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Patriarchi e profeti

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    Capitolo 48: La spartizione del territorio di Canaan

    Alla vittoria di Beth-Horon seguì subito dopo la conquista della parte meridionale della terra di Canaan. “Così Giosuè li batté da Kades-Barnea fino a Gaza, e batté tutto il paese di Goscen fino a Gabaon. E Giosuè prese ad una volta tutti quei re e i loro paesi, perché l’Eterno, l’Iddio d’Israele, combatteva per Israele. Poi Giosuè, con tutto Israele, fece ritorno al campo di Ghilgal”. Giosuè 10:41-43.PP 428.1

    Terrificate dal successo che aveva ottenuto il popolo d’Israele, le tribù del nord della Palestina formarono una lega guidata da Iabin, re di Hatsor, un territorio situato a occidente del lago Merom. “E quelli uscirono con tutti i loro eserciti”. Era un esercito molto più grande di quelli che gli israeliti avevano sino ad allora incontrato in Canaan, “un popolo innumerevole come la rena ch’è sul lido del mare, e con cavalli e carri in grandissima quantità. Tutti questi re si riunirono e vennero ad accamparsi assieme presso le acque di Merom per combattere contro Israele”. Giosuè 11:4, 5. Giosuè ricevette allora un altro messaggio d’incoraggiamento: “Non li temere, perché domani, a quest’ora, io farò che saran tutti uccisi davanti a Israele”. Giosuè 11:6.PP 428.2

    Giosuè piombò nel campo di quegli eserciti alleati, presso il lago Herom, mettendoli clamorosamente in fuga. “L’Eterno li diede nelle mani degli Israeliti, i quali li batterono e l’inseguirono... così da non lasciarne scampare uno”. Giosuè 11:8. I carri e i cavalli, vanto e orgoglio dei cananei, non avevano avuto effetto su Israele, e all’ordine del Signore i carri furono bruciati, i cavalli azzoppati, affinché non fossero più adatti per la battaglia. Gli israeliti non dovevano confidare nei carri o nei cavalli, ma “nel nome dell’Eterno loro Dio”.PP 428.3

    Le città furono conquistate a una a una, e Hazor, la roccaforte della confederazione, fu bruciata. Dopo vari anni di guerra Giosuè conquistò Canaan. “E il paese ebbe requie dalla guerra”. Giosuè 11:23.PP 428.4

    I cananei, pur essendo stati soggiogati, non furono del tutto spodestati. A occidente della Palestina, lungo la costa, i filistei occupavano ancora una fertile pianura; a nord vi era il territorio dei sidoniti, che possedevano anche il Libano; e a sud, verso l’Egitto, il paese era ancora nelle mani dei nemici d’Israele. Giosuè, comunque, non doveva continuare la guerra. Prima di lasciare la guida d’Israele, lo attendeva un’altra opera importante. Tutto il paese, sia la parte già conquistata sia quella non ancora soggiogata, doveva essere divisa fra le tribù, ognuna delle quali aveva il dovere di conquistare completamente il territorio assegnatole. Se gli israeliti fossero rimasti fedeli a Dio e al suo patto Egli, oltre a sconfiggere i loro nemici, avrebbe accordato loro possedimenti ancora più vasti.PP 428.5

    Il compito di dividere il paese, assegnando a sorte a ogni tribù il proprio territorio, spettava a Giosuè e al sommo sacerdote Eleazar. Era stato lo stesso Mosè a fissare i confini del territorio da dividere fra le tribù, una volta che esse fossero entrate in possesso di Canaan. Mosè, inoltre, aveva nominato dei prìncipi, uno per tribù, che si sarebbero occupati della suddivisione. La tribù di Levi, consacrata al servizio del santuario, pur non ricevendo nessuna regione, ebbe quarantotto città dislocate in diverse zone di Canaan.PP 429.1

    Prima che si procedesse alla spartizione del paese, Caleb, accompagnato dagli anziani della sua tribù, avanzò una richiesta particolare. Dopo Giosuè, egli era l’uomo più anziano d’Israele; erano state le uniche due spie che avevano dato un rapporto positivo della terra promessa, incoraggiando il popolo ad avanzare per prenderne possesso nel nome dell’Eterno; e in segno di riconoscimento di questa loro fedeltà avevano ricevuto una promessa: “La terra che il tuo piede ha calcata sarà eredità tua e dei tuoi figliuoli in perpetuo, perché hai pienamente seguito l’Eterno, il mio Dio”. Giosuè 14:9. Caleb, ricordando a Giosuè questa promessa, chiedeva il territorio di Hebron, dove erano vissuti per tanti anni Abramo, Isacco e Giacobbe, sepolti poi nella caverna di Macpela.PP 429.2

    È vero che Hebron era abitata dai temibili Anakim, il cui aspetto aveva talmente spaventato le spie da scoraggiare tutto Israele. Ma era proprio il luogo che Caleb, confidando nella forza di Dio aveva scelto come sua eredità.PP 429.3

    “Ed ora ecco, l’Eterno mi ha conservato in vita” disse Caleb “durante i quarantacinque anni ormai trascorsi da che l’Eterno disse quella parola a Mosè... ed ecco, ora che ho ottantacinque anni, sono oggi ancora robusto com’ero il giorno che Mosè mi mandò; le mie forze son le stesse d’allora, tanto per combattere quanto per andar e venire. Or dunque dammi questo monte del quale l’Eterno parlò quel giorno; poiché tu udisti allora che vi stanno degli Anakim e che vi sono delle città grandi e fortificate. Forse l’Eterno sarà meco, e io li caccerò come disse l’Eterno”. Giosuè 14:10-12. Caleb rappresentava la tribù di Giuda per la divisione del paese e, per non dare l’impressione di essersi servito della sua posizione autorevole per trarne vantaggi personali, aveva deciso di presentare la sua richiesta accompagnato dagli anziani.PP 429.4

    La richiesta fu immediatamente accolta; la conquista di quella roccaforte di giganti non si poteva affidare a mani più sicure. Giosuè la benedisse e dette Hebron come eredità a Caleb, figliuolo di Gefunne... perché aveva pienamente seguito l’Eterno l’Iddio d’Israele!” Giosuè 14:13, 14. La fede di Caleb era ancora quella che gli aveva permesso di contraddire con la sua testimonianza gli ingiusti rapporti delle spie. Egli credeva che Dio, come aveva promesso, avrebbe guidato il suo popolo a entrare in possesso di Canaan, e con il suo comportamento dimostrò di seguire il Signore completamente. Aveva inoltre sopportato insieme al popolo il lungo pellegrinaggio nel deserto, condividendo le delusioni e le difficoltà provocate dai colpevoli senza lamentarsi, e ricordando come Dio con misericordia lo aveva risparmiato a differenza dei suoi fratelli. Il Signore lo aveva protetto dai pericoli, dagli stenti del duro pellegrinaggio nel deserto e della guerra sino all’ingresso nella terra di Canaan; e ora, che a oltre ottant’anni aveva ancora una forza incontrastata, Caleb non chiedeva per sé un territorio già conquistato, ma il luogo che le spie avevano considerato inespugnabile. Con l’aiuto di Dio egli avrebbe conquistata la roccaforte dei giganti che aveva fatto vacillare la fede d’Israele. Alla base della richiesta di Caleb non c’era nessun desiderio di onori o grandezza. Questo vecchio guerriero coraggioso desiderava solo dimostrare al popolo cosa significasse onorare Dio, per incoraggiare le tribù a sottomettere quel paese che i loro padri avevano considerato inespugnabile.PP 430.1

    Caleb ottenne l’eredità che aveva desiderato per quarant’anni, e avendo fiducia che Dio sarebbe rimasto al suo fianco “...ne cacciò i tre figliuoli di Anak”. Giosuè 15:14. Dopo essersi assicurato un territorio per sé e per la sua famiglia, il suo zelo non si affievolì; non si adagiò per godere la sua eredità, ma si impegnò in ulteriori conquiste per il bene della nazione e la gloria di Dio.PP 430.2

    Mentre i codardi e i ribelli erano morti nel deserto, le spie fedeli mangiarono l’uva di Escol; e ciascuno fu ricompensato sulla base della propria fede. Gli increduli avevano constatato che i loro timori erano fondati; avevano sfidato la promessa divina, dichiarando che era impossibile ereditare la terra di Canaan, e proprio loro, a differenza degli israeliti che avevano confidato in Dio pensando non tanto alle difficoltà, ma contando sul loro liberatore onnipotente, non entrarono nella terra promessa. Fu per fede che “vinsero regni... scamparono al taglio della spada, guarirono da infermità, divennero forti in guerra, misero in fuga eserciti stranieri”. Ebrei 11:33, 34. “Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede”. 1 Giovanni 5:4.PP 430.3

    Un’altra richiesta venne presentata dai discendenti di Giuseppe, della tribù di Efraim, e della mezza tribù di Manasse. Essa riguardava sempre la divisione del paese, ma era animata da uno spirito ben diverso da quello di Caleb. Sottolineando di essere le tribù più numerose, Efraim e Manasse chiedevano una porzione doppia di territorio. In realtà, la regione designata loro comprendeva la fertile valle di Saron ed era la più ricca del paese; ma molte delle città principali di questa valle erano ancora sotto il dominio dei cananei, e le due tribù di fronte alla fatica e ai pericoli della conquista di quei territori, indietreggiarono. Per questo desideravano una porzione maggiore di territorio conquistato. La tribù di Efraim, insieme a quella a cui apparteneva Giosuè, era una delle maggiori d’Israele, e coloro che ne facevano parte pensavano che la cosa desse loro diritto a favori particolari, tanto che dissero: “...Perché ci hai dato come eredità un sol lotto, una parte sola, mentre siamo un gran popolo che Eterno ha cotanto benedetto?” Giosuè 17:14.PP 431.1

    Ma Giosuè si attenne rigidamente al giusto criterio stabilito, e senza fare eccezioni rispose: “Se siete un popolo numeroso, salite alla foresta, e dissodatevela per farvi del posto nel paese dei Ferezei e dei Refaim, giacché la contrada montuosa d’Efraim è troppo stretta per voi”. Giosuè 17:15.PP 431.2

    La risposta che essi dettero dimostrava quale fosse la causa della lamentela: mancava loro la fede e il coraggio per cacciare i cananei: “Quella contrada montuosa non ci basta... tutti i Cananei che l’abitano hanno dei carri di ferro”. Giosuè 17:16.PP 431.3

    Il Dio d’Israele aveva assicurato la sua potenza agli ebrei, e se gli efraimiti avessero avuto il coraggio e la fede di Caleb, nessun nemico li avrebbe fermati. Giosuè aveva capito che essi volevano evitare gli stenti e i pericoli e disse: “Voi siete un popolo numeroso e avete una gran forza... voi caccerete i Cananei, benché abbiano dei carri di ferro e benché siano potenti”. Giosuè 17:17. In questo modo le loro argomentazioni si ritorsero contro di loro. Essendo, come sostenevano, un popolo molto numeroso, avrebbero potuto aprirsi un varco; e con l’aiuto di Dio non avrebbero avuto motivo di temere i carri nemici.PP 431.4

    Fino ad allora il quartier generale della nazione e la sede del tabernacolo erano a Ghilgal. Ma ora per il santuario occorreva trovare una sistemazione definitiva. Così fu scelta Sciloh, una piccola città nel territorio di Efraim, quasi al centro del paese e facilmente raggiungibile da tutte le tribù, in una terra definitivamente sottomessa in modo che il culto non potesse essere disturbato. “Poi tutta la raunanza dei figliuoli d’Israele s’adunò a Sciloh, e quivi rizzarono la tenda di convegno”. Giosuè 18:1. Le tribù, che erano ancora sotto le tende quando il tabernacolo fu spostato da Ghilgal, lo seguirono e lo eressero presso Sciloh, dove rimasero finché si divisero nei loro possedimenti.PP 431.5

    L’arca rimase a Sciloh per trecento anni, fino a quando, a causa del peccato della casa di Eli, cadde nelle mani dei filistei, e Sciloh venne distrutta. L’arca non fu più portata nel tabernacolo di Sciloh quando, trasferito il rituale sacro nel tempio di Gerusalemme, perse significato. Dio tramite il profeta Geremia, per ammonire gli abitanti di Gerusalemme ricordò con queste parole il destino di quella città: “Andate dunque al mio luogo ch’era a Silo, dove avevo da prima stanziato il mio nome, e guardate come l’ho trattato, a motivo della malvagità del mio popo lo d’Israele... Io tratterò questa casa, sulla quale è invocato il mio nome e nella quale riponete la vostra fiducia, e il luogo che ho dato a voi e ai vostri padri, come ho trattato Silo”. Geremia 7:12-14.PP 432.1

    “Or quando i figliuoli d’Israele ebbero finito di distribuire l’eredità d’Israele” (Giosuè 19:49), e tutte le tribù ricevettero il proprio territorio Giosuè, al quale era stato promesso, come a Caleb, un territorio particolare, chiese solo una città. “Gli diedero la città ch’egli chiese... Egli costruì la città e vi stabilì la sua dimora”. Giosuè 19:50. Il nome dato alla città “Timnath-Serah”, cioè “la porzione restante”, testimoniava del nobile carattere e dello spirito disinteressato del condottiero che, invece di appropriasi per primo delle conquiste, attese che i più umili ricevessero i beni che spettavano loro.PP 432.2

    Sei delle città assegnate ai leviti, tre da una parte e tre dall’altra del Giordano, furono scelte secondo l’ordine di Mosè, come città di rifugio; in esse gli assassini potevano essere al sicuro. “Designerete delle città che siano per voi delle città di rifugio” aveva detto Mosè “dove possa ricoverarsi l’omicida che ha ucciso qualcuno involontariamente. Queste città vi serviranno di rifugio contro il vindice del sangue, affinché l’omicida non sia messo a morte prima d’esser comparso in giudizio dinanzi alla raunanza”. Numeri 35:11, 12. Questo provvedimento era necessario a causa dall’antica abitudine della vendetta privata, secondo cui il parente o l’erede più prossimo del defunto doveva punire l’omicida. Nel caso in cui il movente del delitto fosse evidente, non era necessario attendere il giudizio del magistrato: la vendetta poteva raggiungere il criminale ovunque si trovasse, colpendolo a morte. Il Signore, pur non abolendo l’usanza dell’epoca prese un provvedimento per proteggere coloro che avrebbero commesso un omicidio involontario.PP 432.3

    Le città di rifugio erano distribuite in modo tale da non distare più di mezza giornata di cammino da qualsiasi punto del paese. Per favorire i fuggitivi, le strade che portavano a queste città dovevano avere dei segnali con scritto a chiare lettere la parola “rifugio”, e dovevano essere mantenute in buono stato. Qualsiasi persona ebrea, straniera o di passaggio, poteva avvalersi di questo provvedimento. Ma mentre colui che aveva commesso un delitto involontario non doveva essere ucciso, il colpevole non poteva evitare la pena, e in caso di fuga doveva essere ricercato dalle autorità competenti; solo quando veniva provato che il delitto commesso non era intenzionale, sarebbe stato protetto nella città di rifugio invece di essere consegnato nelle mani del vendicatore. Per essere protetti in queste città, oltre ad averne diritto, occorreva non uscire dal rifugio indicato. Chi, allontanandosi dai limiti prescritti sarebbe stato trovato dal vendicatore del delitto da lui commesso, avrebbe pagato con la vita la disubbidienza al provvedimento del Signore. Poi, quando moriva il sommo sacerdote, coloro che avevano cercato protezione nelle città di rifugio, erano liberi di tornare alla loro terra.PP 433.1

    In un processo per omicidio anche se vi erano prove evidenti a suo sfavore, l’imputato non poteva essere condannato dalla deposizione di un solo testimone. Il Signore aveva dato questo ordine: “Se uno uccide l’altro, l’omicida sarà messo a morte in seguito a deposizione di testimoni; ma un unico testimone non basterà per far condannare una persona a morte”. Numeri 35:30. Era stato il Cristo a dare a Mosè queste direttive per Israele, quello stesso Gesù che quando era sulla terra con i suoi discepoli, parlando di come si dovesse agire nei confronti degli accusati, ripeté che la testimonianza di un uomo non era sufficiente per assolvere o condannare. Queste situazioni devono essere sempre affrontate da due o più persone che insieme siano responsabili della decisione “affinché ogni parola sia confermata per bocca di due o tre testimoni”. Matteo 18:16.PP 433.2

    Se in un processo l’omicida veniva riconosciuto colpevole nessuna espiazione e nessun riscatto potevano evitargli la condanna. “Il sangue di chiunque spargerà il sangue dell’uomo sarà sparso dall’uomo”. Genesi 9:6. “Non accetterete prezzo di riscatto per la vita d’un omicida colpevole e degno di morte, perché dovrà esser punito di morte... Tu lo strapperai anche dal mio altare per farlo morire...” (Numeri 35:31, 33); “Non si potrà fare per il paese nessuna espiazione del sangue che vi sarà stato sparso, se non mediante il sangue di colui che l’avrà versato”. Esodo 21:14.PP 433.3

    Per conservare integra e pura la nazione, era necessario punire severamente gli assassini. La vita umana, che solo Dio può dare, doveva essere custodita come qualcosa di sacro.PP 434.1

    Le città di rifugio, istituite per l’antico popolo di Dio, simboleggiano il rifugio che il Cristo offre. Lo stesso Salvatore misericordioso che ordinò la costituzione di queste città di rifugio, spargendo il suo sangue donò ai trasgressori della legge di Dio un posto sicuro in cui fuggire per essere protetti dalla morte seconda. Nessuna potenza può strappare da quelle mani divine coloro che vanno a lui per chiedere perdono. “Non v’è dunque ora alcuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù... Chi sarà quel che ci condanni? Gesù Cristo è quel che è morto; e, più che questo, è risuscitato; ed è alla destra di Dio; ed anche intercede per noi” (cfr. Romani 8:1, 34); in modo che “troviamo una potente consolazione noi, che abbiam cercato il nostro rifugio nell’afferrar saldamente la speranza che ci era posta dinanzi”. Ebrei 6:18.PP 434.2

    Colui che fuggiva verso le città di rifugio non poteva attardarsi per salutare i propri cari. Doveva abbandonare subito la famiglia e il lavoro, sacrificare ogni altro interesse per un unico scopo: raggiungere il luogo in cui poteva salvare la propria vita.PP 434.3

    Il fuggitivo, dimenticando la stanchezza e le difficoltà, finché non entrava nelle mura della città non osava rallentare il passo neanche per un momento. Così come egli poteva perdere la sua unica possibilità di salvezza indugiando e non preoccupandosi troppo di scappare, il peccatore che non si affretta a cercare in Cristo un rifugio e si dimostra indifferente, rischia di essere definitivamente annientato. Chi trasgredisce la legge di Dio si espone agli attacchi di Satana, il grande avversario, non avverte questo pericolo, non cerca seriamente protezione nel rifugio divino e quindi sarà vittima del distruttore.PP 434.4

    Chi al tempo d’Israele si avventurava in qualsiasi momento al di fuori della città di rifugio, non era più protetto da coloro che volevano vendicare il sangue sparso. La gente imparava così a seguire le direttive che Dio aveva indicato con grande saggezza per la loro sicurezza. Comunque per ottenere il perdono del peccato, non è sufficiente che il trasgressore creda in Cristo, egli deve ubbidire per fede e “vivere” in lui. “Poiché, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità non resta più alcun sacrificio per i peccati; rimangono una terribile attesa del giudizio e l’ardor d’un fuoco che divorerà gli avversari”. Ebrei 10:26, 27.PP 434.5

    Due tribù d’Israele, Gad e Ruben, insieme a mezza tribù di Manasse, ricevettero la terra prima di attraversare il Giordano. Gli ampi altipiani e le foreste di Galaad e di Basan, offrivano estesi pascoli per i greggi e le mandrie di quella gente dedita alla pastorizia. Questi israeliti, in mancanza di territori simili in altre zone, desideravano occupare queste terre impegnandosi a fornire un numero di soldati proporzionale alla loro popolazione per aiutare loro fratelli oltre il Giordano e combattere al loro fianco finché tutti sarebbero entrati in possesso della loro terra. Le due tribù e mezzo assolsero ai loro obblighi; infatti quando le altre dieci entrarono in Canaan quarantamila tra i “figliuoli di Ruben, i figliuoli di Gad e mezza tribù di Manasse... pronti di tutto punto per la guerra, passarono davanti all’Eterno nelle pianure di Gerico, per andare a combattere”. Giosuè 4:12, 13. Questi soldati non tornarono nelle loro terre prima di aver combattuto con coraggio per anni accanto ai loro fratelli. Avevano lottato uniti agli altri israeliti e ora, dopo avere spartito il bottino, ritornavano “...con grandi ricchezze, moltissimo bestiame, con argento, oro rame, ferro e una grandissima quantità di vestimenti...” (Giosuè 22:8), tutte cose che dovevano spartire con coloro che erano rimasti con le famiglie e i greggi! Giosuè, sapendo quanto sarebbe stata forte, per queste tribù che abitavano lontano dal santuario e dedite a una vita nomade, la tentazione di adeguarsi ai costumi dei popoli pagani che vivevano ai loro confini, li salutò con preoccupazione.PP 434.6

    Erano ancora angustiati da tristi presentimenti, quando Giosuè e gli altri capi vennero a conoscenza di strane notizie. Presso il Giordano, non lontano dal luogo in cui Israele aveva miracolosamente attraversato il fiume, le due tribù insieme a metà di quella di Manasse, avevano eretto un grande altare, simile a quello degli olocausti consacrato a Sciloh. Una legge divina proibiva severamente, pena la morte, di creare un culto oltre a quello del santuario, e se questo era lo scopo di quell’altare, per evitare che il popolo si allontanasse dalla vera fede, doveva essere eliminato.PP 435.1

    I rappresentanti del popolo si riunirono a Sciloh, dove manifestarono tutta la loro indignazione, e il fermento che li animava, proponendo di schierarsi contro i colpevoli, e per l’intervento dei più cauti fu deciso di inviare prima una delegazione, per ottenere dalle tribù stanziate oltre il Giordano una spiegazione della loro condotta. A capo di dieci prìncipi, scelti uno per tribù, venne inviato Fineas, che si era distinto per lo zelo mostrato a Peor.PP 435.2

    Le due tribù e mezzo avevano commesso l’errore di compiere un atto che destava preoccupazioni veramente gravi senza dare nessuna spiegazione e gli ambasciatori, convinti che i loro fratelli fossero colpevoli, li rimproverarono duramente, accusandoli di ribellione contro il Signore e invitandoli a ricordare come Israele era stato castigato per essersi unito a Baal-Peor. Facendosi portavoce di tutto Israele, Fineas dichiarò che se i figli di Gad e Ruben non avessero voluto vivere nel loro paese senza un altare dei sacrifici, sarebbero stati ben accetti dai loro fratelli dall’altra parte del fiume, con i quali avrebbero condiviso beni e privilegi.PP 435.3

    Gli accusati risposero che l’altare non era stato edificato per i sacrifici ma semplicemente per testimoniare che pur essendo separati dal fiume, essi condividevano la stessa fede dei loro fratelli che abitavano in Canaan. Temendo che in futuro i loro figli, con la scusa che non facevano più parte d’Israele, avrebbero potuto essere esclusi dai servizi del tabernacolo, costruendo un altare simile a quello del Signore a Sciloh, essi avrebbero dimostrato di adorare il Dio vivente.PP 436.1

    Gli ambasciatori accettarono con gioia questa spiegazione e la riferirono a chi li aveva inviati. Abbandonata ogni idea ostile, il popolo si unì allora con gioia lodando il Signore.PP 436.2

    I figli di Gad e di Ruben dopo aver posto sul loro altare una scritta che indicava lo scopo per il quale esso era stato eretto dissero: “Esso è testimone fra noi che l’Eterno è Dio”. Cercavano così di evitare futuri equivoci e allontanare ogni possibile tentazione.PP 436.3

    Molto spesso un semplice malinteso provoca gravi problemi perfino fra coloro che sono animati dalle migliori intenzioni. Poi, se si dimentica di essere cortesi e benevoli, ne possono derivare conseguenze gravi e perfino fatali. Le dieci tribù ricordarono come, al tempo di Acan, Dio avesse rimproverato la loro trascuratezza nell’individuare i peccati che si nascondevano fra loro. Per questo ora gli israeliti si erano decisi ad agire subito e con impegno ma, cercando di evitare il primo errore, erano caduti in quello opposto. Invece di condurre un’indagine serena per accertare i fatti, affrontarono i loro fratelli con sentimenti di censura e condanna, tanto che se gli uomini di Gad e Ruben avessero risposto con lo stesso spirito, sarebbe scoppiata una guerra. Evitare di inveire con giudizi di condanna e sospetti senza fondamento, è importante come evitare di mostrarsi indolenti nell’indicare il peccato.PP 436.4

    Molti di coloro che sono sensibilissimi anche ai più piccoli rimproveri che vengono loro rivolti, sono troppo severi con quanti sbagliano. Il rimprovero o la censura non hanno mai permesso a nessuno di tornare sulla giusta via; anzi molti, proprio per questo non si sono comportati in modo corretto e sono diventati insensibili. Un atteggiamento gentile e tollerante può salvare colui che sbaglia ed evitare un grande numero di peccati. La saggezza che dimostrarono gli israeliti della tribù di Ruben e i loro compagni è degna di essere imitata; con onestà, cercando di promuovere la causa della vera religione, essi furono giudicati negativamente e censurati con severità. Ma, prima di cercare di difendersi, di spiegare chiaramente le loro ragioni e dimostrare la loro innocenza, ascoltarono con pazienza e gentilezza le accuse degli altri israeliti. In questo modo il problema che avrebbe potuto suscitare gravi conseguenze, fu risolto amichevolmente.PP 436.5

    Coloro che sono dalla parte della ragione possono sforzarsi di rimanere calmi e rispettosi dei sentimenti altrui, anche quando sono accusati ingiustamente. Dio conosce tutto ciò che gli uomini fraintendono e interpretano male: noi possiamo tranquillamente affidargli i nostri problemi. Egli sicuramente difenderà coloro che confidano in lui, come scoprì la colpa di Acan. Coloro che sono animati dallo spirito del Cristo avranno la pazienza, l’amore e la bontà necessari.PP 437.1

    Dio vuole che fra il suo popolo si manifesti l’unione e l’amore fraterno. Il Cristo, poco prima della crocifissione, pregò chiedendo che i suoi discepoli fossero uniti come Egli lo è con il Padre, in modo che il mondo potesse credere che era stato Dio a inviarlo. Questo sublime insegnamento e questa magnifica preghiera, sono valide attraverso i secoli, anche per noi. Gesù infatti aggiunge: “Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola”. Giovanni 17:20.PP 437.2

    Senza sacrificare neanche un aspetto della verità, dovremmo sforzarci costantemente di raggiungere questa unità. Gesù indicò con le seguenti parole le caratteristiche dei suoi discepoli: “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli se avete amore gli uni per gli altri”. Giovanni 13:35. L’apostolo Pietro esorta la chiesa, dicendo: “Siate tutti concordi, compassionevoli, pieni d’amor fraterno, pietosi, umili; non rendendo male per male, od oltraggio per oltraggio, ma, al contrario, benedicendo; poiché a questo siete stati chiamati onde ereditiate la benedizione”. 1 Pietro 3:8, 9.PP 437.3

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