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Gli uomini che vinsero un impero

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    Capitolo 43: A Roma

    Con l’inizio della stagione migliore per la navigazione, il centurione e i suoi prigionieri ripresero il loro viaggio per Roma. I viaggiatori si imbarcarono su una nave di Alessandria, la “Castore e Polluce”, che aveva trascorso l’inverno a Malta, che era sulla rotta per l’occidente. Sebbene rallentato dai venti contrari, il viaggio fu portato a termine senza grandi ostacoli, e la nave gettò l’ancora nel bel porto di Pozzuoli, sulla costa italiana.UVI 280.1

    In questo luogo c’erano alcuni cristiani che invitarono Paolo a restare con loro per una settimana. Il centurione fu ben disposto a concedere questo privilegio. I cristiani di Roma, da quando avevano ricevuto l’epistola di Paolo, aspettavano con ansia la sua visita. Essi non pensavano di vederlo come prigioniero, ma le sue sofferenze lo resero a loro più caro. Dato che la distanza da Pozzuoli a Roma superava di poco le quaranta miglia, e il suo porto era in costante comunicazione con la metropoli, i cristiani di Roma furono informati dell’arrivo di Paolo, e alcuni di loro gli andarono incontro per dargli il benvenuto.UVI 280.2

    L’ottavo giorno di permanenza a terra, il centurione e i suoi prigionieri proseguirono per Roma. Giulio concedeva volentieri all’apostolo tutto quello che gli era possibile, ma non poteva cambiare la sua condizione di prigioniero, né poteva liberarlo dalle catene che lo legavano al soldato che lo sorvegliava. Sebbene l’avesse grandemente desiderato, Paolo attese con tristezza la sua visita alla capitale del mondo. Quanto erano differenti le circostanze presenti da quelle che lui stesso aveva immaginato! Come avrebbe potuto, così incatenato e sofferente, proclamare il Vangelo? La sua speranza di portare molte persone alla verità a Roma sembrava destinata al fallimento.UVI 280.3

    Finalmente i viaggiatori raggiungono il Foro Appio, a quaranta miglia da Roma. Mentre avanzano tra la gente che affolla le strade, l’uomo dai capelli grigi, incatenato a un gruppo di incalliti criminali, riceve occhiate di scherno ed è oggetto della derisione della folla.UVI 280.4

    All’improvviso si ode un grido di gioia, un uomo esce dalla folla e si getta al collo del prigioniero, abbracciandolo con lacrime e allegrezza, come un figlio abbraccerebbe un padre assente da lungo tempo. La scena si ripete più volte. Molti riconoscono nel prigioniero incatenato colui che a Corinto, a Filippi, a Efeso, aveva predicato la Parola della vita. I loro sguardi parlano dell’amore che nutrono per l’apostolo.UVI 280.5

    Mentre gli affettuosi discepoli accorrono numerosi attorno al loro padre nel Vangelo, l’intero gruppo rimane fermo. I soldati sono impazienti a motivo del ritardo, tuttavia non trovano il coraggio di interrompere questo felice incontro, perché anch’essi hanno imparato a rispettare e stimare il loro prigioniero. Nel suo volto stanco e sofferente i discepoli vedono riflessa l’immagine di Cristo. Essi assicurano Paolo che non lo hanno dimenticato né hanno cessato di amarlo; e dichiarano di essere in debito verso di lui per la gioia e la speranza che anima la loro esistenza e assicura loro la pace con Dio. Con entusiasmo essi avrebbero portato Paolo sulle spalle fino in città, se fosse stato loro concesso questo privilegio.UVI 281.1

    Pochi comprendono il significato delle parole di Luca quando scrive che Paolo vedendo i suoi fratelli “rese grazie a Dio e prese animo”. Atti 28:15 (Luzzi). Attorniato dalla simpatia e dalla compassione dei credenti, che non si vergognavano delle sue catene, l’apostolo lodò Dio a voce alta. La nuvola di tristezza che aveva coperto il suo spirito fu spazzata via. La sua vita era stata una successione di prove, di sofferenze e di delusioni, ma in quell’ora si sentì abbondantemente ricompensato. Egli continuò la sua strada con passo certo e cuore allegro. Non si sarebbe lamentato del passato, né avrebbe temuto il futuro. Sapeva che lo attendevano catene e afflizioni, ma riconobbe anche che per merito suo molte anime erano state liberate da una schiavitù ben più terribile, e gioì del fatto che le presenti sofferenze erano dipese dal suo amore per Cristo.UVI 281.2

    A Roma il centurione Giulio consegnò i prigionieri al capitano delle guardie imperiali. Il buon rapporto che egli diede di Paolo, insieme con la lettera di Festo, fece sì che il primo capitano considerasse con favore l’apostolo. Invece di gettarlo in prigione, egli permise che vivesse in una casa presa in affitto. Sebbene fosse costantemente incatenato a un soldato, Paolo ebbe la libertà di ricevere i suoi amici e di lavorare per l’avanzamento dell’opera di Cristo in quella città.UVI 281.3

    Ai numerosi giudei che alcuni anni prima erano stati esiliati da Roma, era stato permesso di ritornare, così ora là c’era un grande numero di queste persone. Paolo decise che a questi, prima di tutti, avrebbe presentato i fatti riguardanti la sua opera, prima che i suoi nemici avessero la possibilità di renderli ostili a lui. Perciò, tre giorni dopo il suo arrivo a Roma, egli chiamò tutti i capi degli ebrei e in maniera semplice e diretta spiegò il motivo del suo soggiorno a Roma come prigioniero.UVI 281.4

    “Fratelli — egli disse loro — senza aver fatto nulla contro il popolo né contro i riti dei padri, io fui arrestato in Gerusalemme, e di là dato in man de’ Romani. I quali, avendomi esaminato, volevano rilasciarmi perché non era in me colpa degna di morte. Ma opponendovisi i Giudei, fui costretto ad appellarmi a Cesare, senza però aver in animo di portare alcuna accusa contro la mia nazione. Per questa ragione dunque vi ho chiamati per vedervi e per parlarvi; perché egli è a causa della speranza d’Israele ch’io sono stretto da questa catena”. Atti 28:17-20 (Luzzi).UVI 282.1

    Egli non riferì l’abuso che aveva subìto dalle mani giudee, né dei loro ripetuti complotti per assassinarlo. Le sue parole furono caute e gentili. Paolo non cercò di attrarre la loro attenzione e simpatia per se stesso, ma si sforzò di difendere la verità e di preservare l’onore del Vangelo.UVI 282.2

    In risposta, i suoi ascoltatori affermarono che non avevano ricevuto alcuna accusa contro di lui né per lettera né per vie private, e che nessuno dei giudei che erano giunti a Roma lo aveva accusato di un qualche crimine. Costoro espressero anche un grande desiderio di ascoltare personalmente le ragioni della sua fede in Cristo, “perché, quant’è a cotesta setta — dissero — ci è noto che da per tutto essa incontra opposizione”. Atti 28:22 (Luzzi).UVI 282.3

    Poiché loro stessi lo desideravano, Paolo li esortò a fissare un giorno, nel quale egli avrebbe potuto presentare le verità del Vangelo. Al tempo stabilito, essi vennero in molti, “ed egli da mane a sera esponeva loro le cose, testimoniando del regno di Dio e persuadendoli di quel che concerne Gesù, con la legge di Mosè e coi profeti”. Atti 28:23 (Luzzi). Egli raccontò la propria esperienza e presentò gli argomenti dalle scritture dell’Antico Testamento, con semplicità, sincerità ed efficacia.UVI 282.4

    L’apostolo spiegò che la religione non consiste in riti e cerimonie, in dogmi e teorie. Se fosse così, l’uomo naturale potrebbe comprenderla con l’ausilio della ragione, come comprende le cose del mondo. Paolo insegnò che la religione è una energia salvifica, un principio proveniente da Dio. Essa riguarda la vita d’ogni giorno e si determina come l’esperienza personale della potenza rigeneratrice di Dio nell’anima.UVI 282.5

    Egli mostrò che Mosè aveva guidato Israele verso il Cristo, il Profeta che essi avrebbeo dovuto ascoltare. Mostrò che tutti i profeti lo avevano indicato come il grande rimedio di Dio per il peccato, come l’innocente che avrebbe portato i peccati dei colpevoli. Lui non criticò la loro osservanza di forme e cerimonie appartenenti alla tradizione, ma spiegò che mentre osservavano il servizio rituale con grande scrupolo, essi rigettavano l’Antitipo di tutto quel sistema.UVI 282.6

    Paolo spiegò che quando era inconvertito conosceva il Cristo non per esperienza personale, ma semplicemente attraverso il concetto che lui, come altri, si era fatto circa il carattere e l’opera dell’atteso messia. Egli aveva rigettato Gesù di Nazareth, considerandolo un impostore, perché non soddisfaceva quelle aspettative. Il fatto che si fosse convertito gli aveva permesso di comprendere Cristo e la sua missione come parte della sua esperienza spirituale e del suo entusiasmo per la verità. L’apostolo asserì di non presentare loro Cristo secondo la carne. Erode aveva visto Cristo nei giorni della sua umanità; Anna lo aveva visto; Pilato, i sacerdoti e i capi lo avevano visto; i soldati romani lo avevano visto. Ma costoro non lo avevano visto con gli occhi della fede; non avevano riconosciuto in lui il glorioso Redentore. Conoscere Cristo mediante la fede, avere di lui una conoscenza spirituale, era molto più desiderabile che averlo conosciuto quando era sulla terra. La comunione con Cristo, di cui Paolo ora gioiva, era più intima, più durevole, che una semplice relazione umana e terrena.UVI 283.1

    Paolo parlava di quello che sapeva e testimoniava di ciò che aveva visto, dicendo che il Gesù di Nazareth era la speranza d’Isreale. Coloro che cercavano sinceramente la verità furono convinti dalle sue parole. Almeno su alcune menti le sue parole lasciarono una impresione indelebile. Ma altri rifiutarono testardamente di accettare la chiara testimonianza delle Scritture, anche se era stata loro presentata da un uomo illuminato in modo particolare dallo Spirito Santo. Essi non poterono contraddire i suoi argomenti, ma si rifiutarono di accettare le sue conclusioni.UVI 283.2

    Passarono molti mesi dall’arrivo di Paolo a Roma prima che i giudei di Gerusalemme apparissero di persona a presentare le loro accuse contro il prigioniero. Essi erano stati ripetutamente ostacolati nei loro piani. Ora che Paolo stava per essere processato dal più alto tribunale dell’impero romano, non desideravano rischiare un’altra sconfitta. Lisia, Felice, Festo e Agrippa avevano tutti dichiarato la loro convinzione nella sua innocenza. I suoi nemici potevano sperare di aver successo soltanto cercando di conquistarsi con intrighi il favore dell’imperatore. Il ritardo avrebbe permesso di raggiungere il loro scopo perché avrebbe dato il tempo di perfezionare ed eseguire i loro piani. Così aspettarono un po’ di tempo prima di proferire di persona le accuse contro l’apostolo.UVI 283.3

    Dio invece si servì di questo ritardo per favorire l’avanzamento del Vangelo. Paolo aveva conquistato il favore dei soldati preposti alla sua sorveglianza, così aveva potuto procurarsi un comodo alloggio nel quale incontrava i suoi amici e aveva presentato la verità a coloro che ogni giorno venivano ad ascoltarlo. In questo modo la sua opera continuò per altri due anni, “predicando il regno di Dio, e insegnando le cose relative al Signor Gesù Cristo con tutta franchezza e senza che alcuno glielo impedisse”. Atti 28:30, 31 (Luzzi).UVI 283.4

    Durante questo tempo, egli non dimenticò le chiese che aveva fondato in altri luoghi. Comprendendo i pericoli che minacciavano i convertiti alla nuova fede, l’apostolo cercò, per quanto gli fosse possibile, di soddisfare le loro necessità per mezzo di lettere contenenti avvertimenti e istruzioni pratiche. Da Roma egli inviò degli operai consacrati a lavorare non solo nelle chiese che aveva fondato ma anche in quei luoghi che lui non aveva visitato. Questi operai, come dei saggi pastori, rafforzarono l’opera che Paolo aveva così bene iniziato. L’apostolo fu informato costantemente della condizione e dei pericoli delle chiese; questo fatto gli permise di esercitare una saggia supervisione su tutte.UVI 284.1

    Sebbene ora Paolo fosse apparentemente escluso da ogni attività pubblica, egli esercitò un più vasto e più durevole influsso di quello che avrebbe esercitato se fosse stato libero di viaggiare tra le chiese come negli anni precedenti. La sua condizione di prigioniero a motivo della sua fedeltà al Signore aveva accresciuto l’affetto che i fratelli nutrivano nei suoi confronti. Le sue parole, scritte dalla mano di un uomo incatenato per amore di Cristo, esigevano più attenzione e rispetto di quanto gliene avessero mostrato quando era con loro. Soltanto quando Paolo fu separato da loro, i credenti compresero quanto pesante fosse il carico che lui aveva portato per amor loro. Prima, la maggior parte di questi aveva trovato delle scuse per esimersi dalle responsabilità e dagli incarichi, affermando di non possedere la sua saggezza, il suo tatto e la sua indomabile energia. Ora, lasciati nella loro inesperienza a imparare le lezioni che avevano evitato, stimavano il suo lavoro, i suoi avvertimenti, i suoi consigli e le sue istruzioni molto più di quanto avessero fatto in passato. E mentre imparavano dal suo coraggio e dalla sua fede durante la sua lunga prigionia, questi credenti furono stimolati a una maggiore fedeltà e a un più grande zelo per la causa di Cristo.UVI 284.2

    Tra i collaboratori di Paolo a Roma c’erano alcuni dei suoi vecchi compagni di lavoro. Luca, “il medico diletto”, che lo aveva assistito nel suo viaggio a Gerusalemme, durante i due anni di prigione a Cesarea e nel suo pericoloso viaggio a Roma, era ancora con lui. Anche Timoteo lo aiutava. Titico, “il caro fratello e fedel ministro e... compagno di servizio nel Signore” rimase nobilmente al fianco dell’apostolo. Aristarco ed Epafra avevano collaborato con lui. Colossesi 4:7-14.UVI 284.3

    L’esperienza cristiana di Marco era maturata dalla sua professione di fede fatta anni prima. Studiando più attentamente la vita e la morte di Cristo, egli aveva ottenuto una visione sempre più chiara della missione del Salvatore, delle sue prove e dei suoi conflitti. Leggendo nelle mani e nei piedi feriti di Cristo i segni del suo servizio per l’umanità e la profondità del sacrificio compiuto per salvare i perduti, Marco aveva preso la decisione di seguire il Maestro nel sentiero dell’abnegazione. Ora, condividendo l’esperienza di Paolo prigioniero, egli comprese come mai prima che è meglio conquistare l’amore di Cristo che conquistare il mondo e perdere l’anima per la cui salvezza fu sparso il sangue di Cristo. Affrontando severe prove e avversità, Marco continuò a rimanere saldo nella fede, divenendo un saggio e amato assistente dell’apostolo.UVI 284.4

    Dema invece fu fedele per un certo tempo, ma dopo abbandonò la causa di Cristo. Riferendosi a lui, Paolo scrisse: “Dema, avendo amato il presente secolo, mi ha lasciato”. 2 Timoteo 4:10 (Luzzi). Per guadagni mondani Dema barattò ogni nobile ed elevato principio. Quale misero scambio! Anche se avesse accumulato ricchezze e onori terreni, Dema sarebbe sempre rimasto povero. Marco, invece, a motivo della sua scelta di soffrire per amore di Cristo, avrebbe posseduto le ricchezze eterne. Egli era reputato in cielo un erede di Dio e un coerede di suo Figlio.UVI 285.1

    Fra quelli che diedero i loro cuori a Dio attraverso gli sforzi di Paolo in Roma, c’era Onesimo, uno schiavo pagano, che aveva derubato il suo padrone Filemone, un credente cristiano di Colosse, che era fuggito a Roma. Paolo, con la sua sensibilità e la sua gentilezza, cercò di alleviare la povertà e l’afflizione del disgraziato fuggitivo, e poi si sforzò di far penetrare nella sua mente offuscata la luce della verità. Onesimo ascoltò le parole della vita, confessò i suoi peccati e fu convertito alla fede di Cristo.UVI 285.2

    Onesimo si fece voler bene da Paolo per la sua pietà e sincerità come pure per la tenera cura che dimostrò per l’apostolo e per il suo zelo nel promuovere l’opera del Vangelo. Paolo però vide in lui i tratti del carattere che lo avrebbero reso un inutile operaio nel lavoro missionario e lo consigliò di ritornare presto da Filemone, a implorare il suo perdono e a fare progetti per il futuro. L’apostolo promise di provvedere personalmente la somma che era stata rubata a Filemone. Dato che stava mandando Titico con delle lettere indirizzate alle varie chiese dell’Asia Minore, egli mandò con lui Onesimo. Per questo servitore fu una dura prova dover ritornare dal padrone che aveva derubato; nonostante ciò non si trasse indietro dal compiere il proprio dovere. La sua conversione era stata sincera.UVI 285.3

    Paolo diede a Onesimo una lettera da portare a Filemone. In essa, l’apostolo, con il suo consueto tatto e la sua gentilezza, difese la causa dello schiavo pentito, ed espresse il desiderio di poter usufruire dei suoi servizi nel futuro. La lettera iniziava con un affettuoso saluto a Filemone, come amico e collaboratore:UVI 285.4

    “Grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signor Gesù Cristo. Io rendo grazie all’Iddio mio, facendo menzione di te nelle mie preghiere, giacché odo parlare dell’amore e della fede che hai nel Signor Gesù e verso tutti i santi, e domando che la nostra comunione di fede sia efficace nel farti riconoscere ogni bene che si compia in noi, alla gloria di Cristo”. Filemone 3-6 (Luzzi). L’apostolo ricordò a Filemone che qualsiasi buona intenzione e buon tratto di carattere che egli possedeva erano dovuti alla grazia di Cristo; questo solo lo rendeva diverso dai perversi e dai peccatori. La stessa grazia avrebbe potuto trasformare un incallito criminale e farlo diventare un figlio di Dio, un utile operaio del Vangelo.UVI 286.1

    Paolo avrebbe potuto appellarsi al dovere che Filemone aveva come cristiano; ma egli preferì usare il linguaggio della cortesia: “Come Paolo, vecchio, e adesso anche prigioniero di Cristo Gesù; ti prego per il mio figliuolo che ho generato nelle mie catene, per Onesimo che altra volta ti fu disutile, ma che ora è utile a te ed a me”. Filemone 9-11 (Luzzi).UVI 286.2

    L’apostolo chiese a Filemone, in vista della conversione di Onesimo, di accogliere il pentito schiavo come un suo proprio figlio e di mostrargli un tale affetto da indurlo a dimorare volontariamente con il suo vecchio padrone, “non più come uno schiavo, ma come da più di uno schiavo, come un fratello caro”. Filemone 16 (Luzzi). Egli espresse il suo desiderio di trattenere Onesimo affinché lo assistesse nella sua prigionia come Filemone stesso avrebbe fatto, ma non desiderava i suoi servizi se Filemone non avesse di sua spontanea volontà lasciato libero lo schiavo.UVI 286.3

    L’apostolo conosceva bene la severità che i padroni esercitavano verso i loro schiavi e sapeva anche che Filemone era grandemente irritato a causa della condotta dello schiavo. Paolo cercò di scrivere in maniera da suscitare in lui i più profondi e teneri sentimenti cristiani. Onesimo convertendosi era diventato un fratello nella fede, e Paolo avrebbe considerato qualsiasi punizione che questo nuovo convertito avrebbe subìto come se fosse stata inflitta alla sua stessa persona.UVI 286.4

    Paolo volontariamente propose di assumersi il debito di Onesimo affinché al colpevole fosse risparmiata la disgrazia della punizione, e perché potesse rigioire dei privilegi che aveva perduto. Egli scrisse a Filemone: “Se dunque tu mi tieni per un consocio, ricevilo come faresti di me. Che se t’ha fatto alcun torto o ti deve qualcosa, addebitalo a me. Io, Paolo, lo scrivo di mio proprio pugno: Io lo pagherò”. Filemone 17-19 (Luzzi).UVI 286.5

    Quale appropriata illustrazione dell’amore di Cristo per il peccatore pentito! Il servitore che aveva frodato il suo padrone non possedeva nulla per potere riparare. Il peccatore che ha derubato Dio di anni di servizio non possiede mezzi per cancellare il suo debito. Gesù si interpone tra il peccatore e Dio, dicendo: io pagherò il debito. Risparmiate il peccatore; io soffrirò al posto suo.UVI 287.1

    Dopo essersi offerto per saldare il debito di Onesimo, Paolo ricordò a Filemone quanto grande era il suo debito verso l’apostolo. Egli gli era debitore della sua stessa vita, poiché Dio aveva fatto di Paolo lo strumento della sua conversione. Poi, con tenerezza e fervore, egli supplicò Filemone che come aveva liberamente alleviato i santi, così consolasse lo spirito dell’apostolo esaudendo la sua richiesta. “Ti scrivo confidando nella tua ubbidienza — egli aggiunse — sapendo che tu farai anche al di là di quel che dico”. Filemone 21 (Luzzi).UVI 287.2

    La lettera di Paolo a Filemone mostra l’influsso del Vangelo sulla relazione tra padrone e servitore. La schiavitù era una istituzione sanzionata in tutto l’impero romano, e nelle chiese per le quali Paolo lavorò si trovavano sia padroni che schiavi. Nelle città, dove spesso gli schiavi erano più numerosi dei liberi cittadini, leggi di terribile severità erano considerate necessarie per tenerli assoggettati. Un romano ricco spesso possedeva centinaia di schiavi di ogni tipo, di ogni nazione e di ogni estrazione sociale. Avendo il totale controllo sulle anime e sui corpi di quegli esseri impotenti, egli poteva infliggere loro qualsiasi tipo di tortura. Se qualcuno di loro per vendetta o autodifesa alzava la mano contro il suo proprietario, l’intera famiglia dell’offensore poteva essere barbaramente sacrificata. Il minimo errore, incidente o distrazione erano spesso puniti senza pietà.UVI 287.3

    Alcuni padroni, più umani di altri, erano più indulgenti verso i loro servitori, ma la grande maggioranza dei ricchi e dei nobili si era abbandonata senza ritegno al dominio della concupiscenza, della passione e dell’appetito. Essi rendevano i loro schiavi delle disgraziate vittime del capriccio e della tirannia. L’intero sistema schiavista si stava degradando irrimediabilmente.UVI 287.4

    Lo scopo dell’apostolo non fu quello di sovvertire arbitrariamente o rapidamente l’organizzazione della società. Questo tentativo avrebbe pregiudicato il successo del Vangelo. Egli insegnò dei princìpi che comunque attaccavano i fondamenti dello schiavismo: se fossero stati messi in pratica, avrebbero sicuramente indebolito l’intero sistema. “Dov’è lo spirito del Signore, quivi è la libertà”, egli dichiarò. Quando convertito, lo schiavo diveniva un membro del corpo di Cristo, doveva essere amato e trattato come un fratello, un coerede con il suo padrone delle benedizioni di Dio e dei privilegi del Vangelo. D’altra parte i servitori dovevano adempiere il loro dovere: “Non servendo all’occhio come per piacere agli uomini, ma, come servi di Cristo, facendo il voler di Dio d’animo”. Efesini 6:6 (Luzzi).UVI 287.5

    Il cristianesimo crea un forte legame di unione fra il padrone e il servo, fra il re e il suddito, tra il ministro del Vangelo e il degradato peccatore che ha trovato in Cristo la purificazione dal peccato. Essi sono stati lavati nello stesso sangue, condotti dallo stesso Spirito, e sono diventati una sola persona in Cristo Gesù.UVI 288.1

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