Quando uno dei nostri fratelli ha fatto tutto il possibile e qualcuno pensa che avrebbe potuto fare meglio, dovrebbe sottoporre al fratello, con bontà e pazienza, il suo punto di vista, senza però censurarlo e mettere in dubbio l’onestà dei suoi propositi. Noi stessi, infatti, non desidereremmo essere sospettati o censurati ingiustamente. Se questo fratello ha a cuore l’opera di Dio e si accorge di avere commesso un errore, nonostante tutti i suoi sforzi, si rattristerà profondamente; perderà fiducia in se stesso e nel proprio criterio di valutazione. Nulla indebolirà il suo coraggio quanto la constatazione di errori commessi nell’opera che Dio gli ha affidata e che gli sta a cuore più della sua stessa vita. Quanto è ingiusto, quindi, che i fratelli che hanno sottolineato i suoi errori continuino a mettere il dito nella piaga, indebolendo la sua fede e il suo coraggio, distruggendo la sua fiducia in se stesso, portandolo a credere che non è adatto a lavorare con successo per l’opera di Dio. TT1 208.1
Spesso è giusto dire chiaramente la verità a coloro che si sono sbagliati, affinché comprendano i loro errori e li correggano. Ma dovremmo sempre agire con bontà e tenerezza, e non con asprezza e severità, tenendo conto della nostra debolezza, pensando che noi stessi possiamo essere tentati. Quando qualcuno ha sbagliato e riconosce il proprio errore, invece di turbarlo e di abbatterlo ancora di più, lo si dovrebbe incoraggiare. Il Cristo, nel sermone sulla montagna, disse: “Non giudicate acciocché non siate giudicati; perché col giudicio col quale giudicate, sarete giudicati; e con la misura onde misurate, sarà misurato a voi”. Matteo 7:1, 2. Il nostro Salvatore ha condannato il giudizio severo: “E perché guardi tu il bruscolo che è nell’occhio del tuo fratello, mentre non iscorgi la trave che è nell’occhio tuo?” Matteo 7:3. Questa situazione si verifica spesso. Mentre siamo pronti a individuare gli errori del fratello, non si riconoscono i propri che a volte sono ben più gravi. TT1 208.2
Tutti i discepoli del Cristo dovrebbero agire nei confronti degli altri proprio come desidererebbero che il Signore agisse nei confronti dei loro errori e delle loro debolezze, perché tutti siamo soggetti a sbagliare e abbiamo bisogno della sua pietà e del suo perdono. Gesù ha accettato di rivestire la natura umana per comprendere come simpatizzare con noi e come intercedere presso il Padre in favore dei peccatori. Egli è diventato volontariamente l’avvocato dell’uomo e si è umiliato affrontando le tentazioni a cui l’uomo è esposto, per poter soccorrere coloro che sono tentati e adempiere il suo ruolo di pietoso e fedele Sommo Sacerdote. TT1 208.3
Spesso è necessario svelare chiaramente il peccato e rimproverare i torti. Ma coloro che lavorano in vista della salvezza dell’umanità non devono essere insensibili nei confronti degli errori degli altri. Essi non devono né rivelare né sottolineare le loro debolezze. Devono chiedersi se un atteggiamento simile, qualora gli altri lo adottassero nei loro confronti, produrrebbe l’effetto desiderato: contribuirebbe ad accrescere il loro affetto, la loro fiducia per chi sottolinea i loro errori? In modo particolare gli errori commessi da coloro che sono impegnati nell’opera di Dio dovrebbero essere noti a un cerchio molto ristretto di persone perché i più deboli ne approfitterebbero, rendendosi conto che coloro che insegnano la Parola e la dottrina hanno le stesse debolezze degli altri. Qualora un pastore venisse considerato degno di lavorare per la salvezza degli uomini sarebbe una cosa molto crudele che i suoi errori fossero rivelati ai non credenti. Da questo modo di procedere non deriva nessun bene, ma solo del male. Il Signore disapprova questo atteggiamento, perché diminuisce la fiducia delle persone in coloro che egli accetta come collaboratori affinché realizzino gli obiettivi della sua opera. TT1 208.4
I collaboratori di Dio devono vegliare sulla reputazione dei loro colleghi. Dio dice: “Non toccate i miei unti, e non fate alcun male ai miei profeti”. 1 Cronache 16:22; cfr. Salmi 105:15. Dobbiamo coltivare amore e fiducia reciproci. La mancanza di questo amore e di questa fiducia, da parte di un pastore nei confronti di un suo collega, non accresce la felicità né di colui che si trova in difetto né di colui che giudica. Vi è maggior forza nell’amore che nella critica. L’amore abbatte le barriere mentre la critica chiude ogni via di accesso all’anima. TT1 209.1