraone che era stato il grande “Io sono” a inviare Mosè, e che era suo dovere far partire gli israeliti, affinché potessero adorare il Dio vivente. I maghi erano riusciti a realizzare prodigi straordinari perché non avevano agito con i loro mezzi, ma grazie alla potenza di Satana che li aiutava a simulare l’opera dell’Eterno. PP 217.2
In realtà, i maghi non erano riusciti a trasformare i bastoni in serpenti: i loro incantesimi e l’aiuto del diavolo avevano prodotto l’apparenza di un fenomeno reale. Satana, infatti, pur possedendo tutta la sapienza e il potere di un angelo decaduto, non avrebbe mai potuto trasformare i bastoni in serpenti, perché non può creare la vita: questa è una prerogativa che appartiene solo a Dio. Tuttavia, egli fece tutto ciò che era in suo potere: simulare un miracolo. Apparentemente quei bastoni sembravano serpenti veri, tanto che perfino il faraone e la sua corte li credettero uguali a quello di Mosè; allora il Signore fece in modo che il vero serpente divorasse quelli falsi. Ma neppure quest’azione fu considerata dal faraone un segno della potenza divina: infatti, egli l’attribuì a un potere magico superiore a quello dei suoi servitori. PP 218.1
Volendo giustificare la sua ostinazione nel rifiutare l’ordine divino, il sovrano cercò un pretesto per diminuire la credibilità dei miracoli che Dio aveva compiuto tramite Mosè. L’occasione gli fu offerta da Satana stesso: l’incantesimo compiuto dai maghi fece sì che gli egiziani considerassero i miracoli di Mosè e Aronne come il risultato di un abile sortilegio. Il loro messaggio, dunque, non poteva essere considerato come proveniente da Dio. Con questo inganno, Satana ottenne ciò che desiderava: fomentare la ribellione da parte degli egiziani, inducendo il faraone a chiudere la propria coscienza a qualsiasi tentativo di persuasione. Inoltre, sperava di indurre Mosè e Aronne a dubitare dell’origine divina della loro missione; in questo modo, le forze del male avrebbero avuto il sopravvento. Egli non voleva che i figli d’Israele fossero liberati dalla schiavitù per servire il Dio vivente. PP 218.2
Tuttavia, una motivazione ancora più profonda aveva spinto Satana a manifestare i suoi prodigi attraverso i maghi. Egli sapeva bene che Mosè, liberando i figli d’Israele dalla schiavitù, avrebbe rappresentato il Cristo, colui che un giorno avrebbe liberato l’umanità dal dominio del male. Sapeva che quando il Cristo sarebbe apparso, potenti miracoli avrebbero dimostrato al mondo che Dio stesso lo aveva inviato. Questa prospettiva lo terrorizzava: simulando i prodigi che Dio realizzava tramite Mosè sperava non solo di impedire la liberazione degli israeliti, ma anche distruggere la fede nei miracoli che il Cristo avrebbe compiuto. Satana cerca continuamente di contraffare l’opera di Gesù e far prevalere il suo potere e le sue rivendicazioni. Egli induce le persone a considerare i miracoli descritti nei Vangeli come frutto di poteri umani. In questo modo annulla nella mente di molti la fede in Cristo come Figlio di Dio e li induce a rifiutare la grazia che offre il piano della redenzione. PP 218.3
Il giorno seguente a Mosè e Aronne fu chiesto di recarsi sulla riva del fiume. Le benefiche inondazioni del Nilo rappresentavano una garanzia di cibo e benessere per tutto l’Egitto: per questo, il fiume veniva adorato come un dio e il sovrano vi si recava ogni giorno per presentargli le sue preghiere. I due fratelli, dopo aver ripetuto ancora una volta il loro messaggio, stesero il bastone e colpirono l’acqua. Il fiume “sacro” si trasformò in sangue, i pesci morirono e le acque assunsero un odore ripugnante. L’acqua che era nelle case e le riserve contenute nelle cisterne furono anch’esse trasformate in sangue. PP 219.1
Ma “i magi d’Egitto fecero lo stesso con le loro arti occulte... E Faraone, volte ad essi le spalle, se ne andò a casa sua, e neanche di questo fece alcun caso”. Esodo 7:22, 23. PP 219.2
La piaga continuò per sette giorni, senza che ciò facesse cambiare decisione al sovrano. Il bastone fu steso sull’acqua una seconda volta e dal fiume uscirono le rane, che invasero tutto l’Egitto. Entrarono nelle case, si infilarono nelle camere da letto, nei forni, nelle madie e nei mastelli. La rana era considerata dagli egiziani un animale sacro, che essi non potevano uccidere. Quel viscido flagello diventò presto intollerabile. Infatti, le rane invasero perfino il palazzo reale: il faraone era impaziente di liberarsene. I maghi sembravano avere il potere di riprodurre lo stesso fenomeno, ma non riuscirono ad allontanare l’invasione delle rane. PP 219.3
La situazione era umiliante. Il faraone fece chiamare Mosè e Aronne e disse loro: “...Pregate l’Eterno che allontani le rane da me e dal mio popolo e io lascerò andare il popolo perché offra sacrifizi all’Eterno”. Esodo 8:8. Dopo avergli ricordato l’atteggiamento presuntuoso usato in precedenza, essi chiesero che fosse fissato il momento in cui pregare per far cessare la piaga. Il sovrano indicò il giorno successivo, sperando che nel frattempo le rane sparissero da sole: questo gli avrebbe risparmiato l’amara umiliazione di sottomettersi al Dio d’Israele. Ma la piaga continuò fino al tempo stabilito, quando in tutto l’Egitto le rane morirono e i corpi in putrefazione contaminarono l’aria con il loro odore. PP 219.4
Il Signore avrebbe potuto trasformare le rane in polvere in un momento, ma non lo fece. Non voleva che il re e il popolo egiziano attribuissero la fine del flagello a un incantesimo o a una stregoneria simili a quelli compiuti dai maghi. Le rane morte furono ammassate in grandi mucchi. Davanti al sovrano e a tutti gli egiziani vi era una prova che la loro sterile filosofia non poteva confutare; quei prodigi non erano frutto di una magia, ma costituivano un giudizio del Dio del cielo. PP 219.5
“Ma quando Faraone vide che v’era un po’ di respiro s’ostinò in cuor suo”. Esodo 8:15. Al comando di Dio Aronne stese la mano e in tutto il paese d’Egitto la polvere della terra si trasformò in zanzare. Il faraone chiese ai maghi di fare la stessa cosa, ma essi non vi riuscirono. La superiorità dell’intervento divino era evidente davanti alle imitazioni prodotte da Satana; i maghi stessi riconobbero: “Questo è il dito di Dio”. Esodo 8:19. Ma il sovrano rimaneva ancora impassibile. PP 219.6
Gli appelli e gli avvertimenti furono inutili e così il paese fu colpito da una nuova punizione. Il momento in cui si sarebbe verificata fu predetto con precisione, in modo che non potesse essere attribuito al caso. Innumerevoli mosche riempirono le case e ricoprirono il terreno e “...in tutto il paese d’Egitto la terra fu guasta dalle mosche velenose”. Esodo 8:24. PP 220.1
La loro puntura era molto dolorosa sia per gli uomini sia per gli animali; come era stato predetto, esse non infestarono la terra di Goscen. PP 220.2
A questo punto il faraone offrì agli israeliti il permesso di compiere i loro riti in Egitto, ma essi rifiutarono. “...Non si può far così” replicò Mosè “...se offrissimo sotto i loro occhi dei sacrifici che sono un abominio per gli egiziani, non ci lapiderebbero essi?” Esodo 8:26. Gli animali che gli ebrei avrebbero dovuto sacrificare erano considerati sacri dagli egiziani: l’uccisione di un solo esemplare, anche se per cause accidentali, era ritenuto un crimine punibile con la morte. Sarebbe stato impossibile svolgere questi atti di culto in Egitto senza essere accusati di sacrilegio. Ancora una volta Mosè chiese al sovrano di permettere agli israeliti di allontanarsi a una distanza di tre giornate di cammino, nel deserto. Il faraone acconsentì e chiese a Mosè e Aronne di pregare affinché la piaga cessasse. Essi promisero di farlo, ma lo avvertirono di non tentare ancora di ingannarli. Il flagello finì, ma il sovrano era diventato di nuovo inflessibile. Ostinandosi nel suo atteggiamento ribelle, egli rifiutò ancora una volta di concedere il suo permesso. PP 220.3
Seguì allora una calamità ancora più terribile: una malattia mortale colpì tutto il bestiame che si trovava nei campi. Distrusse sia gli animali sacri sia quelli da soma. Era stato predetto che la piaga non avrebbe colpito gli ebrei. Lo stesso faraone, attraverso dei messaggeri inviati presso gli israeliti, volle constatare l’adempiersi della dichiarazione di Mosè. “...Neppure un capo del bestiame degl’israeliti era morto...”. Esodo 9:7. Ma il sovrano era ancora irremovibile. PP 220.4
Dio disse quindi a Mosè di prendere della cenere da una fornace e di spargerla “verso il cielo, sotto gli occhi di Faraone”. Si trattava di un gesto molto significativo: quattrocento anni prima, Dio aveva preannunciato ad Abramo la futura schiavitù del suo popolo servendosi dell’immagine di una fornace fumante e di una lampada ardente. In quella profezia, il Signore aveva dichiarato che gli oppressori d’Israele sarebbero stati più volte puniti, finché non avessero liberato il popolo dalla sua prigionia. Allora gli ebrei sarebbero partiti con grandi ricchezze. PP 220.5
In Egitto, Israele aveva sofferto a lungo nella fornace del dolore. Quel gesto di Mosè doveva ricordare agli israeliti che Dio non si era dimenticato del patto stipulato e che il tempo della loro liberazione era giunto. PP 221.1
Non appena la cenere fu lanciata verso l’alto essa si sparse per tutto l’Egitto: ovunque si posava produceva “ulceri germoglianti pustole sulle persone e sugli animali”. Esodo 9:10. Anche i sacerdoti e i maghi, che in precedenza avevano incoraggiato il faraone nel suo atteggiamento inflessibile, furono colpiti da quella piaga ripugnante e dolorosa. Lo stesso potere di cui si erano vantati, li esponeva ora al disprezzo della gente. Non potevano più opporsi al Dio d’Israele. Allora tutta la nazione capì quanto fosse insensato confidare in quei maghi, che non riuscivano a proteggere neppure se stessi. Ma la coscienza del faraone divenne sempre più insensibile e allora il Signore gli inviò questo messaggio: “...Questa volta manderò tutte le mie piaghe... sul tuo popolo, affinché tu conosca che non c’è nessuno simile a me su tutta la terra... Io t’ho lasciato sussistere per questo, per mostrarti la mia potenza...”. Esodo 9:14, 16. Non significa che Dio lo avesse fatto nascere per questo scopo. Tuttavia, il Signore diresse gli eventi della storia in modo che l’orgoglioso tiranno regnasse proprio nel periodo stabilito per la liberazione d’Israele. Il suo atteggiamento ostinato lo privò del perdono divino, ma permise che l’intervento di Dio si manifestasse in tutta la sua forza. Dio guida gli eventi. Egli avrebbe potuto porre sul trono d’Egitto un sovrano più clemente, che non osasse opporsi alle imponenti manifestazioni della potenza divina, ma in tal caso il piano di Dio non si sarebbe realizzato. Il suo popolo doveva sperimentare la dolorosa crudeltà degli egiziani: in questo modo, nessuno avrebbe potuto ingannarlo riguardo agli effetti degradanti dei culti pagani. Attraverso le varie calamità che colpirono l’Egitto, Dio dimostrò tutta la sua avversione per l’idolatria e la sua determinazione nel punire la crudeltà e l’oppressione. PP 221.2
Parlando del faraone il Signore aveva affermato: “...Gl’indurerò il cuore, ed egli non lascerà partire il popolo”. Esodo 4:21. In realtà il cuore del sovrano non fu reso insensibile dall’intervento di un potere soprannaturale. Dio aveva offerto al faraone prove evidenti del suo potere, ma egli si rifiutò ostinatamente di accettare quell’insegnamento che, al contrario, lo rese sempre più inflessibile nella sua ribellione. Le premesse di questo atteggiamento che si erano delineate al suo rifiuto di riconoscere il primo miracolo diedero infine i loro frutti. Dopo l’ultimo flagello il faraone fu costretto a contemplare il volto freddo ed esanime del figlio primogenito. PP 221.3
Attraverso i suoi servitori Dio parla agli uomini, offre loro avvertimenti e rimproveri, denuncia le loro colpe, concede a ogni individuo l’opportunità di correggere i propri errori prima che diventino parte del loro carattere. Quando tutto ciò incontra il rifiuto dell’uomo, l’influsso divino non interviene per neutralizzare la tendenza creata da errori commessi in modo consapevole: essa metterà radici sempre più profonde e la coscienza dell’individuo diventerà insensibile all’influsso dello Spirito Santo. Se la sua azione sarà ripetutamente respinta, anche gli interventi più potenti saranno inutili e il loro influsso sarà solo momentaneo. PP 222.1
Chi ha ceduto una volta alla tentazione, continuerà con facilità sempre maggiore. Ripetere un errore significa indebolire la volontà, la sensibilità morale e la fermezza dei princìpi. Ogni cedimento al male implica conseguenze negative. Dio non compirà nessun miracolo per evitarle. “...Quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà”. Galati 6:7. Chi manifesta un atteggiamento di sfida e una costante indifferenza alle verità divine, raccoglierà ciò che egli stesso ha seminato. Questo è il motivo per cui folle intere ascoltano con stoica passività le stesse verità che un tempo le scuotevano. Questo atteggiamento è la conseguenza dei loro persistenti rifiuti di fronte alla verità. PP 222.2
È sbagliato soffocare i rimorsi della coscienza pensando che un comportamento negativo si può sempre cambiare, se lo si desidera. Non ci si può prendere gioco di Dio: quanti osano farlo ripetutamente, agiscono a proprio rischio. Benché abbiano scelto di seguire il male, compromettendo tutte le loro potenzialità, ritengono che quando si troveranno in un pericolo estremo, potranno cambiare direzione. Ma non è così semplice. Se il fondamento delle esperienze di un individuo e della sua educazione è il permissivismo, finirà per modificare irrimediabilmente il carattere: egli diventerà insensibile all’esempio di Gesù. Coloro che hanno accolto gli avvertimenti divini si trovano invece in una situazione diversa: il Signore può intervenire e offrire loro quel perdono che non avrebbero più potuto ottenere, se l’avessero a lungo respinto e disprezzato. PP 222.3
Il faraone ricevette l’annuncio della piaga della grandine con queste parole: “Or dunque manda a far mettere al sicuro il tuo bestiame e tutto quello che hai per i campi. La grandine cadrà su tutta la gente e su tutti gli animali che si troveranno per i campi e non saranno stati raccolti in casa, e morranno”. Esodo 9:19. In Egitto pioveva e grandinava raramente e una tempesta come quella predetta non era mai stata vista. La notizia si diffuse in fretta: tutti coloro che credettero alle parole di Dio misero al riparo il bestiame. Quanti invece disprezzarono l’avvertimento, lasciarono i loro animali nei campi. Anche nell’eseguire una punizione Dio manifestava la sua misericordia: il popolo fu messo alla prova e ciò permise di individuare le persone che rispettavano Dio soltanto davanti a fenomeni prodigiosi. PP 222.4
La tempesta scoppiò come previsto: “...Ci fu grandine e fuoco guizzante del continuo tra la grandine; e la grandine fu così forte, come non ce n’era stata di simile in tutto il paese d’Egitto, da che era diventato nazione. E la grandine percosse, in tutto il paese d’Egitto, tutto quello ch’era per i campi: uomini e bestie; e la grandine percosse ogni erba dei campi e fracassò ogni albero della campagna”. Esodo 9:24, 25. L’angelo della distruzione aveva seminato rovina e devastazione, risparmiando solo la regione di Goscen. Gli egiziani ebbero così una nuova dimostrazione dell’autorità divina: anche la natura ubbidisce agli ordini di Dio e l’uomo può salvarsi solo attraverso l’ubbidienza. PP 223.1
Tutto l’Egitto tremò di fronte a questa terribile manifestazione del giudizio divino. Il faraone mandò subito a chiamare i due fratelli. Quando furono giunti a palazzo gridò loro: “...Questa volta io ho peccato; l’Eterno è giusto, mentre io e il mio popolo siamo colpevoli. Pregate l’Eterno perché cessino questi grandi tuoni e la grandine: e io vi lascerò andare, e non sarete più trattenuti”. Esodo 9:27, 28. PP 223.2
Mosè rispose con queste parole: “Come sarò uscito dalla città, protenderò le mani all’Eterno; i tuoni cesseranno e non ci sarà più grandine, affinché tu sappia che la terra è dell’Eterno. Ma quanto a te e ai tuoi servitori, io so che non avrete ancora timore dell’Eterno Iddio”. Esodo 9:29, 30. PP 223.3
Sapeva che la sua lotta non era finita. Le confessioni e le promesse del faraone non erano suggerite da un reale cambiamento delle sue convinzioni e dei suoi sentimenti, ma solo dal terrore e dall’angoscia. Tuttavia Mosè non volle offrigli alcun pretesto che potesse giustificare una sua ulteriore ostinazione e promise di accettare la sua richiesta. Quando il profeta uscì, incurante della tempesta che imperversava, il faraone e tutto il suo seguito ebbero una nuova prova della potenza di Dio, che proteggeva il suo messaggero. Giunto fuori della città, Mosè “...protese le mani all’Eterno, e i tuoni e la grandine cessarono, e non cadde più pioggia sulla terra”. Esodo 9:33. Non appena fu cessato il pericolo, il sovrano ritrovò la sua sicurezza e decise ancora una volta di non mantenere fede alle promesse fatte. PP 223.4
Allora il Signore disse a Mosè: “...Va’ da Faraone; poiché io ho reso ostinato il suo cuore e quello dei suoi servitori, per fare in mezzo a loro i segni che vedrai, e perché tu narri ai tuoi figliuoli e ai figliuoli dei tuoi figliuoli quello che ho operato in Egitto e i segni che ho fatto in mezzo a loro, onde sappiate che io sono l’Eterno”. Esodo 10:1, 2. Con queste manifestazioni di potenza, il Signore voleva rafforzare la fede d’Israele e mostrare con prove inequivocabili quale differenza esistesse fra il suo popolo e gli egiziani. Tutte le nazioni avrebbero dovuto riconoscere che gli ebrei, disprezzati e oppressi, erano protetti da Dio. PP 223.5
Mosè avvertì il sovrano: se non avesse ceduto sarebbe sopraggiunta un’altra piaga; le locuste avrebbero ricoperto il paese, divorando tutto il verde che era rimasto. Esse avrebbero riempito le case, senza risparmiare il palazzo reale. Il flagello avrebbe avuto una violenza tale che “...né i tuoi padri né i padri dei tuoi padri videro mai, dal giorno che furono sulla terra, al dì d’oggi”. Esodo 10:6. PP 224.1
I consiglieri del faraone rimasero atterriti; il paese aveva già subito grosse perdite a causa della mortalità che aveva colpito il bestiame. Molta gente era stata uccisa dalla grandine, le foreste erano state devastate e i raccolti distrutti. L’Egitto aveva perso molto più di quanto avessero guadagnato con il lavoro degli ebrei. Tutto il paese era minacciato dalla fame. I prìncipi e i dignitari di corte, adirati, istigarono il faraone: “...Fino a quando quest’uomo ci sarà come un laccio? Lascia andare questa gente, e che serva l’Eterno, l’Iddio suo! Non sai tu che l’Egitto è rovinato?” Esodo 10:7. Il re ricevette ancora una volta Mosè e Aronne e disse loro: “...Andate, servite l’Eterno, l’Iddio vostro; ma chi son quelli che andranno?” Esodo 10:8. PP 224.2
Mosè rispose: “Noi andremo coi nostri fanciulli e coi nostri vecchi, coi nostri figliuoli e con le nostre figliuole; andremo coi nostri greggi e coi nostri armenti, perché dobbiam celebrare una festa all’Eterno”. Esodo 10:9. PP 224.3
Allora il sovrano, infuriato, gridò: “...Così sia l’Eterno con voi, com’io lascerò andare voi e i vostri bambini! Badate bene, perché avete delle cattive intenzioni! No, no; andate voi uomini, e servite l’Eterno; poiché questo è quel che cercate. E Faraone li cacciò dalla sua presenza”. Esodo 10:10, 11. Il monarca che aveva cercato di distruggere gli israeliti schiacciandoli con un duro lavoro pretendeva ora, stranamente, di avere a cuore il loro bene e preoccuparsi dei loro figli! Il suo vero scopo era in realtà quello di trattenere le donne e i bambini per assicurarsi il ritorno degli uomini. Mosè allora stese il suo bastone verso il paese e si sollevò un vento orientale che portò le locuste. “...Erano in sì grande quantità, che prima non ce n’eran mai state tante, né mai più tante ce ne saranno”. Esodo 10:14. Esse riempirono il cielo fino a oscurarlo e divorarono tutta la vegetazione che era rimasta. PP 224.4
Il faraone chiamò con urgenza i profeti e disse: “...Io ho peccato contro l’Eterno, l’Iddio vostro, e contro voi. Ma ora perdona, ti prego, il mio peccato, questa volta soltanto; e supplicate l’Eterno, l’Iddio vostro, perché almeno allontani da me questo flagello mortale”. Esodo 10:16, 17. Così fecero e un forte vento orientale portò via le locuste oltre il mar Rosso; ma il monarca continuò nella sua ostinazione. PP 225.1
Il popolo egiziano si trovava in una situazione disperata. Le calamità che lo avevano colpito avevano provocato danni irreparabili, che facevano temere per il futuro del paese. Fino a quel momento il popolo aveva adorato il faraone come rappresentante della divinità: i recenti avvenimenti avevano dimostrato che il sovrano d’Egitto si era opposto a un Essere che domina le forze della natura. PP 225.2
Gli schiavi ebrei, favoriti in maniera così miracolosa, cominciarono a sentire vicina la loro liberazione: i padroni non li opprimevano più come prima. Gli egiziani, pur senza manifestarlo, temevano infatti la ribellione degli israeliti, perché si sarebbero potuti vendicare delle ingiustizie subite. Tutti si chiedevano cosa sarebbe successo il giorno dopo. PP 225.3
All’improvviso, il paese fu avvolto da un’oscurità così fitta che quasi si poteva “palpare”. Non solo il popolo veniva privato della luce, ma con l’oscurità l’aria era diventata così opprimente da togliere il respiro. “Uno non vedeva l’altro e nessuno si mosse di dove stava, per tre giorni, ma tutti i figliuoli d’Israele aveano della luce nelle loro dimore”. Esodo 10:23. PP 225.4
Gli egiziani adoravano il sole e la luna: quella misteriosa oscurità rappresentava una sconfitta per tutto l’Egitto. Gli egiziani e le loro divinità erano stati umiliati dal Dio che proteggeva gli schiavi.2Le piaghe — Studiando la religione egiziana notiamo che le piaghe dovevano servire per demolire la fiducia che gli egiziani avevano nella potenza e nella protezione dei loro idoli, e far comprendere che queste divinità tormentavano loro adoratori. La prima piaga che trasformò l’acqua del Nilo e di tutti i canali in sangue (cfr. Esodo 7:19) era diretta contro la fonte di sussistenza dell’Egitto. Il fiume Nilo veniva considerato con religioso rispetto e in varie località gli venivano offerti sacrifici come a un dio. Con la seconda piaga tutto l’Egitto si riempì di rane. Cfr. Esodo 8:6. Questi animali erano considerati sacri dagli egiziani che avevano un idolo, Heqa, con la testa di rana e al quale attribuivano poteri creativi. Quando le rane, per ordine di Mosè, si moltiplicarono al punto da riempire tutto il paese, gli egiziani avranno forse cominciato a chiedersi perché Heqa tormentasse così i suoi fedeli invece di proteggerli. Con la seconda piaga, presumibilmente pensarono di essere stati colpiti dall’odio di uno degli dèi del pantheon egiziano. Cfr. Esodo 9:3. Per esempio, il toro Apis era dedicato a Fta, il padre di tutti gli dèi; la mucca era consacrata a Hathor, una delle dee più venerate nella valle del Nilo mentre il capro rappresentava vari dèi, come Khnemu e il dio Amen con la testa di capro che era la divinità più importante dell’Egitto durante il primo periodo del Nuovo Impero. Quindi la piaga che uccise gli animali consacrati agli dèi egiziani rivelò la loro impotenza agli stessi adoratori. La nona piaga (cfr. Esodo 10:21) era diretta contro uno dei più grandi dèi egiziani, il re sole Ra, che era stato adorato fin dai tempi più remoti della storia del paese. In una terra in cui il cielo non si rannuvolava quasi mai, il sole veniva riconosciuto come potenza infallibile che forniva calore, luce, vita e sviluppo a tutto il mondo. Tutti i re d’Egitto si consideravano “figli di Ra”, come appare dai loro titoli. Quando durante la diciottesima dinastia, Amen di Tebe divenne il dio principale dell’Egitto, la potenza del re sole Ra era considerata talmente grande che si arrivò a un compromesso: Amen e Ra diventarono un solo dio, Amen-Ra. Qualche anno dopo l’esodo, quando Ikhnaton introdusse un monoteismo di breve durata, l’unico dio che rimase fu il dio Aton, il disco solare. Data la diffusione del culto del sole nella vita religiosa degli egiziani attraverso gli dèi Ra, Amen-Ra e Aton, possiamo comprendere perché la piaga diretta contro questo dio fosse stata lanciata sull’Egitto quasi al culmine del conflitto fra il Dio degli ebrei e i suoi avversari egiziani. Anche la decima piaga, l’uccisione di tutti i primogeniti (cfr. Esodo 12:29), colpiva almeno uno degli dèi, il re Horus, figlio di Osiride. Come governatore dello stato del Nilo egli veniva chiamato dai sudditi il “buon dio”. Quindi, l’ultima piaga coronò l’azione potente e miracolosa del Dio degli ebrei. Sino a quel momento gli dèi che controllavano le forze della natura o degli animali erano stati disonorati, ma adesso un dio che viveva in forma visibile fra gli egiziani era stato umiliato dal Dio degli schiavi ebrei, di cui il faraone aveva detto: “...Chi è l’Eterno ch’io debba ubbidire alla sua voce e lasciar andare Israele? Io non conosco l’Eterno e non lascerò affatto andare Israele”. Esodo 5:2. Per quanto fosse terribile, questa punizione dimostrava la misericordia del Signore e come Egli fosse riluttante a condannare quella nazione a una distruzione definitiva. Il nono flagello doveva dare al popolo egiziano il tempo di riflettere e pentirsi, prima che sopraggiungesse l’ultimo castigo, che sarebbe stato il più terribile. PP 225.5
Infine la paura indusse il faraone a fare una nuova concessione. Alla fine del terzo giorno di oscurità egli convocò Mosè e diede a tutto il popolo il permesso di partire, a patto che il bestiame non venisse condotto nel deserto. “Anche il nostro bestiame verrà con noi, senza che ne rimanga addietro neppure un’unghia” replicò Mosè con decisione “poiché... noi non sapremo con che dovremo servire l’Eterno finché sarem giunti colà”. Esodo 10:26. Il faraone, furioso, perse il controllo e gridò: “...Vattene via da me! Guardati bene dal comparire più alla mia presenza. Poiché il giorno che comparirai alla mia presenza, tu morrai!” Esodo 10:28. PP 225.6
“...Hai detto bene; io non comparirò più alla tua presenza” (Esodo 10:29) rispose il profeta. PP 226.1
“...Mosè era personalmente in gran considerazione nel paese d’Egitto, agli occhi dei servitori di Faraone e agli occhi del popolo”. Esodo 11:3. Gli egiziani avevano paura di lui. Il re non osava fargli del male, perché il popolo riteneva che Mosè fosse l’unico ad avere il potere di far cessare le piaghe. Tutto l’Egitto desiderava che gli israeliti ottenessero il permesso di lasciare il loro paese. Solo il faraone e i sacerdoti si opponevano ancora alle richieste di Mosè. PP 226.2