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La speranza dell’uomo

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    Capitolo 8: La visita di pasqua

    Il dodicesimo anno di età segnava per gli israeliti il passaggio dalla fanciullezza alla gioventù. A questa età un adolescente era chiamato figlio della legge e figlio di Dio. Riceveva un’istruzione religiosa a livello superiore ed era ammesso alle feste sacre e ai riti. In ottemperanza a questa consuetudine Gesù andò per la Pasqua a Gerusalemme. Come ogni pio israelita, Giuseppe e Maria si recavano ogni anno ad assistere alla Pasqua; e quando Gesù ebbe raggiunto l’età stabilita, i suoi genitori lo portarono con loro.SU 46.1

    Tre volte l’anno, in occasione della Pasqua, della Pentecoste e della festa dei Tabernacoli, tutti gli israeliti dovevano presentarsi davanti al Signore a Gerusalemme. La festa a cui assisteva il maggior numero di persone era quella di Pasqua. Molti venivano da tutti i paesi nei quali gli israeliti erano dispersi. Grandissima era l’affluenza da tutta la Palestina. Erano necessari parecchi giorni per recarsi dalla Galilea a Gerusalemme e i pellegrini, per stare in compagnia e per difendersi in caso di necessità, viaggiavano in gruppi numerosi. Le donne e i vecchi cavalcavano buoi o asini su strade ripide e rocciose, mentre gli uomini forti e i giovani andavano a piedi. Dato che la festa di Pasqua cadeva fra gli ultimi giorni di Marzo e i primi di Aprile, tutto il paesaggio era allietato dai fiori e dal canto degli uccelli. Lungo il cammino, i luoghi memorabili della storia d’Israele offrivano ai genitori l’occasione di raccontare i prodigi operati da Dio in favore del suo popolo. Il canto e la musica alleviavano le fatiche del viaggio, e quando apparivano all’orizzonte le torri di Gerusalemme tutte le voci si univano in un inno di trionfo: “I nostri passi si son fermati entro le tue porte, o Gerusalemme... Pace sia entro i tuoi bastioni, e tranquillità nei tuoi palazzi!” Salmi 122:2, 7.SU 46.2

    La Pasqua era stata istituita al nascere della nazione ebraica. L’ultima notte della schiavitù in Egitto, quando non s’intravvedeva alcuna possibilità di liberazione, Dio aveva ordinato al suo popolo di prepararsi per una partenza immediata. Egli aveva avvertito Faraone del castigo finale che avrebbe colpito gli egiziani e ordinato agli ebrei di riunire le famiglie nelle loro case. Essi, dopo aver spruzzato gli stipiti delle porte con il sangue di un agnello, dovevano mangiarne la carne arrostita con pane non lievitato ed erbe amare. “E mangiatelo in questa maniera: coi vostri fianchi cinti, coi vostri calzari ai piedi e col vostro bastone in mano; e mangiatelo in fretta: è la Pasqua dell’Eterno”. Esodo 12:11. A mezzanotte tutti i primogeniti degli egiziani erano stati uccisi. Allora Faraone aveva inviato a Israele questo messaggio: “Levatevi, partite di mezzo al mio popolo... andate, servite l’Eterno, come avete detto” (Esodo 12:31), e gli ebrei avevano lasciato l’Egitto come un popolo libero. Il Signore aveva ordinato che la Pasqua venisse celebrata ogni anno. “E quando i vostri figliuoli vi diranno: Che significa per voi questo rito? risponderete: Questo è il sacrifizio della Pasqua in onore dell’Eterno, il quale passò oltre le case dei figliuoli d’Israele in Egitto, quando colpì gli Egiziani e salvò le nostre case”. Esodo 12:26, 27. Così la storia di quella liberazione meravigliosa veniva ripetuta di generazione in generazione.SU 46.3

    La Pasqua era seguita dalla festa dei pani azzimi, che durava sette giorni. Il secondo giorno si presentava al Signore, come primizia della messe, un covone d’orzo. Tutte le cerimonie di questa festa erano simboli dell’opera del Cristo. La liberazione d’Israele dall’Egitto era un’immagine tangibile della redenzione che la Pasqua ricordava ogni anno. L’agnello immolato, il pane senza lievito, il covone delle primizie, rappresentavano il Signore.SU 47.1

    Per la maggior parte dei contemporanei del Cristo, l’osservanza di questa festa era degenerata nel formalismo; ma per il Figlio di Dio essa aveva un grande significato.SU 47.2

    Per la prima volta Gesù vide il tempio. Scorse i sacerdoti vestiti di bianco, nell’atto di adempiere il loro solenne ufficio e vide sull’altare dei sacrifici le vittime sanguinanti. Si inchinò per pregare con gli altri fedeli mentre la nube d’incenso saliva verso Dio e partecipò ai riti solenni del servizio pasquale. Con il passare dei giorni, ne comprendeva sempre più il significato. Ogni atto sembrava collegato con la sua vita. Nuove visioni si schiudevano davanti a lui. Silenzioso e assorto aveva l’aria di riflettere su un grave problema. Al Salvatore si svelava il mistero della sua missione.SU 47.3

    Contemplando queste scene si allontanò dai genitori per restare solo. Terminate le cerimonie pasquali, si attardò nei cortili del tempio e, quando i pellegrini partirono, rimase indietro.SU 47.4

    Portandolo a Gerusalemme, i genitori volevano fargli conoscere i grandi maestri d’Israele. Sebbene ubbidisse fedelmente alla Parola di Dio, non si conformava alle prescrizioni e agli usi dei rabbini. Giuseppe e Maria speravano che Egli sarebbe stato indotto a riverire di più i dotti rabbini e a prestare più attenzione ai loro insegnamenti. Ma nel tempio Gesù era stato istruito da Dio. E cominciò a divulgare ciò che aveva ricevuto.SU 47.5

    Secondo l’uso delle scuole dei profeti, un locale attiguo al tempio era adibito a scuola. Là i principali rabbini si incontravano con i loro studenti. Gesù entrò in quell’aula, si sedette ai piedi di quei dotti e ascoltò il loro insegnamento. Come un discepolo in cerca d’istruzioni, li interrogò sulle profezie e sugli eventi relativi alla venuta del Messia.SU 48.1

    Gesù appariva assetato della conoscenza di Dio. Le sue domande svelavano verità profonde, da lungo tempo trascurate, ma d’importanza vitale per la salvezza. Ognuna di esse metteva in luce la grettezza e la superficialità del sapere di quei maestri e contemporaneamente faceva scorgere un nuovo aspetto della verità. I rabbini parlavano della grandezza straordinaria a cui il Messia avrebbe condotto la nazione ebraica; ma Gesù ricordava loro le profezie di Isaia e chiedeva il significato dei passi che annunciavano la sofferenza e la morte dell’Agnello di Dio.SU 48.2

    I dottori, a loro volta, lo interrogavano e restavano stupiti per le sue risposte. Egli ripeteva con la semplicità di un bambino i passi delle Scritture, svelandone una profondità di significato che questi dotti non avevano concepito. Se le verità su cui egli richiamava la loro attenzione fossero state seguite, ci sarebbe stata una riforma nella vita religiosa, sarebbe sorto un grande interesse per le realtà spirituali e molti avrebbero accettato Gesù fin dall’inizio del suo ministero.SU 48.3

    I rabbini sapevano che Gesù non aveva frequentato le loro scuole. Ma Egli conosceva le profezie molto meglio di loro. Sembrò ai dottori che quel ragazzo galileo così riflessivo fosse una grande promessa. Desideravano averlo come discepolo per farne un dottore d’Israele. Volevano assumersi il compito della sua istruzione, ritenendo che una mente così capace dovesse formarsi alla loro scuola.SU 48.4

    Quei capi si commossero alle parole di Gesù, come non era mai accaduto prima. Dio voleva illuminarli e si serviva del solo mezzo efficace. Erano uomini orgogliosi che non volevano ammettere di poter essere istruiti da chicchessia. Se Gesù si fosse presentato loro in veste di Maestro, si sarebbero sdegnosamente rifiutati di ascoltarlo. Ma di fronte a quel bambino ritenevano di essere loro stessi dei maestri e di poterne valutare la conoscenza delle Scritture. I loro pregiudizi erano annullati dalla modestia e dalla grazia giovanile di Gesù. Senza che se ne rendessero conto, le loro menti si aprivano alla Parola di Dio e lo Spirito Santo parlava al loro cuore.SU 48.5

    Non potevano fare a meno di riconoscere che la loro attesa del Messia non era conforme alle profezie, ma non si decidevano a rinunciare alle idee che tanto lusingavano le loro ambizioni. Non volevano ammettere di aver frainteso le Scritture che pretendevano di insegnare. Si chiedevano l’un l’altro: “Da dove viene la sapienza di questo ragazzo, privo di istruzione?” Cfr. Luca 2:47. La luce brillava nelle tenebre, ma “le tenebre non l’hanno ricevuta”. Giovanni 1:5.SU 48.6

    Nel frattempo, Giuseppe e Maria erano preoccupati. Nel lasciare Gerusalemme avevano perso di vista Gesù: non sapevano che era rimasto indietro. Poiché alla popolazione del paese, allora piuttosto numerosa, si aggiungevano molte persone delle comitive provenienti dalla Galilea, vi era già tanta confusione quando lasciarono la città. Lungo la strada, poi, il piacere di trovarsi con amici e conoscenti assorbì la loro attenzione, e solo la sera si accorsero dell’assenza di Gesù. Fermatisi per una sosta, sentirono la mancanza del loro figlio premuroso. Pensando che si trovasse con il resto della comitiva, lì per lì non si preoccuparono. Avevano fiducia in lui, anche se era ancora un fanciullo, e sapevano che al momento del bisogno sarebbe stato pronto ad aiutarli, prevenendo i loro desideri, come aveva sempre fatto. Ma, non vedendolo, cominciarono a essere in apprensione. Fecero ricerche in tutta la comitiva, ma invano. Si ricordarono con terrore di ciò che Erode aveva tramato per ucciderlo, mentre era ancora in fasce. Il loro cuore fu invaso da cupi presentimenti e rivolsero a se stessi amari rimproveri.SU 49.1

    Tornati a Gerusalemme, proseguirono le ricerche. Il giorno dopo, mentre erano nel tempio tra i fedeli, una voce ben nota colpì le loro orecchie. Non v’erano dubbi. Nessun’altra voce assomigliava alla sua, così seria, calda e armoniosa.SU 49.2

    Trovarono Gesù nella scuola dei rabbini. Per quanto felici, non poterono dimenticare i timori e le ansietà provate. Quando Egli li raggiunse, la madre con tono di dolce rimprovero gli chiese: “Figliuolo, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io ti cercavamo, stando in gran pena... Perché mi cercavate?” rispose Gesù “Non sapevate ch’io dovea trovarmi nella casa del Padre mio?” Luca 2:48, 49. Mentre sembrava che non comprendessero le sue parole, Egli alzò verso il cielo il volto, sul quale si riflesse la luce della divinità. I genitori avevano assistito nel tempio al suo colloquio con i rabbini ed erano rimasti stupiti per le sue domande e le sue risposte. Le sue parole produssero in loro un’impressione incancellabile.SU 49.3

    La domanda che Gesù rivolse ai genitori conteneva una lezione. “Non sapevate ch’io dovea trovarmi nella casa del Padre mio?” Egli era impegnato nella sua opera per il mondo, ma Giuseppe e Maria avevano trascurato la loro. Dio li aveva onorati affidando loro suo Figlio. Gli angeli avevano guidato Giuseppe nella via da seguire per preservare la vita di Gesù. Ma per un giorno intero avevano perso di vista colui che non avrebbero dovuto dimenticare neppure per un momento. E una volta cessata la loro preoccupazione, invece di rimproverare se stessi avevano rimproverato il figlio.SU 49.4

    Per Giuseppe e Maria era naturale considerare Gesù come figlio. Egli era sempre con loro e assomigliava per molti aspetti agli altri fanciulli. Era quindi difficile per i genitori riconoscere in lui il Figlio di Dio, ma così rischiavano di non apprezzare il beneficio della presenza del Salvatore del mondo. Il dolore della separazione momentanea e il tenero rimprovero contenuto nelle parole di Gesù, li avevano resi maggiormente consapevoli del valore sacro del loro compito.SU 50.1

    Nella sua risposta alla madre, Gesù mostrò per la prima volta di aver compreso la natura della sua relazione con Dio. Prima che le nascesse il figlio, l’angelo aveva detto a Maria: “Questi sarà grande, e sarà chiamato Figliuol dell’Altissimo, e il Signore Iddio gli darà il trono di Davide suo padre, ed egli regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà mai fine”. Luca 1:32, 33. Maria aveva meditato su queste parole. Ma, pur credendo che quel fanciullo fosse il Messia d’Israele, non ne comprendeva la missione. In quel momento non capì le sue parole, ma si rese conto che dichiarandosi Figlio di Dio aveva negato la sua parentela con Giuseppe.SU 50.2

    Gesù, però, non ignorava il suo legame con i genitori terreni. Tornò a casa con loro e li aiutò nel lavoro. Nascose nel cuore il mistero della sua missione, aspettando con sottomissione il momento stabilito per l’inizio del suo ministero. Per diciotto anni, dopo aver dichiarato di essere il Figlio di Dio, mantenne i suoi vincoli con la casa di Nazaret e compì i suoi doveri di figlio, di fratello, di amico e di cittadino.SU 50.3

    Dopo aver compreso nel tempio la sua missione, Gesù si allontanò dalla folla. Desiderò tornare a vivere tranquillamente con coloro che conoscevano il segreto della sua vita. Con il servizio di Pasqua, Dio voleva allontanare il suo popolo dalle preoccupazioni terrene e richiamare la sua attenzione sull’opera meravigliosa da lui compiuta nel liberare Israele dall’Egitto. Voleva che in quest’opera scorgessero una promessa di liberazione dal peccato.SU 50.4

    Come il sangue dell’agnello ucciso aveva difeso le case degli israeliti, così il sangue del Cristo avrebbe salvato la loro anima. Ma potevano essere salvati in Cristo solo se accettavano per fede la sua vita. Il servizio simbolico era efficace soltanto se volgeva l’animo dei fedeli verso il Cristo come personale Salvatore. Dio desiderava che studiassero e meditassero con spirito di preghiera la missione del Cristo. Ma quando le comitive lasciavano Gerusalemme, l’eccitazione del viaggio e la compagnia degli amici troppo spesso assorbivano la loro attenzione e il servizio veniva completamente dimenticato. Il Salvatore non era attratto dalla loro compagnia.SU 50.5

    Mentre Giuseppe e Maria tornavano da Gerusalemme, soli con Gesù, egli sperava di riuscire a farli riflettere sulle profezie del Messia sofferente. Sul Calvario egli cercherà di alleviare la sofferenza della madre. Già in quel momento pensava a lei. Maria sarebbe stata testimone della sua ultima agonia e Gesù desiderava che comprendesse la sua missione: doveva fortificarsi per sopportare la spada che le avrebbe trafitto l’anima. Come Gesù era stato diviso da lei che lo aveva cercato con dolore per tre giorni così, al momento del suo sacrificio per i peccati del mondo, sarebbe stato separato dalla madre per lo stesso periodo di tre giorni. Ma all’uscita dalla tomba il dolore di Maria si sarebbe tramutato in gioia. Avrebbe sopportato meglio l’angoscia della sua morte se avesse compreso le Scritture, verso le quali egli cercava di volgere la sua attenzione!SU 51.1

    Se Giuseppe e Maria fossero rimasti in intima comunione con Dio, mediante la preghiera e la meditazione, avrebbero compreso meglio il carattere sacro del loro compito e non avrebbero perso di vista Gesù. Per la negligenza di un giorno, persero il Salvatore; ma ci vollero tre giorni di ansiose ricerche per poterlo ritrovare. Anche per noi è così. Possiamo perdere in un sol giorno la presenza del Salvatore, con le conversazioni inutili, con la maldicenza, trascurando la preghiera; ma possono occorrere molti giorni di penose ricerche prima di ritrovarlo e riacquistare la pace perduta.SU 51.2

    Nella nostra esperienza quotidiana con gli altri, dovremmo fare attenzione a non dimenticare Gesù, senza neppure accorgerci che egli non è più con noi. Questa separazione dal Cristo e dagli angeli si verifica quando ci lasciamo assorbire dalle realtà terrene a tal punto da non pensare più a lui in cui si accentra la nostra speranza di vita eterna. Gli angeli non possono rimanere dove la presenza del Salvatore non è desiderata né la sua assenza notata. Per questo motivo molto spesso coloro che si professano discepoli del Cristo si scoraggiano.SU 51.3

    Molti partecipano ai servizi religiosi, si sentono rinvigoriti e confortati dalla Parola di Dio; ma, trascurando la meditazione, la vigilanza e la preghiera, perdono la benedizione ottenuta e si ritrovano spiritualmente più poveri di prima. Spesso ritengono che Dio li abbia trattati con durezza. Non si rendono conto che è colpa loro! Essendosi separati da Gesù, non possono più godere i benefici della sua presenza.SU 51.4

    Per noi sarebbe bene dedicare un’ora al giorno alla meditazione e alla contemplazione della vita del Cristo. Dovremmo esaminarne ogni particolare, immaginando tutte le scene, soprattutto quelle finali. E, mentre ci soffermeremo così sul grande sacrificio compiuto da Gesù per noi, la nostra fiducia diverrà più stabile, il nostro amore più forte e il suo Spirito penetrerà maggiormente in noi. Se vogliamo la salvezza, dobbiamo imparare la lezione del pentimento e dell’umiliazione ai piedi della croce.SU 52.1

    Nell’unirci agli altri possiamo diventare una benedizione reciproca. Se apparteniamo al Cristo, il nostro maggior desiderio sarà pensare a lui. Ci farà piacere parlare di lui e del suo amore, e un influsso divino penetrerà nei nostri cuori. Contemplando la bellezza del suo carattere, noi “siamo trasformati nella stessa immagine di lui, di gloria in gloria”. 2 Corinzi 3:18.SU 52.2

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