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Patriarchi e profeti

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    Capitolo 27: La legge proclamata al Sinai

    Subito dopo l’insediamento dell’accampamento israelita vicino al Sinai, Mosè fu chiamato sulla montagna per incontrarsi con Dio. Si arrampicò da solo per gli aspri sentieri rocciosi e si avvicinò alla nuvola. Essa indicava il luogo in cui si manifestava la presenza dell’Eterno. Da quel momento, Israele sarebbe stato unito a Dio da una relazione intima e del tutto particolare, che lo avrebbe posto, come comunità religiosa e nazionale, sotto l’autorità divina. Mosè doveva trasmettere al popolo questo messaggio: “Voi avete veduto quello che ho fatto agli Egiziani, e come io v’ho portato sopra ali d’aquila e v’ho menato a me. Or dunque, se ubbidite davvero alla mia voce e osservate il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare; poiché tutta la terra è mia; e mi sarete un regno di sacerdoti e una nazione santa...”. Esodo 19:4-6.PP 251.1

    Mosè tornò al campo. Dopo aver riunito gli anziani d’Israele, ripeté loro le parole di Dio. Essi risposero: “...Noi faremo tutto quello che l’Eterno ha detto”. Esodo 19:8. Con questa frase, gli ebrei stipulavano un patto solenne con Dio, e promettevano di accettarlo come loro unico sovrano, sottomettendosi alla sua guida. Quindi Mosè salì nuovamente sulla montagna, dove il Signore gli disse: “...Ecco, io verrò a te in una folta nuvola, affinché il popolo oda quando io parlerò con te, e ti presti fede per sempre”. Esodo 19:9. Di fronte alle difficoltà gli israeliti si erano spesso ribellati contro Mosè e Aronne, accusandoli di averli condotti fuori dall’Egitto per distruggerli. Ma il Signore intendeva onorare Mosè in modo così evidente da indurli ad avere fiducia nelle sue direttive e a ubbidirgli. Per porre nel giusto rilievo la sacralità della sua legge e per mostrare al popolo la necessità di trattare con il massimo rispetto tutto ciò che è legato al servizio sacro, Dio accompagnò l’annuncio della sua legge con una terribile manifestazione di potenza. Il Signore disse a Mosè: “...Va dal popolo, santificalo oggi e domani, e fa’ che si lavi le vesti. E siano pronti per il terzo giorno; perché il terzo giorno l’Eterno scenderà in presenza di tutto il popolo sul monte Sinai”. Esodo 19:10, 11. In quei giorni ognuno avrebbe dovuto applicarsi con il massimo impegno a solenni preparativi in vista dell’incontro con Dio: tutto doveva essere purificato, sia le persone sia gli abiti. Mosè avrebbe ricordato agli israeliti i loro errori, ed essi si sarebbero consacrati completamente a un percorso spirituale di umiliazione, preghiera e digiuno. In questo modo, il loro cuore sarebbe stato liberato da ogni forma di immoralità. I preparativi furono avviati, secondo ciò che era stato previsto da Dio. Ubbidendo a un nuovo ordine, Mosè dispose che fosse posta una barriera intorno al monte, in modo che nessuno, uomo o animale che fosse, potesse avventurarsi in quel luogo sacro, pena la morte.PP 251.2

    Il mattino del terzo giorno, gli sguardi di tutto il popolo erano rivolti verso il Sinai. La fitta nube che ne copriva la cima divenne sempre più scura e densa e infine scivolò lungo i fianchi della montagna, fino ad avvolgerla in maniera misteriosa e terribile. Uno squillo di tromba radunò il popolo per l’incontro con Dio, e Mosè lo guidò fino ai piedi della montagna.PP 252.1

    In quella fitta oscurità balenavano i lampi: in alto, i tuoni risuonavano con grande fragore. “Il monte Sinai era tutto fumante perché l’Eterno v’era disceso in mezzo al fuoco; e il fumo ne saliva come il fumo d’una fornace, e tutto il monte tremava forte”. “L’aspetto della gloria dell’Eterno era agli occhi dei figliuoli d’Israele come un fuoco divorante sulla cima del monte... Il suon della tromba s’andava facendo sempre più forte”. Esodo 19:18, 19. I segni della presenza dell’Eterno erano così terribili che tutto Israele, scosso dalla paura, si prostrò alla presenza del Signore; perfino Mosè esclamò: “...Io son tutto spaventato e tremante”. Ebrei 12:21.PP 252.2

    Cessati i tuoni e lo squillo di tromba, dopo un periodo di silenzio solenne, si udì la voce dell’Eterno. Circondato dagli angeli, il Signore proclamò la sua legge dalle fitte tenebre che lo avvolgevano. Mosè così descriverà quella scena: “...L’Eterno è venuto dal Sinai, e s’è levato su loro da Seir; ha fatto splendere la sua luce dal monte di Paran, è giunto dal mezzo delle sante miriadi; dalla sua destra usciva per essi il fuoco della legge. Certo, l’Eterno ama i popoli; ma i suoi santi son tutti agli ordini suoi. Ed essi si tennero ai suoi piedi, e raccolsero le sue parole”. Deuteronomio 33:2, 3. L’Eterno si rivelò non solo come colui che aveva eseguito un giudizio e formulato delle leggi, ma anche come il misericordioso protettore del suo popolo: “Io sono l’Eterno, l’Iddio tuo, che ti ho tratto dal paese d’Egitto, dalla casa di servitù”. Esodo 20:2. Lo stesso Dio che aveva consegnato loro la legge era stato la guida e il liberatore d’Israele: Egli lo aveva fatto uscire dall’Egitto aprendo una via in mezzo al mare; sconfiggendo il faraone e il suo esercito, aveva dimostrato di essere superiore a tutti gli dèi dell’Egitto. Il Signore non voleva che la sua legge fosse patrimonio esclusivo degli ebrei: affidandone la conoscenza a Israele, Egli attribuiva a questo popolo il privilegio di trasmettere l’osservanza dei princìpi divini al mondo intero. La legge di Dio era dunque una verità diretta a ogni uomo. I precetti del Decalogo, brevi, chiari e autorevoli, contengono i doveri dell’individuo nei suoi rapporti con Dio e con i suoi simili: alla base di queste norme, vi è il grande principio dell’amore. La validità dei precetti divini si estende a ogni essere umano: essi sono un dono che deve essere annunciato e attuato nell’esperienza di tutti gli uomini. “...Ama il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua, e con tutta la forza tua, e con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso”. Luca 10:27; cfr. Deuteronomio 6:4, 5; Levitico 19:18. Nei dieci comandamenti il principio dell’amore viene presentato dettagliatamente, in modo da facilitarne l’applicazione in tutte le condizioni e circostanze.PP 252.3

    “Non avere altri dii nel mio cospetto”. Esodo 20:3. Dio, l’Essere eterno e non creato, origine e sostegno di ogni cosa, è l’unico soggetto degno della suprema venerazione e adorazione. È proibito all’uomo dare nella sua vita la preminenza a qualsiasi altra cosa. Tutto ciò che tende a indebolire il nostro amore per il Signore, o a interferire con l’ubbidienza che gli è dovuta, diviene per noi un “dio”.PP 253.1

    “Non ti fare scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù ne’ cieli o quaggiù sulla terra; non ti prostrare dinanzi a tali cose e non servir loro”. Esodo 20:4. Il secondo comandamento proibisce l’adorazione del vero Dio raffigurato in immagini o simulacri. Molti popoli pagani sostenevano che le loro immagini cultuali erano semplici figure, simboli attraverso i quali adorare la divinità. Il tentativo di rappresentare l’Essere eterno con oggetti materiali svilisce nell’uomo l’idea di Dio. La mente, distolta dal pensiero della sua infinita perfezione, sarà attratta da ciò che è creato, e non dal Creatore. Quando il concetto di Dio viene svilito, anche la dignità dell’uomo viene degradata.PP 253.2

    “...Io, l’Eterno, l’Iddio tuo, sono un Dio geloso”. Esodo 20:5. L’intima e sacra unione esistente tra Dio e il suo popolo è rappresentata dall’immagine del matrimonio. L’idolatria costituisce un adulterio spirituale, e provoca in Dio una sofferenza che viene definita “gelosia”.PP 253.3

    “Punisco l’iniquità dei padri sui figliuoli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano”. Esodo 20:5.PP 253.4

    È inevitabile che i figli soffrano per le conseguenze degli errori dei genitori; tuttavia, se non hanno condiviso le loro colpe, non saranno puniti per le loro responsabilità. È vero però che, di solito, i figli seguono le orme dei genitori: le tendenze ereditarie e l’esempio rendono il figlio partecipe delle debolezze del padre. Gli istinti devianti, la corruzione morale, così come avviene per le tare fisiche e le malattie, vengono trasmessi in eredità fino alla terza o alla quarta generazione. L’affermazione di questa terribile verità dovrebbe scoraggiare l’uomo a rendersi strumento delle maledizioni del male. “...Uso benignità, fino alla millesima generazione, verso quelli che m’amano e osservano i miei comandamenti”. Esodo 20:6. Il secondo comandamento proibisce il culto degli idoli e impone l’adorazione del vero Dio. Coloro che agiscono con fedeltà, proponendosi di servire il Signore, riceveranno l’eredità delle sue benedizioni. Essa non si limita alla terza e quarta generazione, come viene detto della maledizione rivolta a quanti odiano Dio, ma arriva fino alla millesima.PP 253.5

    “Non usare il nome dell’Eterno, ch’è l’Iddio tuo in vano; perché l’Eterno non terrà per innocente chi avrà usato il suo nome invano”. Esodo 20:7. Questo comandamento non condanna soltanto i falsi giuramenti e le imprecazioni, ma proibisce di usare il nome di Dio con leggerezza, senza considerarne tutto il solenne significato. Quando citiamo il nome del Signore con superficialità, pronunciandolo nel contesto di discussioni di scarso valore, o quando lo ripetiamo con frequenza, senza riflettere, lo disonoriamo, perché “santo e tremendo è il suo nome”. Salmi 111:9. Tutti dovrebbero riflettere sull’autorità, sulla purezza e sacralità di Dio, in modo che il nostro carattere possa ricevere la sua impronta sublime. Nessuno dovrebbe mai pronunciare il nome di Dio senza un profondo senso di rispetto e solennità.PP 254.1

    “Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa’ in essi ogni opera tua; ma il settimo è giorno di riposo, sacro all’Eterno, ch’è l’Iddio tuo; non fare in esso lavoro alcuno, né tu, né il tuo figliuolo, né la tua figliuola, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né il forestiero ch’è dentro alle tue porte; poiché in sei giorni l’Eterno fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò ch’è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò l’Eterno ha benedetto il giorno del riposo e l’ha santificato”. Esodo 20:8-11. Il comandamento del sabato non veniva presentato in quel momento: questo principio era già stato istituito alla creazione ed era destinato a conservarne il ricordo. Osservare il sabato significa riconoscere Dio come Creatore dei cieli e della terra e quindi distinguere il vero Dio da tutte le false divinità. Chi ubbidisce a questo insegnamento dimostra di credere nell’Eterno. Finché sulla terra ci sarà qualcuno che rispetterà il sabato, esso rimarrà il segno dell’alleanza dell’uomo con Dio. È l’unico, tra i dieci comandamenti, che presenta nello stesso tempo il nome e il titolo di colui che l’ha formulato. In queste frasi si rivela l’autorità che emana dalla legge: esse contengono dunque il sigillo di Dio, impressovi per evidenziarne l’autenticità e la forza vincolante.PP 254.2

    Dio ha dato all’uomo sei giorni di lavoro, e richiede che egli compia in questo tempo tutte le sue attività lavorative. Il sabato deve essere consacrato ad azioni generose, che aiutino le persone bisognose, ad esempio i malati. Si dovrebbe evitare di compiere ogni lavoro che non sia strettamente indispensabile. “Se tu trattieni il piè per non violare il sabato facendo i tuoi affari nel mio santo giorno; se chiami il sabato una delizia, e venerabile ciò ch’è sacro all’Eterno, e se onori quel giorno anziché seguire le tue vie e fare i tuoi affari e discuter le tue cause, allora troverai la tua delizia nell’Eterno...”. Isaia 58:13, 14. L’espressione “anziché... discuter le tue cause” significa che quanti discutono o fanno dei progetti che riguardano i loro affari durante il giorno di riposo, sono considerati da Dio come se svolgessero un lavoro attivo. Per rispettare la sacralità del sabato non dovremmo permettere alla mente di soffermarsi su interessi materiali. L’osservanza di questo comandamento coinvolge tutto ciò che si trova dietro la porta di casa nostra. Perfino gli ospiti devono abbandonare le loro occupazioni contingenti: tutti, nel giorno santo, devono onorare Dio con sincera disponibilità.PP 254.3

    “Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che l’Eterno, l’Iddio tuo, ti dà”. Esodo 20:12. I genitori hanno diritto a un amore e un rispetto del tutto particolari. Dio ha affidato loro la responsabilità e la cura spirituale dei figli, e ha voluto che i bambini considerino i genitori come suoi rappresentanti. Chi rifiuta la legittima autorità dei genitori rifiuta l’autorità di Dio. Il quinto comandamento non si limita a chiedere ai figli di ubbidire e rispettare i genitori, ma anche di amarli teneramente, offrire loro un sostegno che alleggerisca il peso delle preoccupazioni e un conforto nella vecchiaia. In questo precetto è implicita l’idea del rispetto per i pastori, i magistrati e per tutti coloro a cui Dio ha conferito un’autorità. L’apostolo Paolo dice in proposito: “... È questo il primo comandamento con promessa”. Efesini 6:2. Nella prospettiva di un imminente ingresso in Canaan, questo comandamento costituiva per Israele la promessa di un lungo soggiorno in quella terra; in realtà il suo significato è ancora più ampio: la promessa infatti si rivolge al popolo di Dio, in tutti i tempi, e riguarda l’eredità della vita eterna in una terra liberata dalla maledizione del male.PP 255.1

    “Non uccidere”. Tutte le azioni ingiuste che tendono ad abbreviare la vita, l’odio, la vendetta, l’indulgere in sentimenti che portano a compiere ingiustizie verso gli altri o a desiderare il loro male — “Chiunque odia il suo fratello è omicida...” (1 Giovanni 3:15) — l’egoismo e l’indifferenza verso il sofferente e il bisognoso, ogni sacrificio inutile, il lavoro eccessivo che tende a minare la salute: tutto ciò, in maniera più o meno evidente, costituisce una violazione del sesto comandamento.PP 255.2

    “Non commettere adulterio”. Questo comandamento non vieta soltanto le azioni immorali, ma anche i pensieri e i desideri sensuali e tutto ciò che tende a provocarli. Dio ci chiede un’integrità che non si limiti all’apparenza, ma si manifesti anche nei pensieri e nei sentimenti più intimi e segreti. Il Cristo, che ha insegnato la portata delle implicazioni e degli obblighi imposti dalla legge di Dio, ha dichiarato che un pensiero cattivo e uno sguardo perverso costituiscono in sé una colpa, esattamente come un’azione illecita.PP 256.1

    “Non rubare”. In questo comandamento sono inclusi sia le trasgressioni palesi sia quelle private. Così, sono compresi nella condanna i sequestri di persona, lo schiavismo, il furto, le rapine e si proibiscono le guerre di conquista. In tutti i più piccoli affari della vita, Dio ci impone di praticare un’onestà scrupolosa. Ancora, l’ordine divino vieta la disonestà nel commercio, richiede il pagamento dei debiti contratti in modo legittimo. In base a questo principio, è dovere dei datori di lavoro retribuire con equità i propri dipendenti. Dio considera un furto ogni tentativo di trarre vantaggio dall’ignoranza, dalla debolezza e dalla sfortuna degli altri.PP 256.2

    “Non attestare il falso contro il tuo prossimo”. Il Signore si oppone alla falsità in ogni suo aspetto: è falsità pensare o tentare di ingannare il prossimo, anche se l’intenzione non viene attuata. A volte uno sguardo, un cenno della mano o un’espressione possono mentire quanto le parole. Ogni esagerazione intenzionale, ogni insinuazione, ogni fatto presentato con lo scopo di dare un’impressione erronea o esagerata, sono un segno di falsità. Il comandamento proibisce inoltre tutto ciò che è inteso a ledere la reputazione degli altri, alterando la verità, inducendo il sospetto, attraverso la calunnia e la maldicenza. Perfino tacere intenzionalmente una verità, quando da ciò risulta un danno per altri, costituisce una violazione del nono comandamento.PP 256.3

    “Non concupire la casa del tuo prossimo; non concupire la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna che sia del tuo prossimo”. Esodo 20:17.PP 256.4

    Il decimo comandamento colpisce alla radice tutti i peccati, vietando ogni desiderio egoistico: questa è infatti la causa di ogni azione malvagia. Colui che per ubbidire alla legge di Dio, non coltiva un desiderio colpevole per ciò che appartiene a un altro, non commetterà un’ingiustizia nei confronti dei suoi simili.PP 256.5

    Queste sono le norme sacre contenute nel Decalogo: esse furono pronunciate fra tuoni e fiamme. Nel consegnarle a Mosè, Dio manifestò in modo straordinario la propria autorevolezza di Legislatore.PP 256.6

    Le prodigiose dimostrazioni di potenza con cui il Signore accompagnò la proclamazione della sua legge avevano lo scopo di imprimere nella mente degli israeliti un ricordo indelebile. Così il popolo avrebbe imparato il profondo rispetto di cui è degno il Creatore della terra e del cielo: Egli è l’autore del Decalogo. In quel maestoso scenario, tutti poterono percepire il carattere sacro, autorevole ed eterno della sua legge.PP 257.1

    Gli ebrei erano terrorizzati; i segni della presenza di Dio erano così terribili e spaventosi che temevano di non sopravvivere. Quando il Signore pronunciò la grande legge della giustizia, essi compresero per la prima volta la gravità dell’offesa che il male aveva recato a Dio. Ora che si confrontavano con la santità di Dio, le loro responsabilità erano evidenti.PP 257.2

    Il popolo si allontanò dalla montagna con timore e angoscia e si rivolse a Mosè implorando: “...Parla tu con noi, e noi t’ascolteremo; ma non ci parli Iddio, che non abbiamo a morire”. Esodo 20:19. Così, mentre Israele, assalito dal terrore, si allontanava a una certa distanza da quella scena, Mosè “s’avvicinò alla caligine dov’era Dio”. Esodo 20:21.PP 257.3

    I culti pagani e la schiavitù avevano degradato gli israeliti, rendendoli moralmente insensibili. Essi non erano in grado di comprendere la profondità dei princìpi contenuti nelle norme che Dio stesso aveva dato. Pertanto, gli obblighi esposti nel Decalogo furono accompagnati da altre regole, che ne costituivano l’applicazione concreta, e avevano lo scopo di rafforzarne il significato e l’efficacia. Queste istruzioni furono chiamate “giudizi”, sia perché erano state formulate con saggezza ed equità infinite, sia perché i magistrati le avrebbero utilizzate per amministrare la giustizia. A differenza dei dieci comandamenti, esse furono rivelate solo a Mosè, che poi le comunicò al popolo.PP 257.4

    La prima di queste normative riguardava gli schiavi. Nell’antichità accadeva che i giudici condannassero i criminali alla schiavitù; in altri casi i debitori si vendevano ai loro creditori. A volte la povertà costringeva alcuni a vendere se stessi e i propri figli. Un ebreo non poteva però diventare schiavo a vita a causa dei suoi debiti. Il suo servizio si limitava infatti a un periodo di sei anni: allo scadere del settimo, doveva essere messo in libertà. Il sequestro di persona, l’assassinio premeditato e la ribellione contro l’autorità paterna erano puniti con la morte.PP 257.5

    Era permesso avere schiavi stranieri, a condizione che la loro vita e le loro persone fossero rigorosamente tutelate. L’uccisione di uno schiavo doveva essere punita; inoltre, se un proprietario feriva il proprio schiavo, egli aveva diritto alla libertà, anche se la lesione non era più grave della perdita di un dente. Gli israeliti sapevano cosa significasse essere schiavi. Una volta diventati padroni, avrebbero dovuto evitare di commettere le stesse crudeltà e gli abusi che gli egiziani avevano esercitato nei loro confronti. Il ricordo di quell’amara schiavitù doveva disporli alla gentilezza e alla compassione verso gli schiavi trattandoli come avrebbero desiderato essere trattati in Egitto.PP 257.6

    Dio tutelò con particolare attenzione i diritti delle vedove e degli orfani. Egli mostrò la sua sensibilità nei confronti di queste categorie indifese affermando: “Se in qualche modo li affliggi, ed essi gridano a me, io udrò senza dubbio il loro grido; la mia ira s’accenderà, e io vi ucciderò con la spada; e le vostre mogli saranno vedove, e i vostri figliuoli orfani”. Esodo 22:23, 24. Al popolo d’Israele si erano unite altre persone, che avevano richiesto protezione dalle ingiustizie e dall’oppressione; per questo fu detto: “Non maltratterai lo straniero e non l’opprimerai perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”. Esodo 22:21.PP 258.1

    Era proibito dare in prestito ai poveri del denaro in cambio di un forte interesse. Gli abiti e la coperta presi al povero come pegno dovevano essere restituiti entro il tramonto. Chi si appropriava di qualcosa in maniera illegale, doveva restituire il doppio del valore. Il rispetto nei confronti dei magistrati e dei governanti costituiva un obbligo. I giudici furono messi in guardia contro la tentazione di falsificare le sentenze; essi dovevano rifiutare di difendere cause ingiuste e respingere qualsiasi tentativo di corruzione. Dio proibiva inoltre le calunnie e la maldicenza e raccomandava di agire con bontà perfino nei confronti dei nemici personali.PP 258.2

    L’obbligo di osservare il giorno di riposo fu ribadito ancora una volta. In aggiunta, il Signore istituì delle festività annuali, in occasione delle quali tutti gli uomini ebrei si sarebbero riuniti davanti all’Eterno. Essi avrebbero portato a Dio delle offerte di ringraziamento e le primizie dei loro raccolti. Lo scopo di queste norme era chiaro. Non si trattava di imposizioni arbitrarie, ma di prescrizioni che dovevano assicurare il bene d’Israele. Il Signore aveva detto: “Voi mi sarete degli uomini santi...” (Esodo 22:31), degni di essere riconosciuti tali da un Dio santo.PP 258.3

    Mosè avrebbe scritto queste leggi, perché fossero conservate con cura. Gli ebrei le avrebbero considerate il nucleo della loro legislazione nazionale: insieme ai dieci comandamenti, di cui rappresentavano un’ampliamento, esse costituivano la condizione dell’adempimento delle promesse di Dio per Israele.PP 258.4

    Infine, Dio indirizzò al popolo questo messaggio: “Ecco, io mando un angelo davanti a te per proteggerti per via, e per introdurti nel luogo che ho preparato. Sii guardingo in sua presenza, e ubbidisci alla sua voce; non ti ribellare a lui, perch’egli non perdonerà le vostre trasgressioni; poiché il mio nome è in lui. Ma se ubbidisci fedelmente alla sua voce e fai tutto quello che ti dirò, io sarò il nemico de’ tuoi nemici, l’avversario dei tuoi avversari”. Esodo 23:20-22. Durante tutti i suoi pellegrinaggi, il popolo d’Israele fu guidato dal Cristo. La colonna di fuoco e la nuvola non erano solo dei simboli che rappresentavano il Salvatore promesso: Egli fu sempre presente a fianco d’Israele. Fu Gesù a trasmettere i comandamenti a Mosè: attraverso di lui, Dio agì per benedire il suo popolo. Scendendo dalla montagna “...Mosè venne e riferì al popolo tutte le parole dell’Eterno e tutte le leggi. E tutto il popolo rispose ad una voce e disse: Noi faremo tutte le cose che l’Eterno ha dette”. Esodo 24:3. Questo giuramento fu scritto da Mosè in un libro, insieme all’invito all’ubbidienza pronunciato dal Signore.PP 258.5

    Per convalidare il patto, Mosè costruì ai piedi della montagna un altare circondato da dodici pilastri “per le dodici tribù d’Israele”. Esso doveva testimoniare l’assenso degli israeliti al patto con Dio. Poi furono scelti dei giovani che offrirono i sacrifici.PP 259.1

    Dopo aver spruzzato sull’altare il sangue delle vittime, Mosè “prese il libro del patto e lo lesse in presenza del popolo...”. Esodo 24:7. In questo modo le condizioni dell’alleanza furono solennemente ripetute e tutti ebbero la possibilità di scegliere se aderirvi o meno. Essi avevano già promesso di ubbidire alla voce di Dio, ma quando la legge fu letta e spiegata in tutti i particolari, essi furono in grado di comprendere ciò che il patto implicava. Ancora una volta il popolo rispose unanime: “...Noi faremo tutto quello che l’Eterno ha detto e ubbidiremo”. Esodo 24:7. “...Quando tutti i comandamenti furono secondo la legge proclamati da Mosè a tutto il popolo, egli prese il sangue... e ne asperse il libro stesso e tutto il popolo, dicendo: Questo è il sangue del patto che Dio ha ordinato sia fatto con voi”. Ebrei 9:19, 20.PP 259.2

    Era giunto il momento di predisporre l’insediamento dell’Eterno come re della nazione. Mosè ricevette quest’ordine: “Sali all’Eterno tu ed Aaronne, Nadab e Abihu e settanta degli anziani d’Israele, e adorate da lungi; poi Mosè solo s’accosterà all’Eterno...”. Esodo 24:1. Mentre gli israeliti restavano in adorazione ai piedi della montagna, gli uomini prescelti furono chiamati a salire sul Sinai. I settanta anziani avrebbero assistito Mosè nel governo d’Israele. Dio li avrebbe investiti del suo Spirito e li avrebbe onorati permettendo loro di contemplare la sua potenza e grandezza. “E videro l’Iddio d’Israele. Sotto i suoi piedi c’era come un pavimento lavorato in trasparente zaffiro, e simile, per limpidezza, al cielo stesso”. Esodo 24:10. Non potevano vedere la divinità, perché non ne avrebbero potuto tollerare la visione, ma ne avvertirono la presenza gloriosa. Questa sensazione suscitò in loro il pentimento: avvicinandosi a Dio, avevano potuto contemplare la gloria, la purezza e la bontà di colui che era al centro delle loro riflessioni.PP 259.3

    Mosè “con Giosuè suo ministro”, salì più in alto, per incontrarsi con Dio. Per sostituirli nel governo del popolo, furono nominati Aronne e Hur, con cui avrebbero collaborato anche gli anziani. “Mosè dunque salì sul monte, e la nuvola ricoperse il monte. E la gloria dell’Eterno rimase sul monte Sinai...”. Esodo 24:15, 16. Per ben sei giorni la nuvola, segno della presenza divina, ricoprì la montagna. Dio taceva: non si rivelava, né comunicava la sua volontà. Mosè rimase in attesa di incontrarsi con l’Altissimo. Infatti gli era stato detto: “...Sali da me sul monte, e fermati quivi...” (Esodo 24:12); ora la sua pazienza e la sua ubbidienza venivano messe alla prova. Mosè non doveva stancarsi di vegliare, né abbandonare il suo posto; questa attesa rappresentava un periodo di preparazione per un profondo esame di coscienza. Perfino Mosè, che era stato scelto da Dio, non poteva restare in sua presenza e resistere alla manifestazione della sua gloria. Così trascorsero sei giorni di consacrazione, nella sincera ricerca di Dio, in meditazione e in preghiera. Tutto questo gli avrebbe permesso di prepararsi ad avere un contatto personale con il suo Creatore.PP 260.1

    Il settimo giorno era un sabato, e Mosè fu invitato a entrare nella fitta nube. Essa si aprì davanti al popolo d’Israele, manifestando con un fuoco divorante la gloria del Signore. “E Mosè entrò in mezzo alla nuvola e salì sul monte; e Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti”. Esodo 24:18. In questo lungo periodo di tempo, Mosè si allontanò da Giosuè. Nei sei giorni di preparazione, non si erano mai separati e insieme avevano mangiato la manna e bevuto l’acqua dei torrenti che scorrevano lungo la montagna. Giosuè tuttavia non entrò nella nuvola, ma rimase all’esterno e continuò a mangiare e a bere fino al ritorno di Mosè, che invece digiunò per quaranta giorni.PP 260.2

    Sul monte, Mosè ricevette le direttive per la costruzione di un santuario nel quale la presenza divina si sarebbe manifestata in un modo del tutto particolare. Dio ordinò: “E mi facciano un santuario perché io abiti in mezzo a loro” (Esodo 25:8) e raccomandò per la terza volta l’osservanza del sabato dicendo: “Esso è un segno perpetuo fra me e i figliuoli d’Israele... affinché conosciate che io sono l’Eterno che vi santifica. Osserverete dunque il sabato, perché è per voi un giorno santo; ... chiunque farà in esso qualche lavoro sarà sterminato di fra il suo popolo”. Esodo 31:17, 13, 14. Il Signore aveva ordinato che il tabernacolo fosse costruito immediatamente.PP 260.3

    Il popolo, però, avrebbe potuto pensare che fosse legittimo lavorarvi anche durante il sabato. L’opera era infatti della massima urgenza, in quanto destinata al servizio e all’adorazione di Dio. Per prevenire quest’errore fu dato in proposito un avvertimento specifico. Neppure la sacralità e l’importanza di quella costruzione dovevano indurre gli ebrei a violare il riposo del giorno sacro.PP 261.1

    Da allora in poi il popolo sarebbe stato onorato dalla presenza costante del suo Re. Mosè ricevette questa promessa: “E dimorerò in mezzo ai figliuoli d’Israele e sarò il loro Dio... e la tenda sarà santificata dalla mia gloria”. Esodo 29:45, 43. Egli ebbe una copia del Decalogo, scolpita dal dito di Dio su due tavole di pietra, come simbolo dell’autorità divina e incarnazione materiale della sua volontà. Cfr. Deuteronomio 9:10; Esodo 32:15, 16. Quella preziosa testimonianza sarebbe stata gelosamente custodita nel santuario, che sarebbe stato il centro del culto nazionale.PP 261.2

    Dal loro stato di schiavitù, gli israeliti erano stati elevati a una posizione superiore a quella di ogni altro popolo, per costituire il tesoro particolare del Re dei re. Dio li aveva separati dal resto del mondo per affidare loro un compito sacro. Egli li rese custodi della sua legge e volle, tramite loro, conservare la memoria del suo nome presso tutti gli uomini.PP 261.3

    La luce del cielo avrebbe offerto il suo splendore a un mondo di tenebre: una voce avrebbe chiamato tutti i popoli ad abbandonare l’idolatria per ubbidire al vero Dio. Se gli israeliti avessero adempiuto fedelmente i loro doveri, sarebbero diventati una grande potenza; Dio li avrebbe difesi ed essi sarebbero stati onorati al di sopra di tutte le altre nazioni. Israele avrebbe dovuto costituire la dimostrazione dell’esistenza e della saggezza di Dio: osservando la legge divina, gli ebrei avrebbero dimostrato la superiorità del culto di Yahweh a ogni forma di idolatria.PP 261.4

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