Loading...
Larger font
Smaller font
Copy
Print
Contents

Patriarchi e profeti

 - Contents
  • Results
  • Related
  • Featured
No results found for: "".
  • Weighted Relevancy
  • Content Sequence
  • Relevancy
  • Earliest First
  • Latest First
    Larger font
    Smaller font
    Copy
    Print
    Contents

    Capitolo 18: La lotta notturna

    Nonostante Giacobbe avesse lasciato Paddan-Aram per ubbidire alle direttive divine, il viaggio di ritorno, lungo la strada percorsa vent’anni prima mentre fuggiva, non fu privo di difficoltà. La sua colpa era viva nella sua mente: aveva ingannato suo padre.PP 161.1

    Sapeva che il lungo esilio era una conseguenza diretta di quell’errore; vi ripensava giorno e notte e i rimorsi di coscienza lo tormentarono per tutto il viaggio. Quando, in lontananza, apparvero le colline della sua terra, il patriarca si commosse profondamente: ricordò tutto il passato, e insieme al rimpianto del peccato, rifletté sulla benevolenza manifestata da Dio nei suoi confronti con le sue promesse di aiuto e di guida. Mentre il patriarca si avvicinava alla sua destinazione, il ricordo di Esaù suscitava in lui tristi presagi. Sicuramente, dopo la fuga di Giacobbe, Esaù si riteneva l’unico erede dei beni paterni. La notizia del ritorno del fratello poteva indurlo a temere che egli volesse rivendicare la propria parte di eredità. Se ne avesse avuta l’intenzione, ora Esaù era in grado di far del male a suo fratello e manifestava tutta la sua violenza nei suoi confronti, non solo per un desiderio di vendetta ma anche per assicurarsi il possesso definitivo dei beni che per tanto tempo aveva considerato propri.PP 161.2

    Il Signore, ancora una volta, diede a Giacobbe un segno della sua protezione. Mentre si allontanava dalle montagne di Galaad, dirigendosi verso sud, due schiere di angeli si misero a precedere e a seguire il gruppo, per proteggerlo. Allora Giacobbe ricordò la visione ricevuta tanto tempo prima a Bethel e, rivedendo i messaggeri divini che lo avevano incoraggiato durante la fuga da Canaan, si sentì rassicurato. Per questo egli disse: “...Questo è il campo di Dio; e pose nome a quel luogo Mahanaim”, cioè due campi o due eserciti. Genesi 32:2.PP 161.3

    Giacobbe, tuttavia, pensò di dover fare qualcosa anche lui per assicurarsi la propria salvezza. Decise infatti di inviare dei messaggeri per porgere a Esaù un saluto di riconciliazione. Egli indicò loro perfino le parole precise che dovevano rivolgergli. Giacobbe ed Esaù erano gemelli. Prima della loro nascita era stato predetto che il fratello maggiore, nato per primo, avrebbe servito il minore. Per paura che questo ricordo suscitasse in lui amarezza e per rassicurarlo delle sue intenzioni, Giacobbe raccomandò ai suoi servi di chiamare il fratello “Esaù, mio signore” e si fece presentare come “il tuo servo Giacobbe”. Genesi 32:4. Inoltre, per rassicurare Esaù sulle sue intenzioni a proposito dell’eredità paterna, aggiunse: “...Ho buoi, asini, pecore, servi e serve; e lo mando a dire al mio signore, per trovar grazia agli occhi tuoi”. Genesi 32:5.PP 161.4

    Ma i servi tornarono con la notizia che Esaù gli veniva incontro con quattrocento uomini e non aveva risposto al suo messaggio amichevole. Tutto l’accampamento fu colto dal panico. “...Giacobbe fu preso da gran paura ed angosciato...”. Genesi 32:7. Non poteva tornare indietro e, nello stesso tempo, andare avanti era pericoloso. La sua gente era senza armi, indifesa e del tutto impreparata ad affrontare uno scontro. Decise allora di dividerla in due gruppi facendo in modo che se uno fosse stato attaccato, l’altro avrebbe avuto il tempo di fuggire. Prelevò dai suoi greggi dei ricchi doni per Esaù e glieli inviò presentandoli ancora una volta con un messaggio conciliante. Fece dunque tutto ciò che era nelle sue possibilità per espiare l’errore commesso nei confronti di suo padre e per scongiurare il pericolo che lo minacciava. Infine, pentito, implorò umilmente la protezione divina: “...O Eterno, che mi dicesti: Torna al tuo paese e al tuo parentado e ti farò del bene, io son troppo piccolo per esser degno di tutte le benignità che hai usate e di tutta la fedeltà che hai dimostrata al tuo servo; poiché io passai questo Giordano col mio bastone, e ora son divenuto due schiere. Liberami, ti prego, dalle mani di mio fratello, dalle mani di Esaù; perché io ho paura di lui e temo che venga e mi dia addosso, non risparmiando né madre né bambini”. Genesi 32:9-11.PP 162.1

    La sera, il gruppo raggiunse il torrente Iabbok e Giacobbe mandò la sua famiglia sull’altra sponda del fiume. Aveva deciso di passare la notte in preghiera e desiderava essere solo con Dio. Soltanto Dio poteva toccare il cuore di Esaù: questa era l’unica speranza del patriarca.PP 162.2

    Il luogo era solitario e montuoso, frequentato soltanto da animali selvaggi, da ladri e assassini, che vi si rifugiavano. Solo, senza alcuna protezione, Giacobbe si gettò a terra profondamente angosciato. Era mezzanotte. Tutto ciò che aveva reso la sua vita felice era esposto al pericolo e alla morte e soprattutto lo amareggiava il pensiero che quegli esseri innocenti dovessero affrontare un tale pericolo a causa di un suo errore. Presentò la sua preghiera a Dio con lacrime agli occhi e grida soffocate. All’improvviso una mano robusta lo afferrò: Giacobbe pensò subito che un nemico volesse ucciderlo e cercò di liberarsi dalla presa dell’assalitore. I due uomini lottarono nel buio e in silenzio. Giacobbe s’impegnò con tutte le sue forze, senza fermarsi neanche un momento. Mentre lottava per sopravvivere, un profondo senso di colpa oppresse il suo animo: gli tornarono in mente gli errori commessi. Essi lo separavano da Dio come una barriera. In quella terribile situazione si ricordò delle promesse divine e con tutto il cuore invocò il perdono. Lo scontro continuò quasi fino all’alba, quando lo straniero toccò l’anca di Giacobbe, provocandone la slogatura. Allora il patriarca riconobbe il suo antagonista: aveva lottato con un messaggero divino. Comprese perché, nonostante lo sforzo quasi sovrumano, non fosse riuscito a vincere. Colui che si era rivelato a Giacobbe era il Cristo, l’Angelo del patto. Il patriarca, pur sentendosi debole e provando un dolore acuto, non voleva lasciarlo andare. Pentito e prostrato, gli si aggrappò, “...pianse e lo supplicò...” (Osea 12:5), invocando la sua benedizione. Nonostante l’intensa sofferenza fisica, voleva avere la certezza che il suo errore fosse stato perdonato. La sua volontà si rafforzò, la sua fede divenne più profonda e salda: così, egli resistette fino alla fine. L’Angelo cercò di liberarsi, ordinando: “...Lasciami andare, ché spunta l’alba”. Ma Giacobbe rispose: “...Non ti lascerò andare prima che tu m’abbia benedetto!” Genesi 32:26. Se questa dichiarazione fosse stata suggerita dall’arroganza, Giacobbe avrebbe perso subito la vita. In realtà la sua richiesta era una prova della consapevolezza della sua indegnità, della sua fiducia nell’autenticità del patto stabilito da Dio.PP 162.3

    Giacobbe “...lottò con l’angelo, e restò vincitore...”. Osea 12:5. Grazie all’umiliazione, al pentimento e all’abbandono del proprio orgoglio, questo essere mortale, anche se colpevole e disorientato, prevalse sulla Maestà del cielo. Egli aveva afferrato, tremante, le promesse di quel Dio che non poteva negare il suo amore infinito a un peccatore pentito.PP 163.1

    Giacobbe era perfettamente consapevole dell’errore commesso: aveva cercato di ottenere con l’inganno il diritto di primogenitura; non aveva avuto fiducia nelle promesse divine e aveva affrettato la realizzazione di ciò che Dio stesso avrebbe compiuto, secondo il suo piano, al momento opportuno. Come dimostrazione del fatto che era stato veramente perdonato, il suo nome venne cambiato, affinché non portasse più dentro di sé il ricordo della colpa, ma quello della vittoria. E l’angelo gli disse: “Il tuo nome non sarà più Giacobbe [colui che soppianta] ma Israele, poiché tu hai lottato con Dio e con gli uomini, ed hai vinto”. Genesi 32:28.PP 163.2

    Giacobbe aveva ricevuto la benedizione tanto desiderata. L’inganno era stato perdonato, la sua crisi superata; il dubbio, le incertezze e il rimorso che avevano travagliato la sua esistenza erano stati sostituiti dalla pace e dalla dolcezza della riconciliazione con Dio. Non temeva più l’incontro con suo fratello. Lo stesso Dio che aveva perdonato i suoi peccati, avrebbe spinto Esaù ad accettare l’umiliazione e il pentimento del fratello.PP 163.3

    Mentre Giacobbe lottava con l’Angelo, Esaù ricevette la visita di un altro messaggero. Egli vide in sogno suo fratello, che per vent’anni era vissuto lontano dalla casa del padre. Vide la sua angoscia mentre gli comunicava la morte della madre. Lo vide circondato e protetto dagli eserciti di Dio. Raccontò il sogno ai suoi soldati e ordinò di non far del male a Giacobbe, perché il Dio di suo padre era con lui.PP 164.1

    I due fratelli finalmente si incontrarono: da un lato il condottiero del deserto, alla testa dei suoi uomini armati; dall’altro Giacobbe, con le mogli e i bambini, accompagnati dai pastori, dalle serve e seguiti da greggi e mandrie. Il patriarca, appoggiandosi a un bastone, si avviò verso i soldati. Era pallido e debole per la lotta appena sostenuta e camminava lentamente, con fatica, fermandosi a ogni passo, ma il suo volto era sereno e felice. Alla vista di quell’uomo invalido “...Esaù gli corse incontro, l’abbracciò, gli si gettò al collo, e lo baciò: e piansero”. Genesi 33:4. Quando quei rozzi soldati videro la scena si commossero. Nonostante Esaù avesse raccontato il suo sogno, non si erano resi conto del cambiamento che era avvenuto nel loro capo. Guardando il patriarca infermo non capirono che il segreto della sua forza risiedeva proprio nella sua fragilità.PP 164.2

    In quella notte di angoscia nei pressi dello Iabbok, quando sembrava ormai destinato alla morte, Giacobbe capì che era inutile contare sulle forze umane e avere fiducia nelle sue possibilità che non potevano garantirgli la tranquillità. Indifeso, consapevole della propria indegnità, capì che l’aiuto poteva venire solo da colui che egli aveva offeso così gravemente; invocò la promessa del perdono di Dio per il peccatore pentito. Essa rappresentava per lui la certezza che Dio lo avrebbe accettato. Infatti la convinzione che quella promessa sarebbe stata mantenuta, anche se il cielo e la terra fossero cambiati, lo aveva sostenuto in quella lotta terribile.PP 164.3

    L’esperienza di Giacobbe, durante quella notte di angoscia, rappresenta la prova che il popolo di Dio dovrà affrontare prima del ritorno del Cristo. Il profeta Geremia, contemplando una scena di questi eventi della fine, disse: “...Noi udiamo un grido di terrore, di spavento, e non di pace... Perché tutte le facce son diventate pallide? Ahimè, perché quel giorno è grande; non ve ne fu mai altro di simile; è un tempo di distretta per Giacobbe; ma pure ei ne sarà salvato”. Geremia 30:5-7.PP 164.4

    Questo tempo di prova inizierà quando il Cristo avrà completato la sua opera di mediazione in favore dell’uomo. Allora il destino di ogni essere umano sarà deciso e non vi sarà più alcuna possibilità di pentimento e liberazione dalla colpa. Quando Gesù non intercederà più presso Dio in favore dell’uomo, verrà annunciato solennemente: “Chi è ingiusto sia ingiusto ancora; chi è contaminato si contamini ancora; e chi è giusto pratichi ancora la giustizia e chi è santo si santifichi ancora”. Apocalisse 22:11. Allora lo Spirito di Dio si allontanerà dalla terra e, come Giacobbe fu minacciato di morte dal fratello, il popolo di Dio sarà in pericolo perché l’umanità, ostile a causa del male, cercherà di annientarlo. Così come il patriarca combatté tutta la notte per ottenere la liberazione da Esaù, in quel tempo il giusto griderà a Dio giorno e notte per essere liberato dai nemici che lo circonderanno. Satana aveva accusato Giacobbe davanti agli angeli di Dio, rivendicando il diritto di distruggerlo a causa del suo peccato: aveva indotto Esaù a schierarsi contro il fratello e durante la lunga notte di lotta del patriarca, si era sforzato di schiacciarlo con i sensi di colpa, affinché si scoraggiasse e abbandonasse il Signore. Quando Giacobbe, nella sua angoscia, trattenne l’Angelo supplicandolo fra le lacrime, quest’ultimo, per mettere alla prova la sua fede, gli ricordò il suo errore e cercò di fuggire da lui. Giacobbe si oppose: sapeva che Dio è buono e si era affidato alla sua generosità. Considerando la sua vita, si sentiva senza speranza, ma pentito della sua colpa implorò la salvezza. Trattenne l’Angelo con la forza; con grida disperate ma sincere rinnovò la sua richiesta fino a quando non gli fu concessa.PP 164.5

    Questa sarà l’esperienza del popolo di Dio durante la battaglia finale contro le potenze del male. Dio metterà alla prova la fede, la convinzione e la fiducia nel suo potere di liberazione. Satana cercherà invece di intimorire i credenti, inducendoli a pensare che la loro situazione è compromessa, che i loro peccati sono troppo gravi per essere perdonati. Essi si sentiranno indegni e il ricordo del passato distruggerà ogni loro speranza. Tuttavia la consapevolezza della grande bontà di Dio e il loro sincero pentimento, li spingeranno a invocare le promesse fatte ai peccatori tramite il Cristo. Anche se le loro preghiere non fossero immediatamente esaudite, la loro fede non svanirà. Si aggrapperanno infatti alla potenza di Dio, proprio come Giacobbe afferrò l’Angelo, e nell’intimo diranno: “...Non ti lascerò andare prima che tu m’abbia benedetto”. Genesi 32:26.PP 165.1

    Se Giacobbe non si fosse precedentemente pentito per aver strappato, con l’inganno, il diritto alla primogenitura, Dio non avrebbe ascoltato la sua preghiera e non gli avrebbe salvato la vita. Allo stesso modo, nel periodo di prova, alcuni di coloro che appartengono al popolo di Dio non confesseranno gli errori commessi consapevolmente e, quando saranno torturati dal timore e dall’angoscia, ne saranno schiacciati. La disperazione annienterà la loro fede ed essi non potranno più implorare Dio per esserne liberati. Pur essendo consapevoli della loro profonda indegnità, essi non avranno nessun errore nascosto da rivelare, ciò significherà che ne è stato cancellato il ricordo, perché questi peccati sono stati rimossi dal sacrificio espiatorio del Cristo. Satana induce molti a credere che Dio non prenderà in considerazione le loro incoerenze nelle piccole cose della vita. L’esperienza di Giacobbe dimostra invece che il Signore non approva né tollera in nessun caso il peccato. Tutti coloro che cercano di giustificare o nascondere i loro peccati e permettono che essi rimangano scritti nei libri del cielo, saranno vinti da Satana. Più la loro professione di fede è ostentata, più elevata è la loro posizione sociale, più grave è la loro condotta nei confronti di Dio e più facile sarà il trionfo dell’avversario.PP 165.2

    La storia di Giacobbe assicura che Dio non abbandonerà coloro che hanno sbagliato, se esprimeranno un sincero pentimento. Giacobbe ottenne la vittoria quando perse la lotta intrapresa con le proprie forze, si arrese a se stesso e si abbandonò fiducioso a Dio, dal quale imparò che solo la potenza e la grazia divine potevano assicurargli quelle benedizioni che chiedeva con insistenza. La stessa cosa avverrà per coloro che vivono negli ultimi tempi. Quando i pericoli li circonderanno, e cadranno vittime della disperazione, dovranno affidarsi esclusivamente al Cristo. Non potranno realizzare nulla, con i loro semplici sforzi. Inermi e indegni, dobbiamo riporre la nostra fiducia nei meriti del Salvatore crocifisso e risorto. Tutti coloro che agiranno in questo modo otterranno la vita eterna.PP 166.1

    La lunga e dolorosa memoria delle nostre colpe è presente davanti a Dio. Niente viene dimenticato. Colui che nel passato ascoltò le invocazioni dei suoi figli, ascolta anche oggi la preghiera della fede e perdona le nostre trasgressioni. Lo ha promesso e manterrà la sua parola.PP 166.2

    Giacobbe vinse perché fu deciso e fermo. La sua esperienza dimostra l’efficacia di una preghiera costante. Oggi dobbiamo imparare a pregare con perseveranza per ottenere l’esaudimento e sviluppare una fede che non ammette cedimenti. Le più grandi vittorie riportate dalla chiesa del Cristo o dai singoli cristiani non sono ottenute grazie all’abilità o all’educazione, alla ricchezza o all’appoggio umano, ma attraverso una preghiera personale, a tu per tu con Dio, animata da una fede appassionata e tenace, capace di afferrare il “potente braccio di Dio”.PP 166.3

    Coloro che non vogliono abbandonare ogni loro errore e non ricercano seriamente le benedizioni di Dio non le otterranno, mentre tutti coloro che, come Giacobbe, conteranno sulle promesse divine e saranno perseveranti e sinceri, avranno lo stesso successo. “E Dio non farà Egli giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui, e sarà Egli tardo per loro? Io vi dico che farà loro prontamente giustizia...”. Luca 18:7, 8.PP 166.4

    Larger font
    Smaller font
    Copy
    Print
    Contents