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Il gran conflitto

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    Il problema ecumenico

    Alcuni anni fa il giornalista cattolico Vittorio Messori scrisse sulla rivista Jesus che è difficile trovare un libro così violentemente anti-cattolico come Il gran conflitto. Per molti aspetti Messori ha ragione, ma non dimentichiamo che il libro fu scritto appena una quindicina d’anni dopo il concilio Vaticano I (1869-70), concilio che decretò l’infallibilità papale ex-cathedra, provocando per questo lo stupore e l’indignazione di tutto il mondo protestante e uno scisma all’interno dello stesso cattolicesimo (i “vecchi cattolici”). Sotto il pontificato di Pio IX la Chiesa Cattolica si espresse contro la libertà di coscienza, contro la democrazia e contro il dialogo ecumenico. Il clima “antimodernista” durò praticamente fino al Concilio Vaticano II (1963), che rappresenta una svolta storica per la Chiesa Cattolica. Tuttavia con l’ascesa al soglio pontificio di Giovanni Paolo II assistiamo a un parziale ritorno a posizioni pre-conciliari, un’inversione denunciata pubblicamente da numerosi teologi cattolici di tutto il mondo ed esaminata attentamente in un libro dal titolo significativo: Contro il tradimento del Concilio.GC 8.2

    La domanda provocatoria che in questo studio pone lo storico e teologo cattolico Georg F. Denzler è la seguente: Giovanni Paolo II perché non si è chiamato Pio XIII? Sulla scia dei papi reazionari Pio IX, X, XI e XII, l’attuale papa ritorna alla pratica, sancita dal Vaticano I, di un potere papale “su tutti i pastori e fedeli come su ciascuno di essi”,4Denzinger — Schoenmetzer, Enchiridion Symbolorum, ed. 1963, n. 3064. un centralismo papale assoluto che hanno subìto dolorosamente teologi, diocesi ed episcopati di tutto il mondo.GC 9.1

    Pur utilizzando un linguaggio attento alla sensibilità ecumenica, anche nella recente enciclica Ut unum sint, papa Giovanni Paolo II ha ribadito che “la missione del vescovo di Roma nel gruppo di tutti i pastori consiste appunto nel ‘vegliare’ (episkopein) come una sentinella... Spetta al successore di Pietro di ricordare le esigenze del bene comune della Chiesa, se qualcuno fosse tentato di dimenticarlo in funzione dei propri interessi. Egli ha il dovere di avvertire, mettere in guardia, dichiarare a volte inconciliabile con l’unità di fede questa o quell’opinione che si diffonde. Quando le circostanze lo esigono egli parla a nome di tutti i pastori in comunione con lui. Egli può anche — in condizioni ben precise, chiarite dal concilio Vaticano I — dichiarare ex cathedra che una dottrina appartiene al deposito della fede”.5Lett. enc., Ut unum sint, 25 maggio 1995, 94GC 9.2

    L’organizzazione piramidale e verticistica della chiesa di Roma è particolarmente evidente nella promozione, ovunque sia possibile, di vescovi conservatori. Come scrive Denzler “il papa e la Curia romana fanno grandissima attenzione che vengano nominati vescovi solo candidati fedeli al Vaticano, e quindi conservatori”,6G.F. Denzler, “Giovanni Paolo II perché non si è chiamato Pio XIII?” in AAVV, Contro il tradimento del concilio. Dove va la Chiesa Cattolica?, Claudiana, Torino, 1987, 90. ipotecando così per molti anni la politica della chiesa. A loro volta saranno i cardinali, cioè quei vescovi promossi dal Vaticano, a eleggere il nuovo papa. Insomma, un circolo vizioso che non coinvolge mai i laici ai livelli decisionali: “Poiché la ‘Chiesa ufficiale’, nei suoi supremi rappresentanti, viene reclutata sempre e soltanto fra i sacerdoti, i laici — come ‘fanteria’ della Chiesa — finiscono inevitabilmente e senza speranza dietro alla gerarchia”.7G.F. Denzler, op. cit., 92. Da questo punto di vista, le critiche mosse da Ellen G. White al papato sono ancora oggi pienamente giustificate. Naturalmente, certe posizioni non sono più quelle del secolo scorso: ad esempio sulla libertà di coscienza il papato, dopo averla disprezzata ufficialmente nel Sillabo, se ne è fatto ora un convinto assertore. Anche l’ecumenismo è ora ufficialmente promosso da Giovanni Paolo II che ha riabilitato persino Lutero, ha chiesto perdono per gli abusi del passato operati dal papato8“Per quello che ne siamo responsabili, con il mio predecessore Paolo VI vi imploro perdono” (Lett. enc., Ut unum sint, 88). e ha organizzato spettacolari incontri ecumenici in favore della pace e della giustizia. Tuttavia sono necessarie alcune considerazioni: nella realtà locale l’ecumenismo non è incoraggiato, anzi, figure autorevoli in campo ecumenico come quella di mons. Sartori (per anni presidente dell’associazione dei teologi cattolici italiani) sono state chiaramente osteggiate dal Vaticano. Scrive Sartori nella prefazione al suo libro L’unità della Chiesa, un dibattito e un progetto: “C’è una minoranza resistente, che sta riuscendo a imporre una stagione ‘invernale’, alla ‘speranza conciliare’, gettando sospetti su chi nutre quella speranza tacciandola di illusione pericolosa”.9L. Sartori, L’unità della Chiesa, un dibattito e un progetto, Queriniana, Brescia 1989, 5.GC 9.3

    Ancora Sartori mette in evidenza la tendenza dell’ecumenismo cattolico a sottolineare aspetti come la preghiera e l’impegno comune per problemi come la pace, il rispetto del creato, la giustizia, “mentre il settore della riforma della chiesa e quello del dialogo teologico sembrano ormai quasi del tutto esauriti, o comunque rimangono nelle mani di pochi responsabili ‘affidabili’”.10L. Sartori, op. cit., 8.GC 10.1

    Da un lato assistiamo a incontri come quelli di Assisi con la partecipazione di rappresentanti di quasi tutte le religioni del mondo — incontri organizzati e convocati dal papa — dall’altro quando sono altri organismi ecclesiastici a preparare incontri simili, meno spettacolari ma ben più concreti, allora il Vaticano manda “osservatori” tutt’altro che autorevoli, come è accaduto nel 1990 a Seul per l’assise organizzata dal Consiglio Ecumenico delle Chiese (Cec) sul tema della pace, della giustizia e dell’integrità del creato. Il motivo offerto ufficiosamente per questo disimpegno cattolico è abbastanza semplice: come disse Giovanni Paolo II a Ginevra proprio di fronte al Cec “la Chiesa Cattolica con piena fedeltà verso la tradizione apostolica e verso la fede dei Padri, ha conservato nel ministero del vescovo di Roma il punto di riferimento visibile e il garante dell’unità”.11G.F. Denzler, op. cit., 98.GC 10.2

    Dunque se devono esserci incontri e risoluzioni impegnative per i vertici delle chiese, si possono realizzare solo se “il primato di Pietro” viene riconosciuto o se una “convocazione” parte da Roma. Accettare di co-organizzare qualcosa a livello mondiale, sia pure in favore della pace, significherebbe per l’attuale pontefice equiparare le altre chiese a quella cattolica, il che non può avvenire finché non c’è un chiaro riconoscimento del primato papale, non solo in termini di primato di “onore” come sarebbero disposti a concedere gli ortodossi, ma in termini di “primato” effettivo e giuridico, sull’eventuale confederazione delle chiese cristiane.GC 11.1

    Nel paragrafo relativo alla condizione necessaria per l’unità tra le chiese particolari e la chiesa di Roma, Giovanni Paolo II ha scritto nell’enciclica Ut unum sint: “La Chiesa Cattolica, sia nella praxis sia nei testi ufficiali, sostiene che la comunione delle Chiese particolari con la Chiesa di Roma, e dei loro vescovi con il vescovo di Roma, è un requisito essenziale — nel disegno di Dio — della comunione piena e visibile... Questa funzione di Pietro deve restare nella Chiesa affinché, sotto il suo solo Capo, che è Cristo Gesù, essa sia visibilmente nel mondo la comunione di tutti i suoi discepoli. Non è forse un ministero di questo tipo di cui molti di coloro che sono impegnati nell’ecumenismo esprimono oggi il bisogno?”12Lett. enc., Ut unum sint, 97.GC 11.2

    Uno dei motivi per cui la Chiesa Cattolica non è membro effettivo del Cec è proprio il mancato riconoscimento (finora) del primato di Pietro. D’altra parte, assecondare le pretese papali significherebbe rinunciare ai princìpi del protestantesimo e, in generale, a quelli del Vangelo in cui leggiamo la famosa raccomandazione del Cristo: “...I re comandano sui loro popoli e quelli che hanno il potere si fanno chiamare benefattori del popolo. Voi però non dovete agire così! Anzi, chi tra voi è il più importante diventi come il più piccolo; chi comanda diventi come quello che serve”.13Luca 22:25-26 (Tilc). Anche se oggi la Chiesa Cattolica non brucia più gli eretici, e chiama fratelli i cristiani protestanti, tuttavia il dissenso all’interno della Chiesa Cattolica, è ancora duramente represso. Il gran conflitto, sia pure ambientato in un’epoca storica diversa dalla nostra, dovrebbe far riflettere sul possibile carattere autoritario, dogmatico e intollerante che anche in futuro, in altre circostanze storiche, potrebbe riemergere con violenza dalla gerarchia cattolica. Il vasto influsso politico del Vaticano, riconosciuto recentemente anche dagli Stati Uniti e dai paesi ex-comunisti con l’invio di regolari ambasciatori alla Santa Sede, resta un “unicum” in tutto il mondo cristiano, al servizio di una struttura politico-ecclesiale che non ha basi democratiche, né pretende di averle, in nome di un malinteso principio teocratico.GC 11.3

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