Capitolo 47: L’ultimo arresto
L’opera di Paolo tra le chiese, dopo la sua assoluzione a Roma, non poté sfuggire all’osservazione dei suoi nemici. Fin dagli inizi della persecuzione sotto Nerone, i cristiani vennero considerati ovunque come un’esecrabile setta. Dopo qualche tempo, i giudei inconvertiti pensarono di incolpare Paolo del crimine di aver istigato l’incendio di Roma. Nessuno di loro credeva che lui fosse colpevole, ma sapevano che una tale accusa, fatta con la minima apparenza di plausibilità, avrebbe portato alla sua condanna. Per mezzo dei loro intrighi, Paolo venne nuovamente arrestato, e si accinse al suo finale imprigionamento.UVI 306.1
L’apostolo, nel suo secondo viaggio a Roma, fu accompagnato da alcuni dei suoi vecchi compagni; anche altri desiderarono condividere la sua sorte ma egli impedì che mettessero in pericolo le loro vite. La prospettiva che aveva dinanzi era molto meno favorevole di quella del suo primo imprigionamento. La persecuzione sotto Nerone aveva provocato una decimazione dei cristiani in Roma. Migliaia erano stati martirizzati per la fede, molti altri avevano lasciato la città e quelli rimasti erano grandemente depressi e intimiditi.UVI 306.2
Arrivato a Roma, Paolo fu posto in una buia cella nella quale sarebbe dovuto rimanere rinchiuso fino alla morte. Accusato di aver istigato uno dei più bassi e terribili crimini contro la città e la nazione, egli divenne oggetto dell’universale esecrazione.UVI 306.3
I pochi amici che avevano condiviso il lavoro dell’apostolo, ora cominciarono a lasciarlo, alcuni per diserzione e altri per andare in missione nelle varie chiese. Figello ed Ermogene furono i primi ad andarsene. Poi Dema, spaventato dalle difficoltà e dal pericolo, abbandonò il perseguitato apostolo. Crescente fu mandato da Paolo alle chiese della Galazia, Tito a Dalmazia, e Tichico a Efeso. Scrivendo a Timoteo della sua esperienza, Paolo disse: “Luca solo è meco”. 2 Timoteo 4:10 (Luzzi). L’apostolo mai come ora aveva bisogno del servizio dei suoi fratelli, indebolito com’era dall’età, dalle fatiche, dalle infermità, e confinato in un’umida e oscura cella della prigione romana. I servizi di Luca, l’amato discepolo e il fedele amico, furono di grande conforto a Paolo e gli permisero di comunicare con i suoi fratelli e il mondo esterno.UVI 306.4
In questo triste periodo il cuore dell’apostolo venne rallegrato dalle frequenti visite di Onesiforo. Questo pietoso efesino fece tutto il possibile per alleviare l’angoscia del suo imprigionamento. Il suo amato insegnante era in catene per amore della verità, mentre lui era libero, così egli non risparmiò alcuno sforzo per rendere il destino di Paolo più sopportabile.UVI 307.1
Nell’ultima lettera che l’apostolo scrisse, egli dice di questo fedele discepolo: “Conceda il Signore misericordia alla famiglia d’Onesiforo, poiché egli m’ha spesse volte confortato e non si è vergognato della mia catena; anzi, quando è venuto a Roma, mi ha cercato premurosamente e m’ha trovato. Gli conceda il Signore di trovar misericordia presso il Signore in quel giorno”. 2 Timoteo 1:16-18 (Luzzi).UVI 307.2
Il desiderio di amore e di simpatia è posto nel cuore da Dio stesso. Cristo, nella sua ora di agonia nel Getsemane, bramava la simpatia dei suoi discepoli. E Paolo, sebbene in apparenza sembrava essere indifferente alle difficoltà e alle sofferenze, bramava la simpatia e la compagnia dei suoi fratelli. Le visite di Onesiforo, testimoniando della sua fedeltà durante un periodo di solitudine e diserzione, recarono gioia e allegrezza a una persona che aveva speso la sua vita al servizio del prossimo.UVI 307.3