Giacobbe ed Esaù, i due gemelli di Isacco, avevano un carattere opposto e conducevano una vita molto diversa. Tutto ciò era stato predetto dall’angelo di Dio ancor prima della loro nascita quando, in risposta all’ansiosa preghiera di Rebecca, annunciò che le sarebbero stati concessi due figli. Le rivelò anche il loro destino futuro, dichiarando che entrambi sarebbero diventati i fondatori di potenti nazioni e che il più giovane avrebbe avuto una posizione preminente. PP 146.1
Esaù crebbe ricercando il proprio interesse e occupandosi unicamente del presente; insofferente alle limitazioni, amava la vita libera e selvaggia del cacciatore, che presto diventò una vera e propria scelta di vita. Tuttavia egli era il prediletto del padre che, pur essendo un pastore calmo e pacifico, ammirava il coraggio e la forza del figlio maggiore che senza timore superava montagne e deserti. Tornando a casa, oltre a portargli la selvaggina, egli narrava al padre gli eccitanti resoconti delle sue interessanti avventure. Giacobbe era invece riflessivo, diligente e preciso: pensava più al futuro che al presente; era contento di vivere a casa e di occuparsi del gregge e della coltivazione del terreno. La madre ne apprezzava la tenacia, la parsimonia e l’accortezza; l’affetto profondo e costante, le attenzioni gentili e assidue che Giacobbe le riservava la rallegravano molto più delle appariscenti ma occasionali manifestazioni di gentilezza di Esaù. Per Rebecca, Giacobbe era infatti il figlio più caro. PP 146.2
Le promesse fatte ad Abramo, e in seguito confermate a suo figlio, rappresentavano per Isacco e Rebecca la speranza e il grande obiettivo della loro vita. Esaù e Giacobbe le conoscevano bene; sapevano che il diritto di primogenitura era molto importante, perché esso non solo garantiva l’eredità di una ricchezza materiale ma anche un primato spirituale. Colui che avrebbe ricevuto questo diritto sarebbe stato il sacerdote della famiglia e dalla sua progenie sarebbe sorto il Redentore del mondo. D’altra parte, il diritto di primogenitura implicava degli obblighi; significava infatti dedicare la propria vita al servizio di Dio e ubbidire ai suoi ordini come aveva fatto Abramo; significava tenere in considerazione la volontà del Signore sia per le questioni che riguardavano la vita pubblica sia per i rapporti familiari e in particolare nelle decisioni relative al matrimonio. PP 146.3
Isacco fece conoscere questi privilegi e queste condizioni ai suoi figli e stabilì con chiarezza che Esaù, come figlio maggiore, avrebbe avuto diritto alla primogenitura. Ma Esaù non aveva nessuna dedizione e nessuna attitudine per la vita religiosa e il culto. Gli obblighi legati al diritto di primogenitura gli apparivano come una limitazione indesiderata e insopportabile. La legge di Dio, condizione della realizzazione del patto divino stipulato con Abramo, era considerata da Esaù una vera oppressione. Per lui la felicità consisteva nella forza, nella ricchezza, nei banchetti e nei divertimenti; dedito ai piaceri, egli voleva essere libero di fare ciò che più desiderava. Era orgoglioso della sua libertà incondizionata, della sua vita priva di obblighi e di mete. Rebecca ricordava le parole dell’angelo e studiando con maggiore attenzione del marito il carattere dei due figli si convinse che la promessa dell’eredità divina era diretta a Giacobbe; ripeté a Isacco le parole dell’angelo, ma egli non cambiò idea: amava troppo il figlio maggiore. PP 147.1
Giacobbe era venuto a sapere dalla madre che secondo l’ordine divino il diritto di primogenitura sarebbe stato concesso a lui. Tutto ciò fece sorgere nel giovane un profondo desiderio dei privilegi che questo gli avrebbe conferito. Non desiderava le ricchezze del padre, ma il diritto alla primogenitura spirituale. Entrare in comunione con Dio, come aveva fatto il giusto Abramo, offrire il sacrificio di espiazione per la propria famiglia, essere il progenitore del popolo di Dio e del Messia promesso, ricevere quell’eredità spirituale che scaturiva dalle benedizioni del patto, questi erano i privilegi e gli onori che Giacobbe desiderava ardentemente. La sua mente era sempre rivolta verso il futuro e cercava di afferrarne le promesse che si sarebbero concretizzate. PP 147.2
Aveva ascoltato in silenzio, con grande interesse, tutto ciò che il padre gli aveva raccontato. Fece tesoro anche di quello che aveva imparato dalla madre, tanto che quegli argomenti divennero il costante oggetto dei suoi pensieri, giorno e notte, e l’interesse fondamentale della sua vita. Nonostante egli considerasse le benedizioni eterne superiori a quelle terrene, non aveva ancora conosciuto quel Dio che venerava, tramite un’esperienza diretta; il suo cuore non era stato rinnovato dalla grazia divina. Egli riteneva che le promesse che lo riguardavano non si sarebbero adempiute finché Esaù avrebbe rivendicato il diritto alla primogenitura; pensava continuamente al modo con cui avrebbe potuto assicurarsi ciò che suo fratello considerava con leggerezza e che per lui era così importante. PP 147.3
Un giorno Esaù, tornando dalla caccia debole e affaticato, vedendo che Giacobbe stava preparando del cibo, gliene chiese una porzione. Giacobbe, che aveva in mente sempre lo stesso pensiero, ne approfittò per proporgli quel cibo come condizione di scambio per ottenere il diritto di primogenitura. “...Ecco, io sto per morire” gridò il cacciatore sconsiderato ed egoista, “che mi giova la primogenitura?” Genesi 25:32. Così per un piatto di minestra egli rinunciò al suo diritto e confermò questa sua scelta con un giuramento. Se avesse aspettato avrebbe potuto avere del cibo nelle tende di suo padre, ma barattò con leggerezza quell’eredità gloriosa, che Dio stesso aveva promesso al padre, semplicemente per soddisfare un desiderio momentaneo. Tutti i suoi interessi erano rivolti al presente; era pronto a sacrificare ciò che era spirituale per un interesse materiale e a ricevere in cambio di un beneficio futuro un piacere temporaneo. PP 147.4
“...Così Esaù sprezzò la primogenitura” (Genesi 25:34) e si sentì sollevato; non vi era più nessun ostacolo davanti a lui, poteva agire come voleva. La possibilità di un godimento privo di freni, la speranza di una libertà solo presunta, conduce ancora oggi molte persone a cedere il loro diritto a un’eredità autentica ed eterna, nei cieli! PP 148.1
Affascinato dalla semplice apparenza e dalle attrattive materiali, Esaù scelse fra gli ittei, che adoravano false divinità, due mogli la cui fede pagana addolorò profondamente Isacco e Rebecca. Esaù aveva violato una delle condizioni del patto, che proibiva i matrimoni tra il popolo eletto e i pagani; nonostante ciò, Isacco era ancora deciso a concedergli il diritto alla primogenitura. I ragionamenti di Rebecca, l’intenso desiderio di Giacobbe di essere benedetto e l’indifferenza di Esaù, non furono sufficienti per modificare la decisione del padre. PP 148.2
Gli anni passarono finché Isacco, ormai vecchio e cieco, prossimo alla morte, decise di non rimandare ulteriormente il conferimento della benedizione al figlio maggiore. Conoscendo l’opposizione di Rebecca e di Giacobbe, decise di realizzare la solenne cerimonia in segreto. Secondo l’usanza del tempo in simili occasioni si faceva una festa. Il patriarca diede infatti quest’ordine a Esaù: “...Vattene fuori ai campi, prendimi un po’ di caccia, e preparami una pietanza saporita... perch’io la mangi e l’anima mia ti benedica prima ch’io muoia”. Genesi 27:4. PP 148.3
Rebecca presagì i propositi del marito. Era sicura che essi erano contrari alla volontà che Dio aveva rivelato: Isacco rischiava di provocare il dispiacere divino e di privare il figlio minore della posizione alla quale Dio lo aveva chiamato. Ella aveva tentato invano di convincere Isacco e ora era decisa a ricorrere a uno stratagemma. PP 148.4
Appena Esaù si allontanò per andare a caccia, Rebecca pensò alla realizzazione del suo piano. Raccontò a Giacobbe ciò che era successo, insistendo sulla necessità di un’azione immediata per evitare che il fratello ricevesse la benedizione, con un atto che sarebbe stato decisivo e irrevocabile; quindi lo convinse a seguire le sue direttive per ottenere ciò che Dio aveva promesso. PP 148.5
Giacobbe non accettò subito il piano che la madre gli aveva proposto. L’idea di ingannare suo padre provocò in lui una profonda angoscia; intuiva che un tale peccato sarebbe stato fonte di maledizioni anziché di benedizioni, ma una volta superati questi scrupoli egli iniziò a mettere in atto il progetto di sua madre. Non era sua intenzione mentire esplicitamente, ma una volta giunto davanti al padre gli sembrò di essere andato troppo in là per ritirarsi e così ottenne con la frode l’ambita benedizione. PP 149.1
Giacobbe e Rebecca riuscirono a realizzare i loro piani, ma questo inganno portò loro solo difficoltà e tristezza. Dio aveva dichiarato che Giacobbe avrebbe ricevuto il diritto alla primogenitura; la sua parola si sarebbe adempiuta al momento opportuno, se essi avessero agito con fede, affidandogli la possibilità di operare in loro favore. Ma come molti, che oggi si professano figli di Dio, non vollero lasciare spazio al Signore. Rebecca si pentì amaramente del consiglio sbagliato che aveva dato a suo figlio; proprio per questo fu costretto a partire senza che ella lo potesse più rivedere. Dal momento in cui ricevette il diritto alla primogenitura, Giacobbe fu perseguitato da una condanna provocata da lui stesso. Aveva peccato contro suo padre, contro suo fratello, contro se stesso e contro Dio. L’errore commesso in quel momento avrebbe richiesto il pentimento per tutta una vita. Ancora molti anni dopo, quando i suoi figli lo addoloravano con la loro cattiveria, egli aveva sempre presente questa scena. PP 149.2
Giacobbe uscì dalla tenda del padre poco prima che il fratello vi entrasse. Nonostante Esaù gli avesse venduto il diritto alla primogenitura, confermando la sua rinuncia con un solenne giuramento, era deciso a non rinunciare alle benedizioni senza preoccuparsi di ciò che avrebbe detto il fratello. Esaù avrebbe ottenuto così il primato nella famiglia e una parte doppia delle ricchezze di suo padre, perché il diritto di primogenitura spirituale implicava anche dei privilegi di carattere materiale. Tutte queste benedizioni lo interessavano e per questo disse: “...Levisi mio padre, e mangi della caccia del suo figliuolo, affinché l’anima tua mi benedica”. Genesi 27:31. PP 149.3
Tremando per lo stupore e l’angoscia il vecchio padre, ormai cieco, si rese conto dell’inganno in cui era caduto. Le speranze, a lungo accarezzate, erano state infrante ed egli avvertì la profonda delusione del figlio maggiore. Tuttavia in lui balenò la convinzione che era stata la provvidenza divina a impedire la realizzazione del suo obiettivo e a concretizzare ciò che egli aveva cercato di impedire. Si ricordò delle parole pronunciate dall’angelo a Rebecca e, nonostante il peccato di cui si era reso colpevole, Giacobbe capì di essere più adatto di Esaù a realizzare il piano di Dio. Quando poco prima aveva pronunciato le parole della benedizione, aveva avvertito che lo Spirito di Dio lo aveva ispirato; ora, pur conoscendo tutte le circostanze, confermò la benedizione data involontariamente a Giacobbe: “...L’ho benedetto; e benedetto ei sarà”. Genesi 27:33. PP 149.4
Esaù aveva considerato tutto questo con leggerezza, perché pensava fosse alla sua portata: ora che non poteva più ottenerlo, ne provava un desiderio intenso. La sua natura impulsiva e passionale si scatenò in tutta la sua forza, la sua angoscia e la sua collera furono terribili. Gridando con amarezza disse: “...Benedici anche me, padre mio!... Non hai tu riserbato qualche benedizione per me?” Genesi 27:34, 36. Ma la benedizione non poteva essere revocata. Il diritto di primogenitura che aveva barattato così banalmente, non poteva essere riacquistato. “Per una sola pietanza”, per la soddisfazione momentanea di un appetito non controllato, Esaù aveva venduto la sua primogenitura: ora che si era reso conto della sua follia, era troppo tardi; “...anche quando più tardi volle eredare la benedizione fu respinto, perché non trovò luogo a pentimento, sebbene la richiedesse con lagrime”. Ebrei 12:16, 17. Esaù, pur non avendo alcuna possibilità di riacquistare i suoi diritti, poteva almeno ottenere il favore divino attraverso il pentimento. La sua angoscia non era però determinata dalla convinzione del peccato commesso — egli infatti non ricercava la riconciliazione con Dio — ma dalle conseguenze del suo peccato. PP 150.1
Per la sua indifferenza nei confronti delle benedizioni e delle richieste divine, Esaù è presentato nelle Scritture come una persona superficiale e rappresenta coloro che considerano con leggerezza la liberazione conquistata per loro dal Cristo e che sono pronti a sacrificare la loro eredità eterna per ciò che il mondo offre temporaneamente. Moltissimi vivono in funzione del presente, senza occuparsi affatto del futuro. Come Esaù, essi gridano: “...Mangiamo e beviamo, perché domani morremo”. 1 Corinzi 15:32. Sono dominati dalle passioni e preferiscono rinunciare a grandi benedizioni piuttosto che esercitare uno spirito di sacrificio. Davanti alla scelta fra il piacere procurato dal soddisfacimento di una passione e le benedizioni promesse a coloro che rispettano Dio e manifestano spirito di dedizione, prevale la ricerca delle passioni e Dio e il suo regno vengono disprezzati. Quanti, perfino fra coloro che si professano cristiani, soddisfano piaceri che minano la loro salute e indeboliscono le loro facoltà spirituali! Quanti provano risentimento, quando viene loro richiesto di eliminare l’autocompiacimento, sia sul piano materiale sia su quello spirituale, allo scopo di perfezionare il loro carattere tramite il rispetto di Dio! Essi sono consapevoli del fatto che non possono soddisfare le loro passioni e, nello stesso tempo, assicurarsi il cielo. Arrivano quindi alla conclusione che, dal momento che la via per raggiungere la vita eterna è così restrittiva, è meglio rinunciarvi. PP 150.2
Moltissimi vendono la loro “primogenitura” per indulgere nei piaceri sensuali; la salute viene sacrificata, le facoltà mentali si indeboliscono e la vita spirituale viene abbandonata; tutto questo per un’effimera soddisfazione temporanea, che debilita e abbrutisce. Come Esaù si rese conto troppo tardi di ciò che aveva perso con il suo folle scambio, così avverrà nel giorno del Signore a coloro che hanno barattato la loro eredità nei cieli in nome della gratificazione del proprio orgoglio. PP 151.1