Caino e Abele, figli di Adamo, avevano un carattere molto diverso. Abele era fedele a Dio e considerava il suo atteggiamento nei confronti dell’umanità decaduta giusto e generoso: egli aveva accettato con gratitudine la speranza della salvezza. Caino, invece, coltivava sentimenti di ribellione e disapprovava Dio perché aveva maledetto la terra e l’uomo a causa del peccato di Adamo. Egli permetteva che la sua mente indugiasse negli stessi pensieri che avevano portato Satana alla rovina: metteva in dubbio la giustizia e l’autorità di Dio ed era orgoglioso e superbo. PP 55.1
Come Adamo, anche i due fratelli furono sottoposti a una prova di fedeltà e di ubbidienza alla Parola di Dio. Conoscevano il piano che Dio aveva disposto per la salvezza dell’uomo e comprendevano il significato del sistema di sacrifici che Dio aveva stabilito. Sapevano che tramite queste offerte simboliche, esprimevano la loro fede nel Salvatore e la convinzione che il perdono delle loro colpe dipendesse interamente da lui. PP 55.2
Erano consapevoli che l’adesione al piano di Dio implicava l’ubbidienza alla sua volontà. Senza spargimento di sangue non ci sarebbe stato perdono: immolando una vittima, essi dimostravano di aver fede nella promessa del sacrificio del Cristo, il cui simbolo era l’offerta degli agnelli del gregge. Oltre a questo rituale, in segno di gratitudine, dovevano presentare al Signore le primizie dei frutti della terra. PP 55.3
Abele e Caino eressero due altari simili, su cui posero le loro offerte. Abele, seguendo le direttive divine, offrì in sacrificio un agnello. “...E l’Eterno guardò con favore Abele e la sua offerta” (Genesi 4:4) e subito del fuoco scese dal cielo e consumò la vittima. Caino, invece, trasgredendo l’ordine esplicito del Signore, presentò come offerta solo della frutta e il cielo non manifestò alcun segno di approvazione. Abele supplicò il fratello di avvicinarsi a Dio come Egli stesso aveva indicato, ma le sue insistenze resero Caino ancora più ostinato e deciso a comportarsi a modo suo. Essendo il primogenito, non voleva sentirsi rimproverato dal fratello minore e quindi respinse con disprezzo i suoi consigli. PP 55.4
Caino si era presentato davanti al Signore animato da sentimenti di ribellione e di sfiducia: non credeva nell’importanza del sacrificio che Dio aveva promesso per la salvezza dell’uomo e dubitava della necessità di offrire delle vittime. Il suo dono non esprimeva il pentimento per il peccato. Egli non aveva compreso, come molti anche oggi, che seguire la volontà di Dio, affidando la propria salvezza al sacrificio del Messia promesso, significa riconoscere la propria debolezza. Caino scelse l’autosufficienza di far valere i propri meriti. Invece di portare un agnello e unire il sangue alle altre offerte, presentò solo i frutti della terra, prodotto del suo lavoro, come un favore che faceva a Dio e per il quale doveva aspettarsi approvazione. Caino aveva costruito un altare, sul quale aveva deposto la propria offerta: aveva ubbidito a Dio, ma solo in parte. Infatti, aveva trascurato l’essenziale: non si era reso conto di avere bisogno di un Redentore. PP 55.5
Per nascita ed educazione religiosa, i due fratelli si trovavano esattamente sullo stesso piano. Entrambi erano peccatori, ed entrambi sapevano che Dio richiedeva rispetto e adorazione. Apparentemente la loro vita religiosa era uguale, ma in realtà tra i due vi era una profonda differenza. PP 56.1
“Per fede Abele offerse a Dio un sacrificio più eccellente di quello di Caino...”. Ebrei 11:4. Abele aveva compreso i grandi princìpi della salvezza. Riconosceva di essere un peccatore: era cosciente della natura del male e della sua conseguenza più tragica, la morte. Capiva che tutto questo aveva creato una barriera fra lui e Dio. Uccise una vittima, sacrificò una vita: con questo atto, Abele riconosceva la validità della legge che era stata trasgredita. Nel sangue dell’agnello egli vide il sacrificio futuro, il Cristo che moriva in croce, sul Calvario. Manifestò la sua fede nella liberazione che il Messia avrebbe compiuto e questa, per lui, rappresentava la testimonianza più certa del fatto che era stato considerato giusto e che la sua offerta era stata accettata. PP 56.2
Anche Caino avrebbe potuto comprendere questa verità. Egli non era vittima di un piano arbitrario: Dio non aveva predestinato l’uno e condannato l’altro. Abele scelse l’ubbidienza e la fede, Caino lo scetticismo e la ribellione. In questo consisteva la differenza tra i due. PP 56.3
Caino e Abele rappresentano due categorie di persone che esisteranno sempre nel mondo, sino alla fine dei tempi. La prima è costituita da coloro che accettano il sacrificio per il peccato, la seconda da quanti rischiano di non essere salvati perché confidano nei propri meriti. La loro offerta non ha alcun valore, in quanto esclude la mediazione divina: in sé, non è sufficiente a ottenere il favore di Dio. Le nostre trasgressioni possono essere perdonate solo grazie al Cristo. Coloro che non riconoscono in alcun modo la propria insufficienza, e ritengono di poter fare a meno del sacrificio di Gesù, sono convinti di poter ricevere le benedizioni di Dio tramite le loro opere senza la grazia divina; il loro errore è simile a quello di Caino. Chi non accetta il valore della morte del Salvatore, rimane sotto la condanna del male e niente potrà liberarlo da questa prigionia. PP 56.4
I credenti che seguono l’esempio di Caino costituiscono nel mondo la stragrande maggioranza. Tutte le false religioni si fondano su uno stesso principio: la salvezza dell’uomo dipende esclusivamente dalle sue opere. Alcuni sostengono addirittura che l’uomo non abbia bisogno di salvezza, ma solo di perseguire uno sviluppo personale per migliorare, elevarsi e rigenerarsi. Come Caino, che pensò di assicurarsi il favore divino con un’offerta che non comportava spargimento di sangue, così molti pretendono di elevare l’uomo sino alla divinità, escludendo la necessità di una qualsiasi espiazione. La storia di Caino è abbastanza eloquente circa i risultati di un simile atteggiamento: essa indica con chiarezza il destino dell’uomo che decide di allontanarsi dal Cristo. L’umanità non può rigenerare se stessa. Per sua natura, il genere umano ha in sé una predisposizione al male: non aspira spontaneamente a ciò che è divino ed elevato. Il Cristo è la nostra unica speranza. “In nessun altro è la salvezza; poiché non v’è sotto il cielo alcun altro nome che sia stato dato agli uomini, per il quale noi abbiamo ad essere salvati”. Atti 4:12. La vera fede si basa unicamente su Gesù e si manifesta attraverso l’ubbidienza. Dai giorni di Adamo a oggi, la grande lotta tra il bene e il male riguarda l’osservanza della legge di Dio. In tutti i tempi vi sono state persone che hanno preteso di avere diritto all’approvazione divina pur trascurando l’osservanza di alcuni comandamenti. Ma le Scritture dichiarano che “...per le opere la... fede fu resa compiuta”: senza le opere dell’ubbidienza, la fede “è morta”. Giacomo 2:22, 17. Colui che sostiene di conoscere Dio “...e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo...”. 1 Giovanni 2:4. PP 57.1
Quando Caino vide che la sua offerta era stata respinta, provò un profondo rancore nei confronti del Signore e di Abele. Dio non aveva accettato il suo omaggio, in sostituzione del sacrificio, e suo fratello, invece di seguirlo nella sua ribellione, aveva scelto di ubbidire a Dio. Tuttavia, il Signore non abbandonò Caino a se stesso e volle discutere con l’uomo che aveva dimostrato di essere tanto irragionevole. Così, attraverso un angelo, Dio gli parlò: “...Perché sei irritato? E perché hai il volto abbattuto? Se fai bene non rialzerai tu il volto? Ma, se fai male, il peccato sta spiandoti alla porta...”. Genesi 4:6, 7. Caino era di fronte a una scelta. Se avesse collegato la sua salvezza al sacrificio del Salvatore promesso, se avesse accettato le richieste di Dio, avrebbe ottenuto il favore divino. Proseguendo nella sua ribellione, e mantenendo il suo atteggiamento scettico, non aveva nessun motivo di contestare il rifiuto divino. PP 57.2
Invece di ammettere il proprio errore, Caino continuò a biasimare l’ingiustizia che Dio aveva commesso nei suoi confronti e a coltivare sentimenti di gelosia e di odio contro Abele. Lo rimproverò duramente nel tentativo di indurlo a dubitare della correttezza dell’atteggiamento di Dio nei loro confronti. In modo pacato ma fermo, Abele gli spiegò la giustizia e la bontà di Dio, indicando l’errore che aveva commesso. Cercò di convincerlo ad ammettere di avere torto: gli ricordò l’amore del Creatore, che aveva risparmiato la vita dei loro genitori, quando avrebbe potuto punirli con una morte istantanea. Cercò di insistere riaffermando l’amore di Dio per loro: la decisione di inviare il Figlio, benché innocente, a subire la loro condanna, era una prova della generosità divina. Queste parole esasperarono ancora di più Caino; il buon senso e la coscienza gli dicevano che Abele aveva ragione, ma lo irritava il fatto che proprio suo fratello, a cui aveva chiesto di condividere la sua posizione, avesse la presunzione di dissentirne, rifiutando di partecipare alla sua ribellione. In un impeto di rabbia e di violenza lo uccise. PP 58.1
Caino odiò e uccise suo fratello, non perché avesse fatto qualcosa di male, ma “...perché le sue opere erano malvagie, e quelle del suo fratello erano giuste”. 1 Giovanni 3:12. Allo stesso modo, le persone malvage odiano chi è migliore di loro. L’ubbidienza manifestata da Abele nella sua vita, la sua fede profonda, costituivano un continuo rimprovero per Caino: “...Chiunque fa cose malvagie odia la luce e non viene alla luce, perché le sue opere non siano riprovate”. Giovanni 3:20. PP 58.2
Più è evidente la manifestazione dell’influsso divino sul carattere dei credenti, più risultano palesi gli errori dei non credenti e tanto maggiori saranno quindi i loro sforzi per distruggere chi turba le loro coscienze. PP 58.3
L’assassinio di Abele fu il primo episodio dell’ostilità che Dio aveva annunciato tra il serpente e la discendenza della donna, cioè fra Satana e i suoi seguaci e Cristo e i suoi fedeli. Grazie al peccato, Satana ottenne il controllo di tutti gli uomini; il Cristo avrebbe offerto loro la possibilità di liberarsi da questa schiavitù. Tutte le volte che per la sua fede nel sacrificio del Cristo, un essere umano rifiuta l’influsso del male, Satana si arrabbia. L’integrità di Abele era una prova dell’infondatezza dell’affermazione di Satana secondo cui è impossibile per l’uomo osservare la legge di Dio. Quando Caino, istigato da una volontà perversa, comprese che non avrebbe potuto imporsi su Abele, si infuriò a tal punto che lo uccise. PP 58.4
Coloro che difendono la validità della legge di Dio, ovunque essi siano, dovranno affrontare lo spirito che animò Caino, quello stesso che in tutte le epoche ha fatto innalzare pali e roghi per distruggere quanti hanno seguito l’esempio del Cristo. Satana e i suoi angeli non possono costringere alla sottomissione i discepoli di Gesù e per questo motivo suscitano contro di loro ogni genere di crudeltà. Si tratta della manifestazione della collera di chi sa di avere perso. Ogni martire di Gesù è morto da vincitore. Il profeta dice: “Ma essi l’hanno vinto [il serpente antico, che è chiamato Diavolo e Satana] a cagion del sangue dell’Agnello e a cagion della parola della loro testimonianza; e non hanno amata la loro vita, anzi l’hanno esposta alla morte”. Apocalisse 12:11, 9. PP 58.5
Caino, l’omicida, fu ben presto chiamato a rendere conto del proprio crimine. “E l’Eterno disse a Caino: Dov’è Abele tuo fratello? Ed egli rispose: Non lo so; son io forse il guardiano di mio fratello?” Genesi 4:9. Caino si era spinto troppo lontano nel compiere il male e aveva ormai perso la consapevolezza della costante presenza di Dio, della sua grandezza e onniscienza. Questo spiega perché, nel desiderio di nascondere la propria colpa, egli ricorse all’inganno. PP 59.1
Il Signore parlò ancora a Caino: “...Che hai tu fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra”. Genesi 4:10. Con queste parole, Dio gli stava offrendo la possibilità di confessare la propria colpa. Aveva avuto tempo di riflettere e si era reso conto dell’estrema gravità della sua azione, della falsità delle parole con cui aveva cercato di nasconderla: tuttavia egli non si pentì e la sua condanna non fu più rimandata. PP 59.2
Poco prima, Dio gli aveva rivolto un appello implorante ma ora pronunciò parole terribili: “E ora tu sarai maledetto, condannato ad errar lungi dalla terra che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue del tuo fratello dalla tua mano. Quando coltiverai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti, e tu sarai vagabondo e fuggiasco sulla terra”. Genesi 4:11, 12. PP 59.3
Benché per il suo delitto Caino meritasse la morte, il Creatore ne ebbe pietà: gli risparmiò la vita, offrendogli così la possibilità di pentirsi. Ma egli divenne sempre più indifferente e istigò altri a ribellarsi all’autorità divina, fino a diventare il fondatore di una dinastia di persone dissolute e arroganti. Questo essere ribelle, sotto l’influsso di Satana, divenne a sua volta il tentatore di altri; il suo esempio e la sua azione furono così devastanti da rendere in breve tempo il mondo talmente corrotto e pieno di violenza, che fu necessario prevederne la distruzione. PP 59.4
Risparmiando la vita al primo omicida, Dio manifestò a tutto l’universo come intendesse affrontare la lotta fra il bene e il male. L’oscura storia di Caino e dei suoi discendenti dimostrò quale sarebbe stato il destino dell’uomo se, dopo il peccato, Dio gli avesse permesso di vivere in eterno e di realizzare pienamente i suoi propositi di ribellione. PP 59.5
La misericordia del Creatore rese i malvagi sempre più arroganti e audaci. Quindici secoli dopo, gli esseri intelligenti di tutto l’universo poterono constatare le conseguenze dell’immoralità di Caino: la terra era devastata dalla violenza e dalla corruzione. PP 60.1
Risultò evidente che la sentenza di morte, pronunciata sull’umanità decaduta per la trasgressione della legge di Dio, era stato un atto di giustizia e di misericordia. Più l’uomo viveva a contatto con il male, maggiore risultava la sua degradazione. Il decreto con il quale Dio abbreviava la vita dell’uomo, ormai esposta a una corruzione priva di freni, avrebbe liberato il mondo dall’influsso di quanti, nel loro atteggiamento di ribellione, erano ormai diventati insensibili a ogni richiamo morale: esso costituiva dunque una benedizione e non una maledizione. PP 60.2
Satana è sempre all’opera. Agisce con forza, assume mille forme diverse, per screditare il carattere e l’opera di Dio. Organizza progetti importanti e realizza imprese straordinarie per indurre gli uomini ad accettare i suoi inganni. Dio, l’unico Essere infinito e onnisciente che può prevedere la fine di ogni cosa fin dal principio, intervenendo per arginare il male, perseguiva obiettivi di ampia portata. Il suo intento non era semplicemente quello di soffocare la ribellione ma desiderava mostrarne la vera natura a tutto l’universo. Il suo piano era molto chiaro e tendeva a manifestare la generosità e la giustizia, per rivendicare l’equità e la saggezza che aveva dimostrato nell’affrontare il male. PP 60.3
Gli abitanti dei mondi non corrotti dal male osservarono con grande interesse l’evoluzione degli eventi sulla terra. Videro nella condizione del mondo prima del diluvio le conseguenze dell’adesione agli stessi princìpi ispiratori che Lucifero aveva tentato di affermare in cielo, rifiutando l’autorità del Cristo e della legge di Dio. Negli esseri violenti del mondo antidiluviano riconobbero delle creature soggette al controllo di Satana. I pensieri degli uomini erano completamente ispirati dal male. Cfr. Genesi 6:5. Ogni sentimento, ogni impulso, ogni intimo proposito era contrario ai princìpi divini di integrità, pace e amore. Tutto questo rappresentava in modo efficace la terribile corruzione che Satana si sforzava di diffondere, inducendo le creature di Dio ad abbandonare la sua sacra legge. PP 60.4
Con l’evolversi del terribile conflitto fra il bene e il male, i fatti dimostrarono la validità dei princìpi divini che Satana, e quanti erano caduti vittime del suo inganno, avevano denunciato come menzogne. La giustizia di quegli insegnamenti sarebbe stata infine riconosciuta in tutto il mondo, anche se troppo tardi per salvare quanti si erano ormai ribellati. PP 60.5
L’intero universo sarà sempre più solidale con Dio, all’avvicinarsi della piena realizzazione del piano della salvezza e quindi della definitiva sconfitta del male. Allora risulterà evidente che quanti hanno trascurato di attuare i princìpi divini in realtà si sono schierati dalla parte di Satana, in netta opposizione al Cristo. Quando Satana sarà giudicato e tutti coloro che si sono uniti a lui ne avranno condivisa la sorte, l’intero universo, testimone della sentenza, dichiarerà: “...Giuste e veraci sono le tue vie, o Re delle nazioni”. Apocalisse 15:3. PP 60.6