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Patriarchi e profeti

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    Capitolo 28: L’idolatria al Sinai

    L’assenza di Mosè preoccupò gli israeliti, in attesa ai piedi della montagna. Tutti sapevano che era salito sul monte insieme a Giosuè: poi era entrato in quella fitta nuvola, che potevano vedere anche dalla pianura in cui si trovavano. Da quel momento, Mosè era sempre rimasto sulla cima della montagna, che i lampi della presenza divina illuminavano a tratti. Gli ebrei erano ansiosi di rivedere Mosè. Abituati ai simulacri delle divinità egiziane, riusciva loro difficile avere fede in un essere invisibile. Mosè era un punto di riferimento, ed essi avevano riposto in lui la loro fiducia. Ma ora era scomparso.PP 262.1

    Passarono i giorni e le settimane: Mosè non ritornava. Benché la nuvola fosse ancora visibile, nell’accampamento israelita cominciò a diffondersi la voce che egli li avesse abbandonati, o fosse stato ucciso dal terribile fuoco divino.PP 262.2

    In quel periodo di attesa, gli ebrei potevano riflettere sulla legge di Dio, che avevano udito, e preparare i loro animi a ricevere le rivelazioni che Mosè avrebbe comunicato nel prossimo futuro. Ma nessuno di loro dedicò molto tempo a queste riflessioni. Gli israeliti non si sforzarono di comprendere meglio la volontà divina, né si sottomisero con umiltà agli insegnamenti di Dio, per proteggersi dalle tentazioni. Questo atteggiamento superficiale li rese ben presto pigri e negligenti. Infine, scoppiò una rivolta.PP 262.3

    La ribellione era un sentimento comune, soprattutto nei gruppi più eterogenei, in cui il malcontento si era diffuso già da tempo, a causa del prolungarsi del viaggio verso la terra, dove scorrevano il latte e il miele. Ma Dio aveva promesso quella terra a una condizione, che essi avevano dimenticato: l’ubbidienza. Alcuni proposero di tornare in Egitto; anche coloro che in precedenza erano decisi a proseguire per Canaan, ora non erano più disposti ad aspettare Mosè.PP 262.4

    Consapevoli della propria mancanza di risorse, in assenza della loro guida, gli ebrei ritornarono alle vecchie superstizioni. I gruppi che per primi avevano manifestato la loro impazienza protestando furono i principali fautori dell’apostasia che seguì. Alcuni di coloro che in passato avevano praticato i culti pagani suggerirono di forgiare un vitello e di adorarlo, perché tra i simboli che gli egiziani avevano adottato per raffigurare la divinità vi erano il bue e il vitello. Era necessario avere un simulacro che rappresentasse Dio: quell’immagine avrebbe guidato il popolo al posto di Mosè. Ma Dio non si era presentato in nessuna forma identificabile, anzi aveva proibito ogni rappresentazione concreta della divinità. La base della fede del popolo dovevano essere i grandi miracoli avvenuti in Egitto e sulle rive del mar Rosso, opera dell’unico vero Dio, l’onnipotente sostegno d’Israele.PP 262.5

    La colonna di fuoco e la nuvola che guidavano la marcia degli ebrei, la manifestazione della gloria divina sul monte Sinai avrebbero dovuto soddisfare l’esigenza della presenza di Dio. Tuttavia, benché potessero distinguere con chiarezza questi segni davanti a loro, ricorsero alle raffigurazioni degli dèi egiziani e rappresentarono la gloria del Dio invisibile con l’immagine di un vitello. Una folla numerosa circondò la tenda di Aronne, che in assenza di Mosè era stato nominato giudice supremo, e gli rivolse questa richiesta: “...Orsù, facci un dio, che ci vada dinanzi, poiché, quanto a Mosè, a quest’uomo che ci ha tratto del paese d’Egitto, non sappiamo che ne sia stato”. Esodo 32:1. La nuvola che li aveva guidati fino ad allora, infatti, sembrava dover rimanere per sempre su quella montagna. Avevano bisogno di un’immagine reale. Inoltre, se avessero accettato la proposta di tornare in Egitto, il fatto di presentarsi al seguito di un idolo riconosciuto dagli egiziani come una divinità, avrebbe disposto questi pagani ad accogliere favorevolmente i fuggiaschi.4Il culto — Gli israeliti quando adorarono il vitello d’oro, professarono di adorare Dio. Per questo Aronne, nel momento in cui inaugurò il culto di questo idolo, proclamò: “Domani è una festa dedicata all’Eterno”. Si proponevano di adorare Dio come gli egiziani adoravano Osiride, sotto forma di un’immagine, ma Dio non poteva accettare questo tipo di adorazione. Anche se offerto nel suo nome, questo culto mostrava che il vero oggetto della loro adorazione era il dio sole e non l’Eterno. Il culto al dio Apis era caratterizzato dalla più bassa dissolutezza e le Scritture indicano che il culto del vitello d’oro degli israeliti manifestò la corruzione tipica dei culti pagani. “E l’indomani, quelli si levarono di buon’ora, offrirono olocausti e recarono de’ sacrifizi di azioni di grazie; e il popolo si adagiò per mangiare e bere, e poi si alzò per divertirsi”. Esodo 32:6. La parola ebraica tradotta con “suonare” associa questo verbo a saltellare, cantare e danzare. Questo tipo di danze, specialmente tra gli egiziani, era sensuale e indecente. La parola tradotta con “corrotto” nel versetto seguente che dice “il tuo popolo che hai fatto salire dal paese d’Egitto si è corrotto”, è la stessa usata in Genesi 6:11, 12 dove si legge che la terra era corrotta: “...la terra era piena di violenza... poiché ogni carne aveva corrotto la sua via sulla terra”. Ciò spiega la terribile collera del Signore e il motivo per cui Egli voleva subito sterminare il popolo.PP 263.1

    In quel momento di crisi sarebbe stato necessario un uomo fermo, deciso, pieno di coraggio, che considerasse la fedeltà a Dio più importante del favore del popolo, della propria incolumità e perfino della vita. Ma Aronne non aveva queste doti: egli non si oppose al popolo con fermezza: le sue esitazioni e la sua timidezza resero gli ebrei ancora più convinti. La rivolta si allargò. Sembrava che la folla fosse in preda a una cieca e irragionevole frenesia. Solo una piccola minoranza era rimasta fedele al patto concluso con Dio. Pochi osarono protestare, affermando che il possesso di quel simulacro li avrebbe assimilati ai popoli pagani. Queste persone subirono delle violenze e furono uccise durante la rivolta.PP 263.2

    Aronne temeva per la propria vita e, invece di difendere l’onore di Dio, si piegò alle richieste della folla. Ordinò al popolo di raccogliere tutti gli anelli d’oro, nella speranza che l’orgoglio li inducesse a rifiutare questo sacrificio. Ma gli israeliti si spogliarono degli ornamenti e li fusero per forgiare un vitello simile agli dèi egiziani. Infine, essi dichiararono: “...O Israele, questo è il tuo dio che ti ha tratto dal paese d’Egitto”. Esodo 6:4. Aronne non si limitò a dimostrare la sua viltà, permettendo questo insulto all’Eterno: fece di più. Vedendo l’approvazione che il dio d’oro aveva riscosso, costruì un altare davanti ad esso e proclamò: “Domani sarà festa in onore dell’Eterno”. Esodo 6:5. Alcuni araldi, accompagnati da trombettieri, ripeterono l’ordine in tutto l’accampamento. “E l’indomani, quelli si levarono di buon’ora, offrirono olocausti e recarono de’ sacrifizi di azioni di grazie; e il popolo si adagiò per mangiare e bere, e poi si alzò per divertirsi”. Esodo 6:6. Con il pretesto di fare “una festa in onore dell’Eterno” tutti si abbandonarono a piaceri e festeggiamenti immorali.PP 263.3

    Anche oggi, troppo spesso, l’amore per il piacere viene dissimulato da un’apparenza di religiosità. Ancora oggi la gente è alla ricerca di una religione che permetta a quanti ne praticano i riti e i culti di abbandonarsi a passioni egoistiche e sensuali. Anche oggi esistono persone deboli come Aronne che, pur ricoprendo un’importante e autorevole posizione nella chiesa, cedono ai desideri di chi non crede in Dio e li incoraggia alla trasgressione.PP 264.1

    Erano passati solo pochi giorni da quando gli ebrei avevano stipulato il loro patto solenne con Dio, promettendo di ubbidire alle sue prescrizioni. In quell’occasione, davanti alla montagna, avevano ascoltato con terrore queste parole del Signore: “Non avere altri dii nel mio cospetto”. Il segno della gloria di Dio era ancora visibile sul Sinai, ma il popolo non ne tenne conto e chiese altri dèi. “Fecero un vitello in Horeb, e adorarono un’immagine di getto; così mutarono la loro gloria nella figura d’un bue”. Salmi 106:19, 20. Quale ingratitudine, quali arroganti insulti dimostrarono nei confronti di colui che si era manifestato come un tenero padre e un sovrano onnipotente!PP 264.2

    Mosè fu avvertito della ribellione mentre si trovava ancora sul monte; il Signore gli chiese di tornare, dicendogli: “...Va’, scendi; perché il tuo popolo che hai tratto dal paese d’Egitto, s’è corrotto; si son presto sviati dalla strada ch’io avevo loro ordinato di seguire; si son fatti un vitello di getto, l’hanno adorato...”. Esodo 32:7, 8. Dio avrebbe potuto arrestare la rivolta sin dall’inizio, ma lasciò che si sviluppasse per mostrare qual è la punizione dell’infedeltà e del tradimento.PP 264.3

    Il patto stipulato fra Dio e il suo popolo era stato infranto. L’Eterno dichiarò a Mosè: “...Lascia che la mia ira s’infiammi contro a loro, e ch’io li consumi! Ma di te io farò una grande nazione”. Esodo 32:10. Il popolo d’Israele, e in particolare i gruppi etnici più eterogenei, si sarebbero facilmente ribellati contro Dio anche in futuro; avrebbero continuato a lamentarsi di Mosè, angosciandolo con la loro incredulità e ostinazione. Il compito di condurre Israele alla terra promessa sarebbe diventato per Mosè una fatica ingrata, fonte di continue difficoltà e prove. Le colpe degli ebrei avevano ormai superato la misura della pazienza divina: era giusto sopprimere i responsabili. Il Signore dichiarò che avrebbe annientato quel popolo e da Mosè avrebbe fatto nascere una nazione potente.PP 264.4

    “Lascia... ch’io li consumi” aveva detto Dio. Se avesse deciso di distruggere Israele, chi avrebbe potuto difendere quel popolo? Gli ebrei erano colpevoli: chiunque li avrebbe abbandonati al loro destino. Chi, al posto di Mosè, avrebbe preferito a una vita di sacrificio e di fatica, contrassegnata dall’ingratitudine e dalle rivolte, una posizione comoda e onorevole, se per di più era Dio stesso a offrirla?PP 265.1

    Mosè seppe scorgere la speranza dove apparentemente vi erano solo ragioni per scoraggiarsi e indignarsi. L’espressione: “Lasciami fare” (Diodati) fece comprendere a Mosè che Dio era disponibile ad accogliere un’intercessione, e che solo le sue preghiere avrebbero potuto salvare Israele, evitando la distruzione del suo popolo. “Allora Mosè supplicò l’Eterno, il suo Dio, e disse: Perché, o Eterno, l’ira tua s’infiammerebbe contro il tuo popolo che hai tratto dal paese d’Egitto con gran potenza e con mano forte?” Esodo 32:11.PP 265.2

    Dio aveva fatto intendere di avere ormai rinnegato il popolo. Rivolgendosi a Mosè, Egli aveva sottolineato: “Il tuo popolo che hai tratto dal paese d’Egitto”. Cfr. Esodo 32:7. Con grande umiltà, Mosè rifiutò di essere considerato come la guida d’Israele. Quel popolo non era suo: apparteneva a Dio. E quindi replicò: “...Il tuo popolo che hai tratto... con gran potenza e con mano forte. Perché” aggiunse “direbbero gli Egiziani: Egli li ha tratti fuori per far loro del male, per ucciderli su per le montagne e per sterminarli di sulla faccia della terra?...”. Esodo 32:11, 12.PP 265.3

    Durante i pochi mesi trascorsi dalla fuga del popolo d’Israele dall’Egitto, la notizia dello straordinario intervento di Dio era giunta a tutte le nazioni circostanti, e aveva suscitato sgomento e terribili presagi fra i pagani. Tutti seguivano con attenzione gli eventi, per vedere se Dio avrebbe ancora protetto il suo popolo, e se Israele sarebbe stato vinto dai suoi nemici: una sconfitta, infatti, avrebbe gettato il discredito sul suo Dio. Allora gli egiziani avrebbero potuto affermare che le loro previsioni erano state giuste, perché Dio, invece di condurre il suo popolo fuori dal paese per compiere dei sacrifici, ne aveva provocato la distruzione. Essi non avrebbero certo considerato le colpe d’Israele, e la distruzione del popolo che Egli aveva protetto con manifestazioni così imponenti, ma avrebbero attribuito a Dio una natura malvagia. Quanto è grande la responsabilità di coloro che Dio ha circondato del suo favore, affinché il Signore sia rispettato! Essi dovrebbero stare attenti a evitare di commettere un’azione sbagliata, non solo perché incontrerà la condanna divina, ma anche perché essa offrirà un’immagine sbagliata di Dio, e lo esporrà alle critiche di chi non crede! Nel difendere la sopravvivenza d’Israele, la timidezza di Mosè scomparve ed egli si accorse di provare un amore profondo per quella gente per cui egli aveva fatto tanto, sotto la guida di Dio. Il Signore ascoltò le sue suppliche e la sua preghiera disinteressata; aveva messo alla prova la fedeltà e l’amore di Mosè per quel popolo corrotto e ingrato: egli aveva superato le difficoltà, comportandosi con grande nobiltà d’animo. Il suo interesse per Israele non aveva nessun movente egoistico. Mosè considerava la felicità del popolo scelto da Dio più importante del prestigio personale, e perfino del privilegio di diventare padre di una potente nazione. Dio era soddisfatto della sua fedeltà, della sua semplicità e onestà e gli affidò il grande compito di guidare, come un pastore fedele, il popolo d’Israele verso la terra promessa.PP 265.4

    Con “le due tavole della testimonianza”, accompagnato da Giosuè, Mosè scese dalla montagna e ben presto sentì le grida e gli schiamazzi di quella folla eccitata. Evidentemente, era ritornato nel pieno di un tumulto selvaggio. Giosuè, che era un soldato, inizialmente pensò a un attacco da parte dei nemici. “S’ode un fragore di battaglia nel campo” (cfr. Esodo 32:17) disse. Ma Mosè capì subito cosa fosse: il rumore faceva pensare più a un’orgia che a una battaglia. “...Questo” disse “non è né grido di vittoria, né grido di vinti; il clamore ch’io odo è di gente che canta”. Esodo 32:18.PP 266.1

    Quando si avvicinarono all’accampamento, Mosè e Giosuè videro il popolo che gridava e danzava intorno ai propri idoli. Era uno spettacolo tipicamente pagano, un’imitazione delle feste idolatriche degli egiziani, del tutto diversa dal solenne e devoto culto riservato a Dio. Mosè era costernato: poco tempo prima era stato alla presenza di Dio e non si aspettava assolutamente di assistere a quella scena terribile e degradante. Indignato, manifestò tutto il suo orrore scaraventando al suolo le due tavole di pietra, che si ruppero davanti al popolo. Il suo gesto doveva avvertire gli israeliti che il patto fra loro e Dio era stato infranto, perché il Signore stesso l’aveva annullato.PP 266.2

    Entrando nell’accampamento, Mosè passò attraverso la folla in rivolta, abbatté gli idoli, li gettò nel fuoco e li ridusse in polvere. Quindi gettò la polvere nell’acqua del ruscello che scendeva dal monte e la fece bere al popolo: in questo modo, intendeva dimostrare loro tutta l’impotenza del dio che avevano adorato.PP 266.3

    Il grande condottiero si avvicinò al fratello colpevole, e con severità gli chiese: “...Che t’ha fatto questo popolo, che gli hai tirato addosso un sì gran peccato?” Esodo 32:21. Aronne tentò di scusarsi, riferendo a Mosè la protesta del popolo e sostenendo che se egli non avesse ceduto sarebbe stato ucciso. “L’ira del mio Signore non s’infiammi” disse “tu conosci questo popolo, e sai ch’è inclinato al male. Essi m’hanno detto: Facci un dio che ci vada dinanzi; poiché, quanto a Mosè, a quest’uomo che ci ha tratti dal paese d’Egitto, non sappiamo che ne sia stato. E io ho detto loro: Chi ha dell’oro se lo levi di dosso! Essi me l’hanno dato; io l’ho buttato nel fuoco, e n’è venuto fuori questo vitello”. Esodo 32:22-24. Aronne voleva far credere a Mosè che per un miracolo, l’oro gettato nel fuoco si era trasformato in un vitello. Le sue bugie e le sue giustificazioni non avevano alcun valore ed egli fu giustamente considerato il maggiore colpevole.PP 266.4

    Ciò che rendeva il peccato di Aronne così grave, era la posizione nobile e onorevole che occupava. Benché egli fosse “il santo dell’Eterno” (cfr. Salmi 106:16), aveva plasmato l’idolo e aveva annunciato la festa. Dio lo aveva scelto come portavoce di Mosè e aveva detto di lui: “Io so che parla bene”. Esodo 4:14. Nonostante questo, non era riuscito a controllare quel popolo corrotto, che pensava di poter sfidare il cielo.PP 267.1

    Aronne, di cui Dio si era servito per colpire con i suoi giudizi gli egiziani e i loro dèi, aveva tollerato in modo impassibile che davanti all’idolo di metallo si esclamasse: “O Israele, questo è il tuo Dio che ti ha tratto dal paese d’Egitto!” Esodo 32:4. Egli era salito con Mosè sul monte, aveva contemplato la gloria di Dio: di fronte a quella manifestazione di potenza, aveva compreso che nessuna rappresentazione materiale può ritrarre Dio, che la sua gloria non può essere accostata all’immagine di un vitello. In assenza di Mosè, quando gli era stato affidato il comando del popolo, aveva approvato la ribellione. “L’Eterno s’adirò anche fortemente contro Aronne, al punto di volerlo far perire...”. Deuteronomio 9:20. Ma in seguito all’intercessione del fratello, egli fu risparmiato, perché comprese la gravità della colpa di cui si era macchiato. Il suo pentimento fu profondo, e Dio lo perdonò.PP 267.2

    Se Aronne avesse avuto il coraggio di difendere la giustizia, senza preoccuparsi delle conseguenze, avrebbe evitato la ribellione. Se fosse stato scrupolosamente fedele a Dio, e avesse richiamato alla mente del popolo la terribile manifestazione di potenza a cui avevano assistito davanti al Sinai; se avesse ricordato il patto solenne che Israele aveva stipulato con l’Eterno, e l’obbligo di ubbidienza che esso imponeva, quella trasgressione sarebbe stata evitata. La sua condiscendenza ai desideri del popolo, la pronta approvazione con cui aveva accolto i progetti dei ribelli, incoraggiò gli israeliti a commettere un peccato molto più grave di quello a cui avevano pensato.PP 267.3

    Quando Mosè ritornò al campo, affrontò i colpevoli della rivolta. Frantumando le sacre tavole della legge, egli aveva espresso tutto il suo biasimo e la sua indignazione. Il popolo comprese allora quanto la sua presa di posizione fosse distante dall’accondiscendenza e dall’impassibilità dimostrate da suo fratello. Aronne aveva ormai conquistato le simpatie del popolo. Egli tentò di giustificare la propria debolezza, attribuendo l’intera responsabilità della rivolta al popolo stesso. Era stato costretto a cedere a causa delle pressioni dei ribelli. Nonostante queste menzogne, gli israeliti lo ammirarono per la sua condotta paziente e tollerante.PP 268.1

    Dio però non giudica usando lo stesso metro di misura degli uomini. Il carattere accomodante di Aronne, il suo desiderio di ottenere la simpatia della gente gli impedirono di comprendere l’enormità del crimine che aveva commesso. Il suo atteggiamento fornì un autorevole incoraggiamento alla trasgressione: l’errore di Aronne costò la vita di migliaia di persone. La posizione assunta da Mosè fu molto diversa da quella del fratello. La sua rigorosa ubbidienza alla volontà divina, esprimeva un interesse per la salvezza d’Israele superiore a qualsiasi preoccupazione riguardante il benessere personale, la propria vita o i riconoscimenti pubblici.PP 268.2

    Tra le colpe che Dio punirà, nessuna è più grave di quella commessa da chi incoraggia a compiere il male. Dio vuole che i credenti manifestino lealtà e fedeltà condannando apertamente la trasgressione, anche se ciò può essere doloroso. Coloro che hanno l’onore di eseguire un ordine divino, non devono dimostrarsi deboli e condiscendenti. Essi, piuttosto, devono evitare in ogni modo l’autoesaltazione: senza trascurare i doveri poco piacevoli, dovrebbero compiere l’opera di Dio con rigorosa fedeltà. Anche se Dio aveva accettato le preghiere di Mosè, risparmiando gli ebrei, la loro punizione sarebbe stata esemplare. Se i sentimenti di ribellione e indisciplina che Aronne aveva incoraggiato non fossero stati rapidamente soffocati, Israele sarebbe scivolato nell’anarchia, e presto sarebbe andato incontro alla rovina. Il male quindi doveva essere punito con grande severità. Mosè chiamò il popolo alle porte dell’accampamento e annunciò: “Chiunque è per l’Eterno, venga a me!” Cfr. Esodo 32:26. Coloro che non avevano partecipato alla ribellione dovevano porsi alla destra di Mosè; chi, tra i colpevoli, si era pentito si sarebbero schierato, invece, alla sua sinistra. Quando l’ordine fu eseguito, si vide che la tribù di Levi non aveva partecipato al culto pagano; tra le altre tribù, molti dichiararono di essersi pentiti. Un folto gruppo, tuttavia, costituito per lo più da gruppi etnici eterogenei, lo stesso che aveva incoraggiato la fabbricazione del vitello, persisteva ostinatamente nella sua rivolta. Mosè, nel nome dell’“Eterno, il Dio d’Israele”, ordinò a coloro che erano alla sua destra, che non erano stati contaminati dall’idolatria, di estrarre le spade e uccidere tutti coloro che non si erano pentiti. “E in quel giorno caddero circa tremila uomini”. Esodo 32:28. Indipendentemente dalla loro posizione, dal gruppo a cui appartenevano e dai loro legami di amicizia, i ribelli furono sterminati. Quanti si erano sottomessi al giudizio divino, pentendosi, furono risparmiati.PP 268.3

    Gli uomini che eseguirono questa terribile condanna, agirono su mandato divino, applicando la sentenza del Re del cielo. Si deve usare un’estrema cautela nel giudicare e condannare il prossimo, a causa della limitatezza delle facoltà umane; tuttavia, quando Dio ordina l’esecuzione di un suo giudizio, è necessario ubbidire. Coloro che compiono questa azione penosa manifestano tutto il proprio orrore per l’infedeltà e l’idolatria, e si consacrano per ubbidire pienamente a Dio. Per questo motivo, il Signore onorò la fedeltà della tribù di Levi concedendole un riconoscimento speciale. Gli ebrei erano colpevoli di aver tradito un’autorità a cui avevano scelto di sottomettersi, e dalla quale avevano ricevuto dei benefici. Perchè Dio potesse continuare a condurre Israele, era necessario fare giustizia nei confronti dei traditori. Il Signore continuava ad essere disponibile al perdono, senza tuttavia infrangere la sua legge, concedendo a tutti di scegliere liberamente se pentirsi o meno. Sarebbero stati eliminati solo coloro che avrebbero continuato a ribellarsi.PP 269.1

    Quella punizione aveva anche lo scopo di dimostrare ai popoli vicini quale condanna Dio riservasse a chi si dedicava ai culti pagani. L’esecuzione ordinata da Mosè, in nome di Dio, doveva ristabilire la giustizia e sarebbe stata ricordata come una condanna pubblica e solenne del crimine commesso. Nel prossimo futuro, gli israeliti sarebbero stati chiamati ad attuare il giudizio di Dio sulle tribù vicine, per le loro pratiche idolatriche. Allora i nemici d’Israele avrebbero rimproverato a quel popolo che sosteneva di adorare l’Eterno come loro Dio, di aver fatto un vitello e averlo adorato ad Horeb. Gli ebrei avrebbero potuto riconoscere la gravità di quell’episodio, e tuttavia la dimostrazione più efficace del fatto che quell’errore non era stato tollerato e giustificato sarebbe stato il ricordo del terribile destino dei trasgressori.PP 269.2

    La condanna di questo peccato era imposta non solo da esigenze di giustizia, ma anche dall’amore. Dio è il difensore e il sovrano del suo popolo: Egli è deciso a distruggere quanti vogliono ribellarsi contro di lui, perché non conducano alla rovina anche altri. Quando il Signore risparmiò la vita di Caino, dimostrò a tutto l’universo quali sarebbero stati i risultati di un peccato tollerato e non punito. L’influsso esercitato dalla vita e dagli insegnamenti di Caino sui suoi discendenti provocò una tale corruzione da richiedere la distruzione del mondo. La storia degli abitanti della terra, prima del diluvio, dimostra che avere una vita lunga non è una benedizione per chi commette azioni malvage. Dio, nella sua pazienza, non aveva posto un limite alla malvagità dell’uomo: così, più egli viveva, maggiore era il suo grado di corruzione.PP 269.3

    Nella rivolta del Sinai la situazione era analoga. Se Dio non avesse punito subito la trasgressione, avrebbe dovuto assistere alle stesse conseguenze: gli uomini sarebbero diventati corrotti come ai giorni di Noè. Il male che ne sarebbe derivato sarebbe stato più grave di quello che seguì quando venne risparmiata la vita di Caino. Nella sua generosità, il Signore permise la sofferenza di alcune migliaia di persone per prevenire una condanna che avrebbe potuto colpire milioni di individui. Per salvare molti, Dio ha dovuto punire pochi. Inoltre, il popolo aveva infranto l’alleanza con Dio, e quindi non poteva più contare sulla sua protezione: ciò lo avrebbe reso una facile preda per i suoi numerosi e potenti nemici. Era necessario, per il bene d’Israele e per dare una lezione alle generazioni future, estirpare completamente il male e punire la trasgressione. Anche per i colpevoli fu un bene che le loro azioni malvage venissero interrotte. Infatti, se Dio li avesse risparmiati, la stessa volontà di ribellione che avevano manifestato contro di lui li avrebbe portati a odiarsi e lottare fra loro, fino a eliminarsi a vicenda. Il male fu punito con rapida e terribile severità, in nome dell’amore per il mondo, per Israele e perfino per i trasgressori.PP 270.1

    Quando il popolo si rese conto della gravità della sua colpa, fu assalito dal terrore; tutti coloro che si erano ribellati temettero di essere uccisi. Impietosito per la loro angoscia, Mosè promise di intercedere per loro presso Dio ancora una volta. “...Voi avete commesso un gran peccato” disse “ma ora io salirò all’Eterno; forse otterrò che il vostro peccato vi sia perdonato”. Esodo 32:30. Si presentò davanti a Dio, al quale confessò: “...Ahimè, questo popolo ha commesso un gran peccato, e s’è fatto un dio d’oro; nondimeno, perdona ora il loro peccato! Se no, deh, cancellami dal tuo libro che hai scritto!” “Colui che ha peccato contro di me”, rispose l’Eterno “quello cancellerò dal mio libro! Or va, conduci il popolo dove t’ho detto. Ecco, il mio angelo andrà dinanzi a te; ma nel giorno che verrò a punire, io li punirò del loro peccato”. Esodo 32:31-34.PP 270.2

    Nella preghiera di Mosè vengono citati i libri del cielo, dove sono accuratamente registrati i nomi di tutti gli uomini, insieme alle loro azioni buone e malvage. Il libro della vita contiene infatti i nomi di tutti coloro che hanno condotto una vita coerente con gli insegnamenti di Dio. Chi si allontana da lui e con ostinazione persiste nei propri errori, fino a diventare insensibile all’azione dello Spirito Santo, nel giorno del giudizio sarà cancellato dal libro della vita e sarà destinato alla distruzione. Mosè comprese quanto terribile dovesse essere il destino dei peccatori. Piuttosto che vedere il suo popolo respinto da Dio, avrebbe preferito essere considerato colpevole per tutto Israele. Non poteva sopportare di vedere i giudizi divini abbattersi su quel popolo, che era stato liberato in un modo così prodigioso. L’intercessione di Mosè in difesa del popolo è un esempio della mediazione che il Cristo compie per i peccatori; a differenza di quanto accadde per il Cristo, il Signore non permise a Mosè di subire le conseguenze della trasgressione altrui. “Colui che ha peccato contro di me” disse “quello cancellerò dal mio libro”. Esodo 32:33.PP 270.3

    Con grande tristezza, gli ebrei seppellirono i loro morti: ben tremila persone erano cadute sotto i colpi della spada, e subito dopo la strage un flagello aveva colpito l’accampamento. Essi seppero inoltre che la presenza divina non li avrebbe più accompagnati durante il loro viaggio. L’Eterno infatti aveva dichiarato: “...Io non salirò in mezzo a te, perché sei un popolo di collo duro, ond’io non abbia a sterminarti per via”. Esodo 33:3. In seguito venne dato quest’ordine: “...Togliti i tuoi ornamenti, e vedrò com’io ti debba trattare”. In segno di pentimento e di umiltà “...i figliuoli d’Israele si spogliarono de’ loro ornamenti, dalla partenza dal monte Horeb in poi”. Esodo 33:5, 6.PP 271.1

    Per ordine divino, la tenda che serviva temporaneamente da luogo di adorazione fu spostata e piantata “a una certa distanza dal campo”. Era un segno evidente del fatto che Dio si era allontanato da loro, che non si sarebbe più rivelato al popolo, ma solo a Mosè. Il rimprovero fu avvertito in maniera molto acuta e gli israeliti, che sentivano un profondo rimorso per l’accaduto, videro in questo provvedimento il presagio di grandi calamità. Forse il Signore aveva separato Mosè dall’accampamento per sterminarli? Essi conservarono comunque una speranza, perché la tenda che ora si trovava al di fuori del campo, fu chiamata da Mosè “tenda di convegno”. Tutti coloro che si erano sinceramente pentiti e desideravano tornare all’Eterno furono invitati a trovare rifugio in quel luogo per confessare i loro errori e ricercare la misericordia divina. Quando ritornarono alle loro tende, Mosè entrò nel tabernacolo, e il popolo osservò con ansia se si poteva intuire qualche segno di consenso all’intercessione che egli aveva intrapreso in loro favore. Se Dio avesse accettato di incontrarsi con Mosè, essi potevano sperare di non venire sterminati. Così, quando scese la nuvola, fermandosi all’entrata del santuario, tutti gli israeliti piansero di gioia “...e ciascuno si prostrava all’ingresso della propria tenda”. Esodo 33:10.PP 271.2

    Mosè si rendeva pienamente conto della malvagità e della cecità morale di coloro che gli erano stati affidati, e comprendeva le difficoltà che avrebbe dovuto affrontare. Aveva imparato che se voleva esercitare con successo la propria autorità sul popolo, doveva ricercare l’aiuto di Dio. Allora implorò una rivelazione più chiara della volontà divina e per ottenere la certezza della sua presenza, disse: “...Vedi, tu mi dici: Fa’ salire questo popolo! e non mi fai conoscere chi manderai meco. Eppure hai detto: Io ti conosco personalmente e anche hai trovato grazia agli occhi miei. Or dunque, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, deh, fammi conoscere le tue vie, ond’io ti conosca e possa trovare grazia agli occhi tuoi. E considera che questa nazione è popolo tuo”. Esodo 33:12, 13.PP 272.1

    Dio rispose: “La mia presenza andrà teco e io ti darò riposo”. Esodo 33:14. Ma Mosè non era soddisfatto. Era oppresso dal pensiero delle terribili conseguenze che si sarebbero verificate se Dio avesse abbandonato il popolo alla sua insensibilità e al suo cieco orgoglio. Non poteva sopportare che il suo destino fosse diverso da quello dei suoi fratelli, e pregò Dio di continuare a proteggere il suo popolo e guidarlo ancora attraverso il deserto, manifestando con dei segni la sua presenza: “...Se la tua presenza non vien meco, non ci far partire di qui. Poiché come si farà ora a conoscere che io e il tuo popolo abbiam trovato grazia agli occhi tuoi? Non sarà egli dal fatto che tu vieni con noi? Questo distinguerà me e il tuo popolo da tutti i popoli che sono sulla faccia della terra”. Esodo 33:15, 16.PP 272.2

    E il Signore disse: “Farò anche questo che tu chiedi, poiché tu hai trovato grazia agli occhi miei, e ti conosco personalmente”. Esodo 33:17. Benché avesse ottenuto una risposta, il profeta non cessò di implorare il Signore. Ogni sua preghiera era stata esaudita, ma egli desiderava ardentemente una manifestazione più grande del favore divino, e così formulò una richiesta che nessun uomo aveva mai presentato: “Deh, fammi vedere la tua gloria”. Esodo 33:18. Dio non considerò presuntuosa questa richiesta, ma rispose con grande bontà: “Io farò passare davanti a te tutta la mia bontà”. Esodo 33:19. Nessun mortale poteva sopravvivere di fronte alla completa manifestazione della gloria divina, ma a Mosè fu assicurato che avrebbe potuto contemplare lo splendore della divinità finché le sue facoltà umane avrebbero potuto tollerare quella visione. Sulla cima della montagna, la stessa mano che aveva fatto il mondo, che “...trasporta le montagne senza che se ne avvedano...” (Giobbe 9:5), prese quella creatura, quel potente uomo di fede, e lo posò in un anfratto roccioso; quindi fece passare davanti a lui la rivelazione di tutta la sua gloria e bontà.PP 272.3

    Questa esperienza, ma soprattutto la promessa del conforto della presenza divina, diede a Mosè la certezza di riuscire nella missione che lo attendeva, ed egli la considerò molto più preziosa di tutto ciò che aveva imparato in Egitto dai condottieri militari e dagli uomini di stato. Nessuna cultura, nessun potere terreno possono sostituire la costante presenza di Dio.PP 273.1

    Per chi commette un errore, è terribile trovarsi in potere di Dio; Mosè rimase solo davanti all’Eterno, senza alcun timore, perché si sentiva in armonia con il suo Creatore. Il salmista dice: “Se nel mio cuore avessi avuto di mira l’iniquità, il Signore non m’avrebbe ascoltato”. Salmi 66:18. Ma “il segreto dell’Eterno è per quelli che lo temono ed Egli fa loro conoscere il suo patto”. Salmi 25:14.PP 273.2

    Dio proclamò di se stesso: “...L’Eterno! L’Eterno! L’Iddio misericordioso e pietoso lento all’ira, ricco in benignità e fedeltà, che conserva la sua benignità fino alla millesima generazione, che perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato ma non terrà il colpevole per innocente... E Mosè subito s’inchinò fino a terra, e adorò”. Esodo 34:6-8. Ancora una volta, egli aveva ottenuto da Dio il perdono per quel popolo che considerava come la sua stessa discendenza. La preghiera era stata esaudita: il Signore, nella sua generosità, aveva promesso di confermare la sua benevolenza nei confronti d’Israele e compiere in sua difesa azioni straordinarie, mai viste “su tutta la terra né in alcuna nazione”.PP 273.3

    Anche questa volta Mosè rimase sulla montagna quaranta giorni e quaranta notti, miracolosamente sostenuto durante tutto quel periodo. A nessun uomo era stato permesso di salire con lui né avvicinarsi alla montagna, durante la sua assenza. Seguendo un ordine divino, Mosè aveva preparato due tavole di pietra e le aveva portate in cima alla montagna. E ancora una volta “...l’Eterno scrisse sulle tavole le parole del patto, le dieci parole”. Esodo 34:28.5I dieci comandamenti — I dieci comandamenti erano il “patto” al quale il Signore si riferiva quando disse a Israele: “Se ubbidite davvero alla mia voce e osservate il mio patto...”. Esodo 19:5. I dieci comandamenti vennero definiti da Dio un “patto” prima che esso venisse stipulato con Israele. Essi non rappresentavano un accordo, ma qualcosa che Dio stesso aveva ordinato di osservare, di mettere in pratica. Quindi, i dieci comandamenti — il patto di Dio — divennero la base del rapporto tra lui e Israele. I dieci comandamenti, in tutti i loro dettagli, rappresentano “tutte queste parole”, con le quali venne stabilito il patto. Cfr. Esodo 24:8.PP 273.4

    Durante il lungo periodo trascorso in comunione con Dio il volto di Mosè aveva assunto il riflesso della gloria divina. Anche quando egli discese dalla montagna il suo viso era illuminato da uno splendore abbagliante, di cui non era consapevole. Era la stessa luce che avrebbe illuminato il volto di Stefano, trascinato davanti ai giudici; “e tutti coloro che sedevano nel Sinedrio, avendo fissati in lui gli occhi, videro la sua faccia simile alla faccia d’un angelo”. Atti 6:15. Quando videro Mosè, Aronne e il popolo si allontanarono perché “temettero d’accostarsi a lui”. Cfr. Esodo 34:30. Ignorando la causa di tanta confusione e terrore, il condottiero degli israeliti insistette perché la gente si avvicinasse, e indicò il segno della riconciliazione con Dio, confermando che l’Eterno aveva perdonato Israele. La folla percepì nella sua voce un tono affettuoso e supplichevole, e infine qualcuno osò avvicinarsi a lui ma, troppo spaventato per parlargli, indicò la sua espressione e quindi il cielo. Allora Mosè comprese cosa volesse dirgli. Consapevoli delle loro colpe e della disapprovazione di Dio, gli ebrei non riuscivano a sopportare la luce divina che, se avessero ubbidito alla sua volontà, li avrebbe riempiti di gioia. Chi ha compiuto un’azione malvagia ha paura: chi invece è libero da sensi di colpa non cerca di evitare la luce che proviene dal cielo.PP 273.5

    Mosè aveva molte cose da riferire loro, ma comprese quel timore e si coprì il volto con un velo che indossò ogni volta che ritornava al campo, dopo essere stato in presenza di Dio.PP 274.1

    Con questo splendore, Dio voleva imprimere nella mente degli israeliti la sacralità della sua legge e la gloria del Vangelo, rivelato attraverso il Cristo. Sul Sinai Dio non presentò a Mosè soltanto le tavole della legge ma anche l’intero progetto per la salvezza dell’uomo. Egli vide il sacrificio del Cristo, prefigurato da tutti i simboli della tradizione ebraica. Ciò che rendeva così luminoso il volto di Mosè erano il fiume di luce che proveniva dal Calvario e la gloria della legge di Dio. La luce divina era il simbolo della solennità della grazia, di cui Mosè era lo strumento umano, come rappresentante dell’unico e vero mediatore fra Dio e l’uomo, il Cristo.PP 274.2

    La gloria riflessa sul volto di Mosè è un esempio delle benedizioni offerte al popolo che osserva i comandamenti di Dio, attraverso Gesù. Essa dimostra che più stretto è il contatto spirituale fra Dio e l’uomo, più sarà reso conforme all’immagine divina e partecipe della sua natura.PP 274.3

    Mosè è una rappresentazione simbolica del Cristo. Egli agì come strumento di Dio per il bene d’Israele e nascose con un velo il suo volto perché il popolo non avrebbe potuto sostenere la vista della gloria di Dio. Così il Cristo, il nostro Signore e intermediario presso Dio, rivestì di umanità la sua natura divina quando venne sulla terra. Se egli avesse conservato lo splendore della divinità non avrebbe potuto avere alcun contatto con l’umanità decaduta. Infatti, non sarebbe stato possibile per gli esseri umani resistere alla maestà della sua presenza. Così Gesù umiliò se stesso, e fu reso “simile a carne di peccato” (cfr. Romani 8:3), perché potesse raggiungere l’uomo perduto ed elevarlo a sé.PP 274.4

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