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Patriarchi e profeti

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    Capitolo 20: Giuseppe in Egitto

    La carovana che portava Giuseppe prigioniero si dirigeva verso sud, in Egitto, e lungo il percorso passò vicino ai confini di Canaan. Giuseppe intravide in lontananza le colline sulle quali si trovava il suo accampamento. Al pensiero di suo padre così affettuoso, ormai solo e angosciato, il giovane pianse amaramente. Ripensò alla terribile esperienza di Dotan, ai suoi fratelli infuriati e ai loro sguardi crudeli, fissi su di lui. Nelle sue orecchie risuonavano ancora le risposte offensive e pungenti alle sue suppliche angosciate. Il futuro lo spaventava. Come era cambiata la sua situazione: da figlio teneramente amato, a schiavo disprezzato e senza speranza. Solo e senza amici, quale sarebbe stato il suo destino nel paese straniero verso cui stava andando? Per qualche tempo Giuseppe si abbandonò al dolore e alla paura.PP 176.1

    Tuttavia, Dio si prese cura di lui: questa esperienza si sarebbe trasformata infatti in una benedizione. In poche ore Giuseppe aveva già imparato una lezione che non avrebbe compreso altrimenti, neppure in tanti anni di vita. Il padre, spinto da un affetto profondo e tenero, aveva peccato di parzialità e condiscendenza eccessiva nei suoi confronti. La sua incauta predilezione aveva provocato la collera dei fratelli e li aveva portati a compiere un’azione crudele, che lo aveva allontanato dalla sua casa. Le conseguenze della debolezza paterna risultavano evidenti nel carattere di Giuseppe. Le tendenze negative che Giacobbe aveva incoraggiato dovevano essere corrette. Il ragazzo, infatti, sarebbe diventato vanitoso ed esigente. Abituato alle premure del padre, si sentì impreparato ad affrontare le difficoltà della vita solitaria e dura che lo attendeva, come straniero e schiavo.PP 176.2

    Allora Giuseppe si ricordò del Dio di suo padre. Da fanciullo aveva imparato ad amarlo e a rispettarlo. Nella tenda di Giacobbe, aveva spesso udito il racconto della visione che egli aveva avuto durante la sua fuga verso l’esilio. Conosceva le promesse del Signore e sapeva che si erano adempiute: nei momenti difficili gli angeli di Dio erano stati vicini a suo padre per consolarlo, avvisarlo e proteggerlo. Sapeva inoltre che Dio, nel suo amore, avrebbe offerto all’uomo un Redentore. Tutte queste preziose lezioni gli ritornarono in mente proprio in quei momenti. Giuseppe sapeva che il Dio di Giacobbe sarebbe stato anche il suo Dio. Perciò egli si affidò completamente al Protettore d’Israele e lo pregò di rimanere con lui nella sua terra d’esilio.PP 176.3

    Nell’attimo in cui prese l’importante decisione di rimanere fedele a Dio, il suo animo ebbe un fremito. Aveva deciso di ubbidire all’Eterno, in ogni circostanza. Avrebbe servito il Signore con tutto il cuore e avrebbe affrontato ogni prova con coraggio, compiendo il suo dovere con fedeltà. L’esperienza di quel giorno fu decisiva per la vita di Giuseppe. Una terribile disgrazia aveva trasformato un ragazzino viziato in un uomo riflessivo, coraggioso e padrone di sé.PP 177.1

    Quando arrivò in Egitto Giuseppe fu venduto a Potifar, capitano delle guardie del re. Il giovane lo servì per dieci anni. In questa posizione fu esposto a grandi tentazioni e visse circondato dall’idolatria. L’adorazione delle divinità pagane era rivestita dal fasto della ricchezza e veniva giustificata come parte integrante della cultura della nazione più civilizzata del tempo. Giuseppe conservò comunque la sua semplicità e rimase fedele a Dio. Vivendo in un ambiente depravato, egli agiva come se non vedesse e non udisse nulla: non permise mai che la sua mente indugiasse su quei soggetti proibiti. Il desiderio di assicurarsi il favore degli egiziani non lo spinse a compromessi con i suoi princìpi. Se lo avesse fatto, sarebbe stato sopraffatto dalla tentazione. Ma Giuseppe non si vergognava della religione dei suoi padri e non cercò di nascondere la sua identità di credente.PP 177.2

    “E l’Eterno fu con Giuseppe, il quale prosperava... E il suo signore vide a che l’Eterno era con lui, che l’Eterno gli faceva prosperare nelle mani tutto quello che intraprendeva”. Genesi 39:2, 3. La fiducia di Potifar in Giuseppe aumentava di giorno in giorno: infine, lo promosse suo intendente, accordandogli il controllo di tutti i suoi beni. “Potifar lasciò tutto quello che aveva nelle mani di Giuseppe; e non s’occupava più di cosa alcuna, tranne del suo proprio cibo...”. Genesi 39:6.PP 177.3

    Giuseppe aveva successo in tutti gli affari che gli venivano affidati. Tutto ciò non era il risultato di un miracolo perché le benedizioni divine si limitavano a coronare il suo impegno, la sua precisione e l’energia con cui lavorava. Egli attribuiva totalmente il suo successo al favore divino e perfino il suo padrone, benché dedito al culto delle divinità pagane, ammetteva che questo era il segreto della sua straordinaria prosperità. Tuttavia, senza un impegno costante ed efficace Giuseppe non avrebbe mai raggiunto quei risultati.PP 177.4

    La sua fedeltà onorava Dio: egli desiderava far risaltare il netto contrasto esistente fra l’onestà e l’integrità di quel ragazzo e la condotta di quanti adoravano le divinità pagane. In questo modo, la luce della grazia divina poteva illuminare le tenebre spirituali del paganesimo. La gentilezza e la lealtà di Giuseppe colpirono il capitano delle guardie, che giunse a considerare quello schiavo come un figlio. Il giovane entrò in contatto con uomini nobili e colti e così si familiarizzò con la scienza, le lingue e gli affari; questa educazione si rivelò importante per il suo futuro incarico di primo ministro dell’Egitto.PP 177.5

    La fede e l’onestà di Giuseppe dovevano essere tuttavia sottoposte a una dura prova. La moglie del suo padrone cercò di indurre il giovane a trasgredire la legge di Dio. Fino ad allora egli non si era lasciato coinvolgere dalla corruzione che dilagava in quella terra pagana: sarebbe riuscito a superare una tentazione così improvvisa, forte e seducente? Se si fosse opposto alle proposte di quella donna, sapeva bene quali sarebbero state le conseguenze. Cedendo, avrebbe scelto di vivere nell’ambiguità, ma in cambio avrebbe ricevuto favori e ricompense. Rifiutare significava invece affrontare il disonore, la prigione e forse la morte. Il suo futuro dipendeva da quella decisione: Giuseppe sarebbe stato fedele a Dio e ai suoi princìpi? Gli angeli seguirono la vicenda con profondo interesse.PP 178.1

    La risposta di Giuseppe avrebbe rivelato la potenza di un carattere fondato su veri princìpi religiosi. Egli non avrebbe tradito la fiducia del suo padrone terreno, ma soprattutto, a qualsiasi costo sarebbe rimasto fedele al suo Padrone divino. Molti, benché sappiano di non poter sfuggire all’attento sguardo di Dio e dei suoi angeli, si concedono delle libertà che non si permetterebbero mai in presenza dei loro simili. Giuseppe, invece, pensò in primo luogo a Dio. “...Come dunque potrei io fare questo gran male e peccare contro Dio?” Genesi 39:9.PP 178.2

    Dovremmo abituarci a pensare che Dio vede e ascolta tutto ciò che facciamo e diciamo. Egli ricorda con esattezza le nostre azioni e le nostre parole: di esse dovremo rendere conto personalmente. Se fossimo davvero consapevoli di questo avremmo maggiori scrupoli nel peccare. I giovani ricordino sempre che ovunque siano e qualunque cosa facciano, sono sempre in presenza di Dio. A lui non sfugge nessun particolare del nostro comportamento. Nulla può essere nascosto all’Altissimo. Le leggi umane, anche se a volte possono essere severe, spesso vengono trasgredite impunemente. Ciò non avviene per la legge di Dio: il trasgressore infatti non sarà protetto neppure dalle tenebre più oscure. Potrà immaginare di essere solo, ma testimoni invisibili vedranno le sue azioni. Dio conosce le profonde e intime motivazioni di ognuno. Ogni gesto, ogni parola, ogni pensiero sono registrati come se esistesse soltanto una persona in tutto il mondo: Dio osserva ogni uomo con grande attenzione.PP 178.3

    Giuseppe soffrì per preservare la sua onestà; la donna che lo aveva tentato si vendicò accusandolo di un delitto vergognoso e facendolo gettare in prigione. Se Potifar avesse creduto alle accuse della moglie il giovane ebreo avrebbe perso la vita, ma la semplicità e l’onestà che lo avevano sempre distinto erano la prova della sua innocenza. Tuttavia, per salvare la reputazione del suo padrone, egli venne abbandonato al disonore e alla schiavitù.PP 179.1

    Inizialmente Giuseppe fu trattato con molta durezza dai carcerieri. Il salmista afferma in proposito: “I suoi piedi furon serrati nei ceppi, ei fu messo in catene di ferro fino al tempo che avvenne quello che avea detto, e la parola dell’Eterno, nella prova, gli rese giustizia”. Salmi 105:18, 19. Ma il vero carattere di Giuseppe risultò evidente perfino in quell’oscura prigione. Il suo lungo e fedele servizio presso Potifar era stato crudelmente ricompensato, ma egli non si scoraggiò né provò rancore e conservò un atteggiamento fiducioso e paziente. Lo sosteneva quella serenità che viene dalla consapevolezza della propria innocenza. Giuseppe si era affidato alla potenza di Dio. Non si commiserava per le sue disgrazie, ma dimenticava la tristezza offrendosi di alleviare le sofferenze altrui. Perfino in prigione egli svolgeva un ruolo positivo. Dio lo stava preparando attraverso la sofferenza, in vista di una grande missione. Giuseppe non rifiutò quella lezione indispensabile. In carcere si rese conto delle tristi conseguenze dell’oppressione, della tirannia e dei delitti. Tutto ciò gli insegnò la necessità di praticare la giustizia, la comprensione e la misericordia e lo preparò a esercitare il potere con saggezza e generosità.PP 179.2

    Gradualmente, egli guadagnò la fiducia del sorvegliante della prigione e gli fu affidata la responsabilità di tutti i prigionieri. La sua onestà, la sua simpatia per coloro che erano preoccupati e addolorati prepararono la via per gli onori e la prosperità che il futuro gli avrebbe riservato. Ogni manifestazione di bontà nei confronti degli altri ha ripercussioni positive su di noi. Qualsiasi parola di simpatia in favore degli afflitti, ogni atto teso a risollevare gli oppressi, ogni dono offerto ai bisognosi, se ispirato da motivazioni sincere, si trasformerà in una benedizione per chi l’ha compiuto.PP 179.3

    Il capo dei panettieri e il coppiere del re, che erano stati gettati in prigione per qualche reato, vennero affidati a Giuseppe. Una mattina, vedendoli molto tristi, il giovane ebreo chiese con gentilezza il motivo della loro preoccupazione. Seppe che entrambi avevano avuto uno strano sogno, di cui desideravano conoscere il significato. Giuseppe disse loro: “...Le interpretazioni non appartengono a Dio? Raccontatemi i sogni, vi prego”. Genesi 40:8. Quando entrambi ebbero raccontato il proprio sogno, Giuseppe ne diede l’interpretazione: entro tre giorni il coppiere sarebbe stato riabilitato e avrebbe offerto la coppa al faraone, come in passato; il capo dei panettieri, invece, sarebbe stato ucciso per ordine del re. Le predizioni si avverarono.PP 179.4

    Il coppiere si era dichiarato profondamente grato a Giuseppe sia per l’interpretazione favorevole del suo sogno, sia per le numerose gentilezze; quest’ultimo, dopo avergli parlato in maniera molto toccante della sua ingiusta prigionia, lo supplicò di presentare il suo caso al re. “Ricordati di me” disse “quando sarai felice, e siimi benigno, ti prego; parla di me a Faraone, e fammi uscire da questa casa; perché io fui portato via furtivamente dal paese degli Ebrei, e anche qui non ho fatto nulla da essere messo in questa fossa”. Genesi 40:14, 15. Il coppiere riconobbe che il sogno si era avverato in ogni suo particolare, ma quando fu riconfermato al servizio del re non pensò più al suo benefattore. Giuseppe rimase prigioniero per altri due anni. La speranza che si era accesa nel suo cuore si stava gradualmente affievolendo: a tutte le altre prove si era aggiunta ora l’acuta sofferenza per l’ingratitudine.PP 180.1

    Ma Dio stava per aprirgli le porte della prigione. Il sovrano d’Egitto ebbe in una stessa notte due sogni che apparentemente indicavano lo stesso evento e sembravano predire una grande calamità. Non riuscendo a comprenderne il significato ne fu sconvolto: neppure i magi e i sapienti del suo regno seppero formulare l’interpretazione di quei presagi. I dubbi e le preoccupazioni del sovrano aumentarono e a palazzo il turbamento divenne generale. In quel momento, al coppiere ritornarono in mente le circostanze del suo sogno. Si ricordò di Giuseppe e sentì un profondo rimorso per la propria ingratitudine e negligenza. Subito informò il faraone di come il suo sogno e quello del capo dei panettieri fossero stati interpretati da un prigioniero ebreo e come entrambe le predizioni si fossero puntualmente avverate.PP 180.2

    Per il faraone fu senza dubbio umiliante, dopo aver consultato invano i magi e i sapienti del suo regno, essere costretto a rivolgersi a uno straniero, per di più schiavo. Tuttavia, egli era disposto ad accettare anche il più umile contributo, per rasserenare il suo animo inquieto. Giuseppe fu chiamato immediatamente. Si tolse i suoi abiti di prigioniero, si rase i capelli, diventati molto lunghi durante quel periodo di prigionia e infine fu introdotto alla presenza del re. “E Faraone disse a Giuseppe: Ho fatto un sogno, e non c’è chi lo possa interpretare; e ho udito dir di te che, quando t’hanno raccontato un sogno, tu lo puoi interpretare. Giuseppe rispose a Faraone, dicendo: Non son io; ma sarà Dio che darà a Faraone una risposta favorevole”. Genesi 41:15, 16. La risposta data da Giuseppe al re rivela la sua umiltà e la sua fede in Dio. “Non son io” egli disse. Solo Dio può spiegare i misteri.PP 180.3

    Il faraone iniziò allora a raccontare il suo sogno: “...Io stavo sulla riva del fiume; quand’ecco salir dal fiume sette vacche grasse e di bell’apparenza, e mettersi a pascere nella giuncaia. E, dopo quelle, ecco salire altre sette vacche magre, di bruttissima apparenza e scarne: tali, che non ne vidi mai di così brutte in tutto il paese d’Egitto. E le vacche magre e brutte divorarono le prime sette vacche grasse; e quelle entrarono loro in corpo e non si riconobbe che vi fossero entrate; erano di brutt’apparenza come prima. E mi svegliai. Poi vidi ancora nel mio sogno sette spighe venir su da un unico stelo, piene e belle; ed ecco altre sette spighe vuote, sottili e arse dal vento orientale, germogliare dopo quelle altre. E le spighe sottili inghiottirono le sette spighe belle. E io ho raccontato questo ai magi; ma non c’è stato alcuno che abbia saputo spiegarmelo”. Genesi 41:17-24.PP 181.1

    “...Ciò che Faraone ha sognato è una stessa cosa” disse Giuseppe. “...Iddio ha significato a Faraone quello che sta per fare”. Genesi 41:25. Ci sarebbero stati sette anni di grande abbondanza: i campi e gli orti avrebbero prodotto come mai prima, ma a questo periodo sarebbero seguiti sette anni di carestia. “...E tutta quell’abbondanza sarà dimenticata nel paese d’Egitto, e la carestia consumerà il paese”. Genesi 41:30. La ripetizione del sogno era un segno del sicuro e prossimo adempimento. “Or dunque” continuò Giuseppe “si provveda Faraone d’un uomo intelligente e savio e lo stabilisca sul paese d’Egitto. Faraone faccia così: costituisca dei commissari sul paese per prelevare il quinto delle raccolte del paese d’Egitto, durante i sette anni dell’abbondanza. E radunino essi tutti i viveri di queste sette buone annate che stan per venire, e ammassino il grano a disposizione di Faraone per l’approvvigionamento delle città, e lo conservino. Questi viveri saranno una riserva per il paese, in vista dei sette anni di carestia”. Genesi 41:33-36.PP 181.2

    L’interpretazione era così plausibile e coerente e i provvedimenti proposti per risolvere la crisi così validi e saggi, che il Faraone non sollevò alcun dubbio circa la sua attendibilità. Ma a chi affidare l’esecuzione del piano? Da questa scelta dipendeva la salvezza del paese. Il re, preoccupato, rifletté a lungo sulla nomina. Dal capo dei coppieri aveva saputo della saggezza e della prudenza manifestate da Giuseppe nella gestione della prigione; egli possedeva chiare qualità amministrative. Il coppiere, pentito per l’ingratitudine dimostrata in precedenza, cercò di riscattarsi elogiando ripetutamente il suo benefattore. Un’ulteriore inchiesta ordinata dal re dimostrò la correttezza del suo rapporto. In tutto il regno Giuseppe era stato l’unico a possedere la saggezza necessaria per avvertire la nazione del pericolo che la minacciava e un’accortezza tale da suggerire i preparativi indispensabili per affrontarlo. Il sovrano si convinse quindi che il giovane ebreo era veramente la persona più adatta a realizzare il piano da lui stesso ideato. Una potenza divina lo guidava e questo lo rendeva più idoneo di qualsiasi ufficiale del regno ad amministrare una saggia politica in vista della crisi. Il fatto che fosse ebreo, e per di più schiavo, aveva scarsa importanza in rapporto alle sue evidenti capacità e alla sua saggezza. Il faraone disse ai consiglieri “...Potremmo noi trovare un uomo pari a questo, in cui sia lo spirito di Dio?” Genesi 41:38.PP 181.3

    La nomina fu decisa. Giuseppe ricevette questo annuncio inatteso: “...Giacché Iddio t’ha fatto conoscere tutto questo, non v’è alcuno che sia intelligente e savio al pari di te. Tu sarai sopra la mia casa, e tutto il mio popolo obbedirà ai tuoi ordini; per il trono soltanto, io sarò più grande di te”. Genesi 41:39, 40. Il re gli conferì le insegne del suo alto incarico: “E Faraone si tolse l’anello di mano e lo mise alla mano di Giuseppe; lo fece vestire di abiti di lino fino, e gli mise al collo una collana d’oro. Lo fece montare sul suo secondo carro, e davanti a lui si gridava: In ginocchio!...”. Genesi 41:42, 43.PP 182.1

    “Lo costituì signore della sua casa e governatore di tutti i suoi beni per incatenare i prìncipi a suo talento, e insegnare ai suoi anziani la sapienza”. Salmi 105:21, 22. Giuseppe fu liberato dalla sua oscura prigione e diventò governatore di tutto il paese d’Egitto. Era una posizione di grande prestigio, esposta tuttavia a difficoltà e pericoli. È impossibile occupare una posizione molto elevata senza correre dei rischi. Come la tempesta sradica i maestosi alberi sulle cime delle montagne, ma non danneggia i modesti fiori della valle, così coloro che si sono mantenuti integri in un’umile condizione potrebbero essere sconfitti dalle tentazioni che assalgono coloro che vivono fra le ricchezze e gli onori del mondo. Ma Giuseppe aveva superato sia la prova dell’avversità sia quella della prosperità. La sua fedeltà a Dio fu evidente nel palazzo del faraone, come lo era stata nella cella della prigione. Giuseppe rimase sempre uno straniero in una terra pagana, lontano dai suoi parenti che adoravano l’Eterno, tuttavia, fu sempre convinto che Dio lo avrebbe guidato. Svolse fedelmente il suo incarico, riponendo costantemente la sua fiducia nel Signore. Tramite Giuseppe, il re e gli uomini più potenti dell’Egitto furono indotti ad apprezzare il vero Dio. Pur rimanendo fedeli alla loro religione, essi impararono a rispettare i princìpi espressi nel carattere di quell’uomo che credeva nell’Eterno.PP 182.2

    Come aveva potuto acquisire un carattere così fermo e integro e ottenere una saggezza così straordinaria? Durante la sua infanzia, egli aveva considerato più importante adempiere al proprio dovere piuttosto che soddisfare le proprie inclinazioni. L’onestà, la fede sincera e la nobiltà d’animo che lo avevano caratterizzato da giovane diedero i loro frutti nell’età matura. Una vita semplice e pura aveva favorito lo sviluppo delle sue facoltà fisiche e mentali. Comunicare con Dio riflettendo sulla sua creazione, meditare sulle grandi verità rivelate ai patriarchi, eredi della fede: tutto ciò aveva approfondito ed elevato la sua spiritualità, sviluppando e migliorando le sue capacità intellettuali come nessun altro studio avrebbe potuto fare. La fedeltà al dovere, in qualsiasi situazione, dalla più umile alla più elevata, aveva sviluppato al massimo grado ogni sua capacità. Un carattere integro e nobile è il risultato di una vita conforme alla volontà di Dio. “...Ecco: temere il Signore: questa è la Sapienza, e fuggire il male è l’Intelligenza”. Giobbe 28:28.PP 183.1

    Sono pochi coloro che comprendono l’importanza delle piccole cose per lo sviluppo del carattere: a questo scopo nulla è veramente insignificante. Le diverse circostanze nelle quali ci troviamo, giorno dopo giorno, sono destinate a mettere alla prova la nostra fedeltà e a prepararci ad affrontare impegni più importanti. Il rispetto dei princìpi morali nella nostra vita quotidiana ci abitua a considerare il dovere come superiore e più importante del piacere e delle nostre naturali propensioni. Un individuo così disciplinato non esiterà nella scelta fra il bene e il male, ondeggiando come una canna agitata dal vento, ma rimarrà fedele al dovere perché avrà acquisito un carattere fermo e coerente. La serietà nei compiti più umili crea la forza necessaria per affrontare responsabilità maggiori.PP 183.2

    Un carattere integro vale più dell’oro e non può essere comprato né ereditato. Chi lo possiede raggiungerà posizioni prestigiose. La perfezione morale e le capacità intellettuali non sono il risultato del caso. La formazione di un carattere nobile è il risultato di un impegno diligente e costante e dura per tutta la vita. Dio offre delle opportunità: il successo dipende dall’uso che ne facciamo.PP 183.3

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