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La speranza dell’uomo

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    Capitolo 48: Chi è il più grande?

    Tornando a Capernaum, Gesù non passò nei luoghi dove aveva insegnato al popolo, ma cercò con i suoi discepoli, senza clamore, una casa per risiedervi temporaneamente. In questo periodo del suo soggiorno in Galilea, voleva istruire i discepoli piuttosto che lavorare per la folla.SU 326.1

    Nel viaggio attraverso la Galilea, Gesù aveva cercato ancora di preparare l’animo dei discepoli agli avvenimenti che stavano per accadere. Disse loro che sarebbe salito a Gerusalemme dove l’avrebbero condannato a morte e poi sarebbe risuscitato. Preannunciò loro l’evento straordinario e solenne della sua consegna nelle mani dei nemici. Neppure in quel momento i discepoli compresero le sue parole. Sebbene l’ombra di un gran dolore si proiettasse su di loro, uno spirito di rivalità sorse nei loro cuori, ed essi discutevano fra loro per stabilire chi sarebbe stato il più importante nel regno.SU 326.2

    Non volevano che Gesù sapesse di questo contrasto; diversamente dal solito, non camminavano al suo fianco, ma lo seguivano. Quando entrarono in Carpernaum, Egli li precedette. Gesù, conoscendo i loro pensieri, volle consigliarli e istruirli, e attese un momento tranquillo in cui i loro cuori sarebbero stati disposti a ricevere le sue parole.SU 326.3

    Appena entrati nella città, l’esattore delle imposte del tempio si rivolse a Pietro con questa domanda: “Il vostro maestro non paga egli le didramme?” Matteo 17:24. Non si trattava di un’imposta civile ma religiosa, che ogni ebreo doveva pagare una volta l’anno per il mantenimento del tempio. Il rifiuto di pagarla sarebbe stato considerato come un atto di slealtà verso il tempio, una gravissima colpa agli occhi dei rabbini. L’atteggiamento del Salvatore verso le leggi dei rabbini e il suo esplicito biasimo nei confronti dei difensori della tradizione avrebbero offerto un pretesto per accusarlo di voler abolire il servizio del tempio. I suoi nemici avevano individuato un’occasione per screditarlo e trovarono così un pronto alleato nell’esattore delle imposte.SU 326.4

    Pietro scorse nella domanda dell’esattore un’insinuazione contro la lealtà del Cristo verso il tempio. Desideroso di difendere l’onore del Maestro, rispose subito, senza consultarlo, che Gesù pagava l’imposta.SU 326.5

    Ma Pietro aveva capito solo in parte l’intenzione dell’esattore. Alcune categorie di persone erano esentate dal pagamento di quell’imposta. Al tempo di Mosè, i leviti furono assegnati al servizio del santuario e non ricevettero nessuna eredità tra il popolo. Il Signore disse: “Perciò Levi non ha parte né eredità coi suoi fratelli; l’Eterno è la sua eredità”. Deuteronomio 10:9. Anche ai tempi di Gesù i sacerdoti e i leviti erano considerati consacrati al tempio, e non si chiedeva loro alcun contributo per il suo mantenimento. Anche i profeti non erano tenuti a questo pagamento. Chiedendo a Gesù questa imposta, i rabbini lo respingevano come profeta e come maestro, e lo trattavano come una persona comune. Un rifiuto da parte sua di pagare il tributo avrebbe significato slealtà verso il tempio; mentre il pagamento sarebbe stato la prova che Egli non era un profeta.SU 326.6

    Solo poco prima Pietro aveva riconosciuto in Gesù il Figlio di Dio; ma in quel momento si lasciava sfuggire l’opportunità di far conoscere il carattere del suo Maestro. Dicendo all’esattore che Gesù pagava l’imposta, aveva virtualmente sanzionato la falsa idea di Gesù a cui i sacerdoti e i capi cercavano di fare riferimento.SU 327.1

    Quando Pietro entrò in casa, il Salvatore, senza alludere a ciò che era successo, chiese: “Che te ne pare, Simone? i re della terra da chi prendono i tributi o il censo? dai loro figliuoli o dagli stranieri?” Pietro rispose: “Dagli stranieri”. E Gesù disse: “I figliuoli, dunque, ne sono esenti”. Matteo 17:25, 26. I figli del re sono esenti dal pagamento delle imposte dovute dal popolo per il mantenimento dei re. In questo modo Israele, che si professava popolo di Dio, doveva mantenere il suo servizio; mentre Gesù, il Figlio di Dio, non era soggetto a questo obbligo. Se i sacerdoti e i leviti erano esentati dal pagamento per il loro rapporto con il tempio, quanto più doveva esserlo colui per il quale il tempio era la casa del Padre.SU 327.2

    Se Gesù avesse pagato l’imposta senza protestare, avrebbe riconosciuto la validità di quella pretesa e avrebbe rinnegato la sua divinità. Ma, sebbene ritenesse opportuno accogliere quella richiesta, respinse la motivazione sulla quale si basava. Provvedendo al pagamento dell’imposta, dette una prova della sua divinità. Manifestò di essere una stessa cosa con Dio, e quindi di non essere obbligato al pagamento come un suddito del regno.SU 327.3

    “Ma, per non scandalizzarli” disse a Pietro “vattene al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che verrà su; e, apertagli la bocca, troverai uno statère. Prendilo, e dallo loro per me e per te ”. Matteo 17:27.SU 327.4

    Sebbene la sua divinità avesse rivestito l’umanità, questo miracolo manifestò la sua gloria. Egli era colui che attraverso Davide aveva detto: “Perché mie son tutte le bestie della foresta, mio è il bestiame ch’è per i monti a migliaia. Io conosco tutti gli uccelli dei monti, e quel che si muove per la campagna è a mia disposizione. Se avessi fame, non te lo direi, perché il mondo, con tutto quel che contiene, è mio”. Salmi 50:10-12.SU 327.5

    Gesù affermò chiaramente che non aveva nessun obbligo di pagare l’imposta, tuttavia non entrò in polemica con i giudei su questo punto. Essi avrebbero ritorto contro di lui le sue parole. Per evitare di offenderli, fece ciò che non era tenuto a fare. Era questa una lezione di grande valore per i discepoli. Per la loro fede sarebbero avvenuti notevoli mutamenti nelle loro relazioni con i servizi del tempio, ma il Cristo insegnò loro di non mettersi, senza necessità, in contrasto con l’ordine stabilito. Nei limiti del possibile dovevano evitare di suscitare false interpretazioni della loro fede. I cristiani non devono sacrificare neppure un punto fondamentale della verità, ma nella misura del possibile dovrebbero evitare le polemiche.SU 328.1

    Mentre Pietro era andato al mare, Gesù chiamò intorno a sé gli altri discepoli e chiese loro: “Di che discorrevate per via?” Marco 9:33. La presenza di Gesù e la sua domanda posero il problema in una luce diversa da come era apparso mentre discutevano lungo la strada. Per un senso di vergogna e di colpa rimasero silenziosi. Gesù aveva detto che doveva morire per loro e le loro ambizioni egoistiche si ponevano in contrasto con il suo amore disinteressato.SU 328.2

    Quando Gesù disse che sarebbe stato ucciso e poi sarebbe risorto, voleva che i discepoli si esprimessero su questa grande prova di fede. Se fossero stati pronti a comprendere ciò che Egli voleva che conoscessero, avrebbero potuto evitare la disperazione e un’amara angoscia. Le sue parole sarebbero state loro di conforto nell’ora del lutto e della delusione. Sebbene Gesù avesse parlato con molta chiarezza di ciò che lo aspettava, il riferimento a un suo prossimo viaggio a Gerusalemme accese di nuovo le loro speranze sul ristabilimento del regno. Perciò avevano discusso su chi avrebbe occupato le cariche più importanti. Al ritorno di Pietro dal mare, i discepoli lo informarono sulla domanda del Salvatore e così qualcuno osò chiedere a Gesù: “Chi è dunque il maggiore nel regno dei cieli?” Matteo 18:1.SU 328.3

    Il Salvatore raccolse i discepoli intorno a sé, e disse loro: “Se alcuno vuol essere il primo, dovrà essere l’ultimo di tutti e il servitor di tutti”. Marco 9:35. C’era in queste parole una solennità e una forza che i discepoli erano ben lontani dal comprendere. Non potevano vedere quello che il Cristo vedeva, e non compresero la natura del regno del Cristo. Quell’ignoranza fu la causa apparente della loro contesa. Ma la causa reale era più profonda. Il Cristo poteva calmare momentaneamente le loro dispute spiegando la natura del suo regno, ma la causa profonda sarebbe rimasta. Il problema del primo posto avrebbe fatto sorgere delle questioni anche dopo aver ricevuto una completa conoscenza. Quello spirito sarebbe stato disastroso per la chiesa dopo l’ascensione del Cristo. La lotta per il posto più importante era la manifestazione di quello stesso spirito che stava all’origine della grande lotta nei cieli, a causa della quale il Cristo discese dal cielo per morire. Lassù, quello spirito sorse in Lucifero, “astro mattutino”, superiore nella gloria a tutti gli angeli che circondavano il trono di Dio, e unito da stretti legami con il Figlio di Dio. Lucifero aveva detto: “Sarò simile all’Altissimo”. Isaia 14:12, 14. Il desiderio dell’affermazione di sé aveva provocato una lotta in cielo ed era stato la causa dell’allontanamento di tanti angeli di Dio. Se Lucifero avesse realmente desiderato essere simile all’Altissimo, non avrebbe mai abbandonato il suo posto in cielo. Lo spirito dell’Altissimo si manifesta nel servizio disinteressato. Lucifero desiderava la potenza di Dio, non il suo carattere. Cercò per sé il posto più importante, e ogni essere animato dal suo stesso spirito agisce nello stesso modo. Diventano inevitabili l’odio, la discordia e la guerra. Il potere viene considerato come il premio più ambito. Il regno di Satana è il regno della prepotenza; ciascuno considera l’altro come un ostacolo alla propria affermazione o uno strumento del quale servirsi per accedere a posizioni più elevate.SU 328.4

    Mentre Lucifero considerava di gran valore poter diventare uguale a Dio, il Cristo, “non riputò rapina l’essere uguale a Dio, ma annichilì se stesso, prendendo forma di servo e divenendo simile agli uomini; ed essendo trovato nell’esteriore come un uomo, abbassò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte della croce”. Filippesi 2:6-8. Ora la croce era proprio davanti a lui; ma i suoi discepoli erano così pieni di egoismo — il principio che è alla base del regno di Satana — che non potevano né simpatizzare con il loro Signore né comprenderlo quando parlava della sua umiliazione per loro.SU 329.1

    Con tenerezza, ma con chiarezza, Gesù cercò di correggere la loro concezione errata. Indicò il principio più importante del regno dei cieli, e mostrò in che cosa consiste la vera grandezza secondo l’ideale divino. Coloro che sono animati dall’orgoglio e dall’amore del primato pensano a se stessi e alla ricompensa che dovranno ricevere piuttosto che ringraziare Dio per i doni ricevuti. Essi non troveranno posto nel regno dei cieli, perché hanno militato nelle file di Satana.SU 329.2

    L’umiltà precede la gloria. Per svolgere un compito importante davanti agli uomini, Dio chiama dei collaboratori che, come Giovanni Battista, scelgano un posto umile davanti a lui. Il discepolo il cui spirito è simile a quello dei fanciulli, è il più efficiente nel servizio per il Signore. Gli angeli collaborano con chi cerca di salvare gli uomini anziché esaltare se stesso. Colui che sente più profondamente il bisogno dell’aiuto divino, pregherà per ottenerlo e lo Spirito Santo gli concederà la stessa visione di Gesù, capace di rafforzare ed elevare l’animo. Nella comunione con il Cristo, opererà per coloro che periscono nei loro peccati. Se riceverà l’unzione divina, avrà successo là dove molti uomini intelligenti e colti non sono riusciti. Ma quando gli uomini si esaltano, sentendosi indispensabili per il successo del piano di Dio, il Signore li mette da parte: Egli non dipende da loro. L’opera non si arresta per la loro esclusione ma, al contrario, progredisce con maggiore potenza.SU 330.1

    Non era sufficiente che i discepoli di Gesù fossero istruiti circa la natura del suo regno. Avevano bisogno di un cambiamento del cuore per sentirsi in armonia con quei princìpi. Gesù chiamò vicino a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e dopo averlo abbracciato, disse: “In verità io vi dico: Se non mutate e non diventate come i piccoli fanciulli, non entrerete punto nel regno dei cieli”. Matteo 18:3. Le doti che il cielo apprezza sono la semplicità, il disinteresse e l’amore fiducioso dei fanciulli: queste sono le caratteristiche della vera grandezza.SU 330.2

    Gesù spiegò ancora ai discepoli che il suo regno non consiste in ostentazione e fasto. Ai piedi di Gesù tutte queste distinzioni vengono dimenticate. Il ricco e il povero, il dotto e l’ignorante si incontrano senza nessun pregiudizio di casta o di preminenza terrena. Tutti si incontrano come uomini riscattati dal sacrificio del Cristo, ugualmente dipendenti da colui che li ha acquistati a Dio.SU 330.3

    L’uomo sincero e pentito è prezioso agli occhi di Dio. Egli pone il suo suggello sugli uomini, non per la loro dignità, non per la loro ricchezza, non per la loro sapienza, ma per la loro unione con il Cristo. Il Signore della gloria si compiace di coloro che sono mansueti e umili di cuore. “Tu m’hai anche dato lo scudo della tua salvezza, e la tua destra m’ha sostenuto, e la tua benignità m’ha fatto grande”. Salmi 18:35.SU 330.4

    “E chiunque riceve un cotal piccolo fanciullo nel nome mio” dice Gesù “riceve me”. Matteo 18:5. “Così parla l’Eterno: Il cielo è il mio trono, e la terra è lo sgabello de’ miei piedi... Ecco su chi io poserò lo sguardo: su colui ch’è umile, che ha lo spirito contrito, e trema alla mia parola”. Isaia 66:1, 2.SU 330.5

    Le parole del Salvatore suscitarono nei discepoli un sentimento di sfiducia in sé. Sebbene esse non avessero colpito nessuno direttamente, Giovanni sottopose a Gesù un’azione che avevano compiuto, per sapere se avevano agito bene. Con lo spirito di un bambino, gli disse: “Maestro, noi abbiam veduto uno che cacciava i demoni nel nome tuo, il quale non ci seguita; e glielo abbiamo vietato perché non ci seguitava”. Marco 9:38.SU 331.1

    Giacomo e Giovanni avevano pensato di difendere l’onore di Dio ordinando a quest’uomo di non cacciare più i demoni. Ma sospettavano di essere stati gelosi dei loro privilegi. Riconobbero il loro errore e accettarono il rimprovero di Gesù. “Non glielo vietate, poiché non v’è alcuno che faccia qualche opera potente nel mio nome, e che subito dopo possa dir male di me”. Marco 9:39. Nessuno che manifestasse in qualche modo simpatia verso il Cristo doveva essere ostacolato. Molti erano stati toccati dal carattere e dall’opera di Gesù; i loro cuori si erano aperti a lui in fede. I discepoli, che non potevano leggere i veri moventi del cuore, dovevano stare attenti a non scoraggiarli. Quando Gesù li avrebbe lasciati e l’opera sarebbe stata affidata a loro, avrebbero dovuto manifestare la stessa simpatia che avevano visto nel Maestro, senza uno spirito gretto ed esclusivo.SU 331.2

    Noi non possiamo proibire a nessuno di lavorare per il Signore solo perché non si conforma in tutto alle nostre idee e alle nostre opinioni. Il Cristo è il grande Maestro e il nostro compito non consiste nel giudicare o comandare, ma nel sedersi con umiltà ai piedi di Gesù e imparare da lui. Ogni spirito rigenerato dal Signore è un mezzo attraverso il quale il Cristo rivela il suo amore e il suo perdono. Dovremmo stare attenti a non scoraggiare nessuno che trasmette la luce di Dio, per non offuscare quei raggi di luce che dovrebbero risplendere nel mondo.SU 331.3

    La severità o la freddezza di un discepolo verso qualcuno che il Cristo sta attirando a sé — un atto come quello di Giovanni che aveva impedito di operare miracoli nel nome del Cristo — può spingere un’anima nel sentiero del nemico e causarne la perdita. Gesù dice che “meglio sarebbe per lui che gli fosse messa al collo una macina da mulino, e fosse gettato in mare”. E aggiunge: “E se la tua mano ti fa intoppare, mozzala; meglio è per te entrar monco nella vita, che aver due mani e andartene nella geenna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti fa intoppare, mozzalo; meglio è per te entrar zoppo nella vita, che aver due piedi ed esser gittato nella geenna”. Marco 9:42-45.SU 331.4

    Perché questo linguaggio così deciso? Perché “il Figliuol dell’uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perito”. Luca 19:10. I discepoli dimostreranno per gli uomini un minor riguardo di quanto ne ha dimostrato il re dei cieli? Ogni anima è costata un prezzo infinito, ed è un terribile peccato allontanarla dal Cristo e rendere inutile l’amore, l’umiliazione e l’agonia del Salvatore.SU 331.5

    “Guai al mondo per gli scandali! Poiché, ben è necessario che avvengan degli scandali; ma guai all’uomo per cui lo scandalo avviene!” Matteo 18:7. Il mondo, guidato da Satana, si opporrà certamente ai discepoli del Cristo e cercherà di distruggerne la fede; ma guai a colui che, pur professando il nome del Cristo, compie l’opera di Satana. Il nostro Signore è disonorato da coloro che pretendono di servirlo ma che travisano il suo carattere. Agendo così ingannano gli uomini e li inducono a sbagliare.SU 332.1

    A nessun costo deve essere compiuta un’azione che possa portare al peccato e disonorare il Cristo. Ciò che disonora Dio non può assicurare benefici. Le benedizioni del cielo non possono essere accordate a nessun uomo che viola gli eterni princìpi della legge. Un solo peccato accarezzato è sufficiente a degradare il carattere e sviare altre persone. Se per salvare il corpo dalla morte vale la pena mozzare una mano o un piede e anche togliere un occhio, a maggior ragione varrà la pena estirpare il peccato che provoca la morte spirituale!SU 332.2

    Durante il servizio rituale si aggiungeva del sale a ogni sacrificio, e significava, come l’offerta dell’incenso, che solo la giustizia del Cristo può rendere accettevole quell’offerta a Dio. Riferendosi a questa consuetudine, Gesù disse: “E ogni sacrificio deve esser salato con sale”. Marco 9:49 (Diodati). Aggiunse: “Abbiate del sale in voi stessi, e state in pace gli uni con gli altri”. Marco 9:51 (Diodati). Tutti coloro che presentano se stessi “in sacrificio vivente, santo, accettevole a Dio” (Romani 12:1) ricevono il sale che preserva: la giustizia del nostro Salvatore. Essi allora diventano “il sale della terra” e frenano il male fra gli uomini, come il sale preserva dalla corruzione. Cfr. Matteo 5:13. Ma se il sale ha perso il suo sapore, se vi è soltanto una professione di pietà senza l’amore del Cristo, allora manca il potere del bene. Quella vita non può esercitare sul mondo un influsso di preservazione. Gesù dice ai discepoli che la loro forza e la loro efficienza nel costruire il suo regno dipendono dal dono dello Spirito. Devono essere partecipi della sua grazia per poter diventare un profumo di vita per la vita. Allora cesseranno le rivalità, il desiderio di affermare se stessi, la ricerca dei primi posti. Saranno animati da quell’amore che non ricerca il proprio bene, ma il benessere dell’altro.SU 332.3

    Il peccatore pentito rivolga il suo sguardo su “l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo” (Giovanni 1:29); in quella contemplazione sarà trasformato. Il suo timore si muterà in gioia, il suo dubbio in speranza. Nascerà in lui la riconoscenza, il cuore di pietra si spezzerà e un flusso di amore inonderà l’animo. Il Cristo diventerà in lui una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna. Quando contempliamo Gesù, l’uomo che ha sperimentato dolore e sofferenza mentre opera per la salvezza dei perduti, disprezzato, schernito, deriso, pronto ad andare da una città a un’altra, fino al compimento della sua missione; quando noi lo contempliamo nel Getsemani mentre suda gocce di sangue, sulla croce nell’agonia della morte; quando lo contempliamo così, allora il nostro io non cerca più la propria esaltazione. Guardando Gesù ci vergogniamo della nostra freddezza, del nostro torpore, del nostro egoismo. Siamo lieti di essere qualsiasi cosa o anche niente, per adempiere con tutto il cuore il servizio del Maestro. Ci rallegriamo di portare la croce dietro a Gesù e sopportare prove, offese e persecuzioni per il suo amore.SU 332.4

    “Or noi che siam forti, dobbiam sopportare le debolezze de’ deboli e non compiacere a noi stessi”. Romani 15:1. Nessun uomo che crede in Cristo, per quanto la sua fede sia debole e i suoi passi incerti come quelli di un bambino, deve essere disprezzato. Noi siamo debitori verso i meno privilegiati per quello che abbiamo in più rispetto agli altri: nella cultura, nell’educazione, nel carattere, nel servizio cristiano, nell’esperienza religiosa e, per quanto ci è possibile, dobbiamo metterlo al loro servizio. Se siamo forti, dobbiamo sollevare le mani dei deboli. Gli angeli della gloria che contemplano continuamente il nostro Padre compiono con gioia il loro servizio in favore dei più deboli. Essi si occupano in particolare di coloro che sono incerti e hanno grossi difetti di carattere. Gli angeli sono sempre presenti dove c’è più bisogno, vicino a coloro che combattono le più dure battaglie e vivono nell’ambiente più difficile. Il vero discepolo del Cristo collaborerà a quell’opera.SU 333.1

    Se uno di questi deboli si lascia sopraffare dal male e commette un errore nei vostri confronti, dovrete aiutarlo a rialzarsi. Non aspettate che sia lui a fare il primo passo per la riconciliazione. Gesù dice: “Che vi par egli? Se un uomo ha cento pecore e una di queste si smarrisce, non lascerà egli le novantanove sui monti per andare in cerca della smarrita? E se gli riesce di ritrovarla, in verità vi dico ch’ei si rallegra più di questa che delle novantanove che non si erano smarrite. Così è voler del Padre vostro che è nei cieli, che neppure un solo di questi piccoli perisca”. Matteo 18:12-14.SU 333.2

    Con dolcezza, badando a voi stessi affinché non siate tentati, andate da chi ha sbagliato e parlategli a tu per tu, senza che altri siano presenti. Cfr. Galati 6:1. Non svergognate chi ha peccato raccontando ad altri le sue colpe; non arrecate disonore al Cristo rendendo pubblico il peccato e l’errore di qualcuno che porta il suo nome. Spesso la verità deve essere detta al peccatore con chiarezza affinché egli sia indotto a riconoscere il proprio errore e se ne possa emendare. Ma voi non dovete né giudicare né condannare. Che tutti i vostri tentativi mirino al recupero, senza soddisfazioni per il proprio orgoglio. Quando si trattano le ferite dell’anima si deve possedere molto tatto e grande sensibilità. In questo caso può giovare soltanto l’amore che sgorga da colui che ha sofferto sul Calvario. Il fratello tratti il fratello con tenerezza, ricordando che se avrà successo “salverà l’anima di lui dalla morte e coprirà moltitudine di peccati”. Giacomo 5:20.SU 333.3

    Ma anche questo tentativo potrebbe risultare infruttuoso. Allora, dice Gesù, “prendi teco ancora una o due persone”. Matteo 18:16. Forse l’accordo di alcuni potrà riuscire dove uno solo non è riuscito. Non essendo implicati nella questione, essi agiranno con maggiore imparzialità, e il loro consiglio sarà più facilmente ascoltato da colui che ha sbagliato.SU 334.1

    Se non vorrà ascoltare neppure quelli, allora, e non prima di allora, la questione dovrà essere presentata davanti all’assemblea dei credenti. I membri di chiesa, come rappresentanti del Cristo, si uniscano in preghiera e agiscano con amore affinché colui che ha sbagliato si ravveda. Lo Spirito Santo parlerà attraverso i suoi servitori e opererà in quell’anima affinché ritorni a Dio. L’apostolo Paolo, ispirato dal Signore, scrive: “Come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome del Cristo: Siate riconciliati con Dio”. 2 Corinzi 5:20. Colui che respinge queste azioni rompe il legame che lo unisce al Cristo e si separa dalla comunione della chiesa. Per questo Gesù dice: “Siati come il pagano e il pubblicano”. Matteo 18:17. Però che non lo si consideri come definitivamente escluso dalla misericordia di Dio. Quelli che sono stati suoi fratelli non lo disprezzino e non lo trascurino, ma lo trattino con tenerezza e compassione, come una pecora perduta che il Cristo cerca ancora di portare all’ovile.SU 334.2

    Le istruzioni di Gesù sul modo di trattare i peccatori riprendono in modo più specifico gli insegnamenti dati a Israele attraverso Mosè. “Non odierai il tuo fratello in cuor tuo; riprendi pure il tuo prossimo, ma non ti caricare d’un peccato a cagion di lui”. Levitico 19:17. Questo può accadere se uno non adempie il dovere indicato dal Cristo. Chi non cerca di sollevare coloro che sono caduti nell’errore e nel peccato, diventa partecipe del peccato. Siamo responsabili del male che avremmo potuto impedire, come se lo avessimo compiuto noi stessi.SU 334.3

    Ma dobbiamo parlare del peccato solo con colui che lo ha commesso. Non dobbiamo fare di questo errore un argomento di discussione o di critica. Neppure dopo che il caso è stato presentato alla chiesa. Conoscere gli errori dei cristiani è per i non credenti solo un motivo di intoppo, e soffermandoci su questi argomenti possiamo riceverne solo un danno. Noi siamo trasformati secondo l’immagine di quello che contempliamo. Quando cerchiamo di correggere gli errori di un fratello, lo Spirito del Cristo ci spinge a difenderlo il più possibile dalle critiche dei suoi fratelli e maggiormente dalla censura del mondo incredulo. Noi stessi sbagliamo e abbiamo bisogno della pietà e del perdono del Cristo, ed Egli ci ordina di trattare gli altri nello stesso modo in cui vogliamo essere trattati da lui.SU 335.1

    “Io vi dico in verità che tutte le cose che avrete legate sulla terra, saranno legate nel cielo; e tutte le cose che avrete sciolte sulla terra, saranno sciolte nel cielo”. Matteo 18:18. Voi siete gli ambasciatori del cielo, e il risultato della vostra opera si proietta nell’eternità.SU 335.2

    Ma noi non dobbiamo portare da soli questa grande responsabilità. Il Cristo è presente ovunque la sua parola è seguita sinceramente. Non solo nella chiesa, ma ovunque i suoi discepoli, per quanto pochi, si incontrano nel suo nome. Egli dichiara: “Se due di voi sulla terra s’accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli”. Matteo 18:19.SU 335.3

    Gesù dice “Padre mio che è nei cieli” per ricordare ai suoi discepoli che mentre con la sua umanità è legato ad essi, partecipa alle loro prove e simpatizza con le loro sofferenze, con la sua divinità è legato al trono dell’Infinito. Una promessa meravigliosa! Gli angeli si uniscono agli uomini con la loro simpatia e la loro opera in favore della salvezza dei perduti. Tutta la potenza del cielo collabora con l’uomo per condurre altri al Cristo.SU 335.4

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