Ogni istituzione fondata dagli Avventisti del 7° Giorno è destinata a rappresentare per il mondo ciò che Giuseppe fu per l’Egitto e quello che Daniele e i suoi compagni furono per Babilonia. Dio, nella sua provvidenza, permise che questi suoi eletti fossero fatti prigionieri per recare alle nazioni quella benedizione che giunge all’umanità tramite la conoscenza dell’Eterno. Essi dovevano rappresentare Jéhovah e non dovevano mai addivenire a compromessi con gli idolatri. Dovevano, all’opposto, portare come particolare titolo di onore la loro fede religiosa e il loro nome di adoratori dell’Iddio vivente. TT2 314.1
Questo essi fecero, sia nell’avversità che nella prosperità, onorando Dio che, a sua volta, li onorò. TT2 314.2
Chiamato fuori della prigione dove serviva i carcerati, vittima della ingratitudine e della malvagità, Giuseppe si dimostrò fedele al suo impegno con l’Iddio del cielo, e tutto l’Egitto rimase attonito di fronte alla saggezza di quest’uomo guidato da Dio. Faraone “lo costituì signore della sua casa e governatore di tutti i suoi beni, per incatenare i principi a suo talento e insegnare ai suoi anziani la sapienza”. Salmi 105:21, 22. Dio, per mezzo di Giuseppe, si manifestò non solo al popolo dell’Egitto ma anche a tutte le nazioni che erano in relazione con quel potente regno. L’Eterno intendeva fare di Giuseppe un portatore di luce a tutti i popoli e fu per questo che Egli lo pose vicino al trono del più grande impero della terra, affinché la luce celeste potesse diffondersi vicino e lontano. Con la sua saggezza e con la sua giustizia, con la purezza e la benevolenza della sua vita di tutti i giorni, con la sua dedizione agli interessi del popolo, sebbene si trattasse di una nazione idolatra, Giuseppe fu un rappresentante di Cristo. Nel benefattore al quale tutto l’Egitto si rivolgeva con riconoscenza e con lode, questo popolo pagano, e tramite lui tutte le nazioni con le quali intratteneva dei rapporti, dovevano contemplare l’amore del Creatore e Redentore. TT2 314.3
Allo stesso modo, per mezzo di Daniele Dio mise una luce accanto al trono del maggior regno del mondo, perché tutti coloro che lo volevano potessero conoscere l’Iddio vivente e vero. Alla corte babilonese c’erano i rappresentanti di tutti i paesi: uomini di talento, doviziosamente dotati di qualità naturali e in possesso della più alta cultura che il mondo potesse offrire. Eppure, anche in mezzo a loro, i giovani israeliti risultarono impareggiabili. Quanto poi all’energia e alla bellezza fisica, al vigore dell’intelletto, alla conoscenza nel campo letterario, alla forza spirituale e alla capacità di osservazione, essi non avevano rivali. “Su tutti i punti che richiedevano sapienza e intelletto, e sui quali il re li interrogasse, il re li trovava dieci volte superiori a tutti i magi e gli astrologi che erano nel suo regno”. Daniele 1:20. Fedele ai suoi doveri verso la corte del re, Daniele era anche fedele nei suoi rapporti con Dio, affinché l’Eterno potesse onorarlo come suo araldo presso il monarca babilonese. Per suo mezzo furono svelati i misteri dell’avvenire tanto che lo stesso Nebucadnetsar fu costretto a riconoscere l’Iddio di Daniele come “il Dio degli dèi, il sovrano dei re, il rivelatore dei segreti”. Daniele 2:47. TT2 314.4
Nella medesima maniera le istituzioni create oggi dal popolo di Dio devono glorificare il suo nome. L’unico modo di soddisfare le sue aspettative consiste nell’essere dei fedeli rappresentanti della verità per questo tempo. Dio deve essere riconosciuto nelle istituzioni fondate dagli Avventisti del 7° Giorno. Per mezzo di esse deve essere presentata al mondo con convincente potenza la verità per la nostra epoca. TT2 315.1