“Il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane, e dopo aver reso grazie, lo ruppe e disse: Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me. Nello stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me. Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga”. 1 Corinzi 11:23-26. GDN 500.1
Era il momento di transizione fra i due patti, ognuno dei quali aveva la sua grande festa. Gesù, l'immacolato Agnello di Dio, stava per presentare se stesso come offerta per il peccato. Questa offerta avrebbe concluso quel complesso sistema di tipi e cerimonie che per quattromila anni avevano preannunciato la sua morte. Mentre mangiava la Pasqua insieme con i discepoli, Gesù stabilì al suo posto quel servizio che doveva ricordare il suo grande sacrificio. La festa nazionale degli ebrei doveva finire per sempre e Gesù la sostituì con un rito che sarebbe stato celebrato dai suoi discepoli in tutti i paesi e per tutte le età. GDN 500.2
La Pasqua fu stabilita per ricordare la liberazione d'Israele dalla schiavitù d'Egitto. Dio aveva stabilito che ogni anno si ricordasse quell'evento, e che ai bambini che ne avessero chiesto il significato, si raccontasse la storia di quella liberazione. In questo modo, quell'avvenimento meraviglioso rimase vivo nella mente di tutti. Il Signore stabilì la Cena per ricordare la grande liberazione ottenuta con la morte di Cristo, e questa celebrazione sarebbe durata fino al suo ritorno in potenza e gloria. Così rimane vivo nelle nostre menti il ricordo della grande opera compiuta per noi. GDN 500.3
La vigilia della loro liberazione dall'Egitto, i figli d'Israele mangiarono la Pasqua in piedi, con i fianchi cinti e le lampade in mano, pronti a partire. Celebravano quella festa in un atteggiamento conforme alle circostanze. Stavano per uscire dal paese d'Egitto e per iniziare, attraverso il deserto, un viaggio faticoso e difficile. Al tempo di Gesù quella situazione era cambiata. Gli israeliti non venivano cacciati da un paese straniero, ma vivevano stabilmente nella loro terra. Secondo il riposo che era stato loro concesso, mangiavano la Pasqua allungati su un divano. GDN 500.4
Infatti, abitualmente, si sistemavano dei divani intorno alla tavola e gli ospiti vi si adagiavano, appoggiandosi sul fianco sinistro e usando la mano destra per mangiare. In questa posizione si poteva facilmente appoggiare il capo sul petto del vicino, e i piedi, dall'altro lato del divano, potevano essere lavati con facilità da qualcuno che passava intorno al cerchio che si era formato. GDN 501.1
Gesù è a tavola. La cena pasquale è stata servita. Vi sono anche i pani senza lievito, che si usavano nel periodo della Pasqua, e il vino non fermentato. Gesù si serve di quei simboli per rappresentare il suo sacrificio. Nulla di corrotto dalla fermentazione, che è simbolo del peccato e della morte, avrebbe potuto rappresentare Gesù, “agnello senza difetto né macchia”. 1 Pietro 1:19. GDN 501.2
“Mentre mangiavano, Gesù prese del pane e, dopo aver detto la benedizione, lo ruppe e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete, mangiate, questo è il mio corpo. Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati. Vi dico che da ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio”. Matteo 26:26-29. GDN 501.3
Giuda, il traditore, era presente a quel servizio sacro. Anch'egli ricevette da Gesù i simboli del suo corpo spezzato e del suo sangue versato, e udì le sue parole: “Fate questo in memoria di me”. Accanto all'Agnello di Dio, il traditore meditava i suoi foschi propositi e accarezzava pensieri di vendetta. GDN 501.4
Al momento dell'abluzione dei piedi, Gesù aveva dimostrato di aver compreso il carattere di Giuda. “Non tutti siete netti”. Giovanni 13:11. Quelle parole convinsero quel falso discepolo che Gesù conosceva i suoi pensieri. Gesù poi parlò più chiaramente. Mentre erano a tavola, guardando i discepoli, disse: “Non parlo di voi tutti; io conosco quelli che ho scelti; ma, perché sia adempiuta la Scrittura: Colui che mangia il mio pane, ha levato contro di me il suo calcagno”. Versetto 18. GDN 501.5
Ma i discepoli non sospettavano ancora di Giuda. Si resero conto, però, che Gesù era molto turbato. Un'ombra oscura gravava su tutti loro, presagio di una terribile calamità di cui però non riuscivano a comprendere la natura. Mentre mangiavano in silenzio, Gesù disse: “In verità vi dico che uno di voi mi tradirà”. Versetto 21. I discepoli a quelle parole furono colti da stupore e costernazione. Non potevano concepire che uno di loro avrebbe tradito il Maestro. Per quale motivo e per chi avrebbe dovuto farlo? In quale cuore poteva mai sorgere un progetto simile? Certamente in nessuno dei dodici che più degli altri avevano avuto il privilegio di ascoltare tutti i suoi insegnamenti, erano stati oggetto del suo amore meraviglioso e aveva onorato permettendo loro di condividere con lui i suoi momenti più intimi. GDN 501.6
Meditando sulle sue parole, che erano sempre risultate vere, provarono timore e sfiducia. Esaminarono i loro cuori per vedere se nascondessero qualche pensiero ostile nei confronti del Maestro. Profondamente turbati, chiesero uno dopo l'altro: “Sono io quello, Signore?” Matteo 26:22. Giuda rimase in silenzio. Giovanni infine, angosciato, chiese: “Signore, chi è?” Giovanni 13:25. Gesù rispose: “Colui che ha messo con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Certo, il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui; ma guai a quell'uomo per cui il Figlio dell'uomo è tradito! Meglio sarebbe per quell'uomo se non GDN 502.1
fosse mai nato”. Matteo 26:23, 24. GDN 502.2
I discepoli si scrutavano in volto, mentre chiedevano: “Sono io quello, Signore?” Il silenzio di Giuda attrasse tutti. In mezzo alla confusione dell'intrecciarsi delle domande e delle espressioni di stupore, Giuda non aveva udito le parole di Gesù in risposta a Giovanni. Ma poi, per sfuggire agli sguardi degli altri discepoli chiese, come avevano fatto gli altri: “Sono forse io, Maestro? E Gesù a lui: L'hai detto”. Versetto 25. GDN 502.3
Sorpreso e confuso perché il suo progetto era stato smascherato, Giuda si affrettò a lasciare la stanza. “Per cui Gesù gli disse: Quel che fai, fallo presto. Egli dunque, preso il boccone, uscì subito; ed era notte”. Giovanni 13:27-30. Era notte per il traditore, mentre si allontanava da Gesù, nelle fitte tenebre. GDN 502.4
Sino a quel momento Giuda non aveva oltrepassato il limite della possibilità del pentimento. Ma quando si allontanò dalla presenza del Signore e dei suoi discepoli, prese l'estrema decisione. Aveva superato il limite. GDN 502.5
Gesù aveva avuto una grandissima pazienza per quell'anima tentata, e non aveva trascurato nulla per salvarla. Dopo che per ben due volte Giuda ebbe preso accordi per tradire il Signore, Gesù gli offrì ancora una possibilità di ravvedimento. Svelando i suoi pensieri segreti, Gesù dette a Giuda l'ultima convincente prova della sua divinità che era anche un ultimo appello al ravvedimento. Gli erano state rivolte tutte le esortazioni che il cuore umano e divino di Gesù potesse fargli. Le manifestazioni d'amore, sempre ostinatamente respinte, si fecero infine più intense. Ma sebbene sorpreso del fatto che la sua colpa fosse stata scoperta, Giuda divenne più ostinato e si allontanò dal luogo della Cena per completare il suo tradimento. GDN 502.6
Gesù svelò il tradimento di Giuda anche per manifestare la sua misericordia nei confronti dei discepoli. Offrì loro una dimostrazione definitiva della sua messianicità. “Ve lo dico fin da ora, prima che accada; affinché, quando sarà accaduto, voi crediate che io sono”. Giovanni 13:19. Se Gesù avesse taciuto, ignorando apparentemente quello che stava per capitargli, i discepoli avrebbero potuto dubitare della conoscenza divina del Maestro e pensare che fosse stato colto di sorpresa per essere consegnato nelle mani di una folla omicida. GDN 503.1
Un anno prima Gesù aveva detto ai discepoli che egli ne aveva scelti dodici, ma che uno di loro era un demone. Le parole rivolte a Giuda, che mostravano che egli era pienamente al corrente del suo tradimento, avrebbero rafforzato, durante la sua umiliazione, la fede dei veri discepoli che, al momento dell'orrenda fine di Giuda, si sarebbero ricordati della sventura del traditore preannunciata da Gesù. GDN 503.2
Il Salvatore aveva ancora un altro motivo per non respingere colui che conosceva come traditore. I discepoli non avevano compreso le parole pronunciate quando aveva lavato loro i piedi: “Non tutti siete netti”, e neppure quando era a tavola: “Colui che mangia il mio pane, ha levato contro di me il suo calcagno”. Versetto 18. Ma quando il significato di quelle parole divenne evidente, essi pensarono alla pazienza e alla misericordia di Dio verso gli uomini più traviati. GDN 503.3
Sebbene Gesù conoscesse l'animo di Giuda, gli lavò i piedi. Il traditore ebbe il privilegio di partecipare alla cerimonia istituita da Gesù. Con infinita pazienza, il Salvatore tentò con ogni mezzo di aiutare il peccatore a pentirsi e purificarsi del suo peccato. Questo è un esempio per noi. Non dobbiamo separarci da chi si trova nell'errore o nel peccato. Se lo facessimo, potremmo abbandonarlo alla tentazione e spingerlo sul terreno di Satana. Gesù non ha agito così. Proprio perché i suoi discepoli sbagliavano ed erano colpevoli, egli lavò loro i piedi; e tutti, fuorché uno, furono indotti al pentimento. GDN 503.4
L'esempio di Gesù condanna ogni tentativo per impedire a qualcuno di partecipare alla Cena. È vero che lo Spirito Santo insegna chiaramente che il peccato palese esclude il colpevole (cfr. 1 Corinzi 5:11), ma, al di là di questa eccezione, nessuno deve giudicare. Dio non ha lasciato agli uomini la responsabilità di decidere chi deve partecipare a questo rito. Chi può infatti leggere i cuori? Chi può distinguere la zizzania dal buon grano? “Ora ciascuno esamini se stesso, e così mangi del pane e beva del calice. Perciò, chiunque mangerà il pane o berrà dal calice del Signore indegnamente, sarà colpevole verso il corpo ed il sangue del Signore. Poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro se stesso, se non discerne il corpo del Signore”. 1 Corinzi 11:28, 27, 29. GDN 503.5
Quando i credenti si riuniscono per celebrare questo rito, sono presenti anche dei messaggeri invisibili. Se nell'assemblea vi è un Giuda, ci saranno allora dei messaggeri del principe delle tenebre, sempre vicini a coloro che rifiutano la guida dello Spirito Santo. Ma vi sono anche gli angeli di Dio. Questi esseri invisibili sono sempre presenti; nell'assemblea possono trovarsi delle persone che non hanno ancora pienamente accolto la santità e la verità, ma che desiderano partecipare al servizio; non bisogna impedirglielo. Vi erano dei testimoni presenti anche quando Gesù lavò i piedi dei discepoli, Giuda compreso. Degli occhi, che non erano umani, videro la scena. GDN 504.1
Cristo è presente con il suo Spirito per apporre il suo suggello sul rito da lui stabilito. Egli è presente per convincere e intenerire i cuori. Non gli sfugge né uno sguardo né un pensiero né un moto di pentimento. È sempre in attesa di colui che ha il cuore contrito e che si pente. Tutto è pronto per accogliere le anime. Colui che ha lavato i piedi di Giuda, desidera lavare ogni cuore dalle macchie del peccato. GDN 504.2
Nessuno deve rinunciare di partecipare alla Cena del Signore solo perché può essere presente qualche persona indegna. Ogni discepolo è chiamato a parteciparvi pubblicamente per testimoniare che accetta Gesù come suo Salvatore. In queste occasioni Gesù si incontra con il suo popolo e gli infonde potenza. Anche se cuori e mani impure amministrano il rito, Cristo è là, al servizio dei suoi figli. Tutti coloro che si avvicinano a lui con fede saranno abbondantemente benedetti, mentre quelli che trascurano questi privilegi divini ne subiscono una grave perdita. Di essi si può dire: “Non tutti siete netti”. GDN 504.3
Offrendo ai discepoli il pane e il vino, Gesù si presentò come il Redentore. Stabilì con loro il nuovo patto per il quale tutti coloro che lo accettano diventano figli di Dio ed eredi di Cristo. In virtù di quel patto potevano ricevere ogni benedizione divina, valida per questa vita e per quella futura. Esso sarebbe stato ratificato con il sangue di Cristo. La partecipazione a questa cerimonia avrebbe ricordato continuamente ai discepoli il sacrificio infinito compiuto per ognuno di loro, in quanto parte di tutta l'umanità decaduta. GDN 504.4
Ma questo servizio di comunione non è un'occasione di tristezza. I discepoli del Signore, quando si riuniscono intorno a quella tavola, non devono ricordare le loro mancanze e lamentarsene, né pensare troppo alle loro esperienze religiose passate, sia positive sia negative. Non devono pensare a questioni personali. Tutto questo deve avveni re durante il servizio di preparazione; quello è il momento dell'esame di se stessi, della confessione dei peccati e della riconciliazione. Ora devono incontrarsi con Gesù, lasciare l'ombra della croce e ricevere la luce della salvezza. Devono aprire l'animo ai raggi splendenti del Sole di giustizia, e con i cuori purificati dal prezioso sangue di Cristo, con la piena consapevolezza della sua invisibile presenza, devono ascoltare le sue parole: “Vi lascio pace; vi do la mia pace. Io non vi do come il mondo dà”. Giovanni 14:27. GDN 504.5
Il Signore ci dice: Quando sentite il peso dei peccati, ricordatevi che sono morto per voi. Quando siete perseguitati e afflitti per amore mio e del Vangelo, ricordatevi che vi ho amati Ano a offrire la mia vita per voi. Quando i vostri doveri vi sembrano pesanti e difficili e i vostri pesi insopportabili, ricordatevi che per amor vostro ho sopportato la croce, trascurandone la vergogna. Quando il vostro cuore viene meno davanti alla prova, ricordatevi che il vostro Redentore vive per intercedere per voi. GDN 505.1
Il servizio di comunione si proietta verso il ritorno di Cristo. Esso è stato istituito per tenere viva questa speranza. Ovunque i credenti si incontrino per commemorare la sua morte, ricordano le parole di Gesù. “Prese un calice e rese grazie, lo diede loro dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per la remissione dei peccati. Io vi dico che d'ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio”. Pur soffrendo, hanno trovato consolazione nella speranza del ritorno del Signore. Questo pensiero è stato per loro prezioso: “Poiché ogni volta che voi mangiate questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore, finch'egli venga”. GDN 505.2
Queste sono realtà da non dimenticare. Nella nostra mente dev'essere mantenuto vivo il pensiero dell'amore di Cristo che ci costringe. Gesù ha stabilito questa celebrazione perché così possiamo ricordare l'amore di Dio per noi. Solo attraverso Cristo l'uomo può ristabilire la comunione con Dio. L'amore di Gesù rende stabile ed eterno l'amore fraterno. Ed è la morte di Gesù che rende efficace per noi quell'amore. Solo grazie alla sua morte possiamo guardare con gioia verso il suo ritorno. Il suo sacrificio è al centro della nostra speranza ed è l'oggetto della nostra fede. GDN 505.3
Troppo facilmente si attribuisce un semplice valore formale ai riti che ricordano l'umiliazione e la sofferenza del Signore. Essi sono stati istituiti per un motivo molto importante. I nostri sensi devono essere sensibilizzati per comprendere il mistero della pietà. È nostro privilegio conoscere sempre meglio le sofferenze di Cristo. “E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell'uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna”. Giovanni 3:14, 15. Noi dobbiamo contemplare la croce del Calvario su cui morì il Salvatore. In vista della vita eterna, dobbiamo avere fede in Cristo. GDN 505.4
Il nostro Signore ha detto: “In verità, in verità vi dico che se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete vita in voi. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda”. Giovanni 6:53, 55. Questo è vero anche per il nostro corpo. Siamo debitori alla morte di Cristo perfino della vita terrena. Il pane che mangiamo ci è stato procurato dal suo corpo spezzato. L'acqua che beviamo è stata pagata con il suo sangue sparso. GDN 506.1
Nessun uomo, santo o peccatore che sia, mangia il suo cibo quotidiano se non tramite il corpo e il sangue di Cristo. La croce del Calvario ha lasciato la sua impronta su ogni briciola di pane e si riflette in ogni sorgente di acqua. Gesù ci ha insegnato tutto questo scegliendo i simboli del suo grande sacrificio. La luce che brilla dalla Cena celebrata nella camera alta, conferisce sacralità agli alimenti necessari per il nostro sostentamento quotidiano. La tavola di famiglia diventa la tavola del Signore, e ogni pasto assume un valore sacro. GDN 506.2
Le parole di Gesù sono ancora più vere in senso spirituale. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna”. Possiamo vivere una vita santa ricevendo la vita che è stata offerta per noi sulla croce del Calvario. E la riceviamo accettando la sua Parola, facendo ciò che Gesù ci ha ordinato. In questo modo diventiamo uno con il Padre. Gesù dice ancora: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui. Come il Padre vivente mi ha mandato e io vivo a motivo del Padre, così chi mi mangia vivrà anch'egli a motivo di me”. Versetti 56, 57. Queste parole di Gesù si riferiscono in modo particolare alla santa Cena. Contemplando per fede il grande sacrificio del Signore, l'anima assimila la vita spirituale di Cristo e riceve forza spirituale da ogni servizio di Comunione, tramite il quale si stabilisce un legame con Cristo e con il Padre, legame che unisce a Dio tutti gli esseri umani. GDN 506.3
Prendendo il pane e il vino, simboli del corpo di Cristo e del suo sangue sparso per noi, ci ritroviamo idealmente nella camera alta alla celebrazione della Cena. Ci sembra di passare attraverso il giardino che è stato consacrato dall'agonia di colui che ha portato su di sé i peccati di tutto il mondo. Diventiamo testimoni della dura lotta combattuta per la nostra riconciliazione con Dio. Cristo, così, è come se venisse nuovamente crocifisso fra noi. GDN 506.4
Contemplando il Redentore crocifisso, comprendiamo meglio la grandezza e il significato del sacrificio fatto dal Re del cielo. Davanti a noi viene glorificato il piano della salvezza e il ricordo del Calvario risveglia nei nostri cuori emozioni sacre e intense. Parole di lode a Dio e all'Agnello sgorgano dai nostri cuori e vengono pronunciate dalle nostre labbra; l'orgoglio e l'egoismo non possono attecchire nell'animo che conserva vive in sé le scene del Calvario. Colui che contempla l'amore del Salvatore avrà pensieri elevati, un cuore puro e un carattere trasformato. Sarà una luce nel mondo e rifletterà nella vita, in una certa misura, quell'amore misterioso. Contemplando la croce di Cristo, facciamo nostre le parole dell'apostolo Paolo quando dice: “Ma quanto a me, non sia mai che io mi vanti d'altro che della croce del nostro Signore Gesù Cristo, mediante la quale il mondo, per me, è stato crocifisso, e io sono stato crocifisso per il mondo”. Galati 6:14. GDN 507.1