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La speranza dell’uomo

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    Capitolo 52: Il buon pastore

    “Io sono il buon pastore; il buon pastore mette la sua vita per le pecore... Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie mi conoscono, come il Padre mi conosce ed io conosco il Padre; e metto la mia vita per le pecore”. Giovanni 10:11, 14, 15.SU 362.1

    Gesù riuscì nuovamente a farsi comprendere dai suoi uditori servendosi di immagini a loro familiari. Egli aveva paragonato l’azione dello Spirito all’acqua fresca e dissetante. Aveva presentato se stesso come la luce, la fonte della vita e della felicità. Ora, con un magnifico quadro pastorale, illustrava le sue relazioni con coloro che credevano in lui e associava per sempre alla sua persona quella scena così familiare. In questo modo i suoi discepoli, ogni volta in cui avrebbero visto dei pastori, si sarebbero ricordati dell’insegnamento del Salvatore. Avrebbero scorto il Cristo in ogni fedele pastore e avrebbero riconosciuto se stessi in ogni gregge bisognoso di aiuto e di guida.SU 362.2

    Già il profeta Isaia aveva applicato quest’immagine alla missione del Messia e aveva usato parole piene di consolazione: “O tu che rechi la buona novella a Sion, sali sopra un alto monte! O tu che rechi la buona novella a Gerusalemme, alza forte la voce! Alzala, non temere! Di’ alle città di Giuda: Ecco il vostro Dio!... Come un pastore, egli pascerà il suo gregge; raccoglierà gli agnelli in braccio, se li torrà in seno”. Isaia 40:9, 11. Davide aveva cantato: “L’Eterno è il mio pastore, nulla mi mancherà”. Salmi 23:1. Lo Spirito Santo aveva dichiarato tramite Ezechiele: “E susciterò sopra d’esse un solo pastore, che le pascolerà... Io cercherò la perduta, ricondurrò la smarrita, fascerò la ferita, fortificherò la malata... E fermerò con esse un patto di pace... E non saranno più preda alle nazioni... se ne staranno al sicuro, senza che nessuno più le spaventi”. Ezechiele 34:23, 16, 25, 28.SU 362.3

    Gesù applicò a se stesso quelle profezie e sottolineò il contrasto tra il suo carattere e quello dei capi d’Israele. I farisei avevano appena allontanato dal gregge un uomo che aveva osato rendere testimonianza alla potenza del Cristo e che il vero Pastore aveva cercato di attirare a sé. Dimostravano così di ignorare l’opera loro affidata e di essere indegni della fiducia riposta in loro come pastori del gregge. Gesù parlò dell’atteggiamento diverso del buon pastore e indicò se stesso come il vero custode del gregge del Signore. Prima ancora di parlare di ciò aveva applicato a se stesso un’immagine diversa.SU 362.4

    Aveva detto: “Chi non entra per la porta nell’ovile delle pecore, ma vi sale da un’altra parte, esso è un ladro e un brigante. Ma colui che entra per la porta è pastore delle pecore”. Giovanni 10:1, 2. I farisei non compresero che quelle parole erano rivolte a loro. Mentre stavano pensando al loro significato, Gesù disse chiaramente: “Io son la porta; se uno entra per me, sarà salvato, ed entrerà ed uscirà, e troverà pastura. Il ladro non viene se non per rubare e ammazzare e distruggere; io son venuto perché abbian la vita e l’abbiano ad esuberanza”. Giovanni 10:9, 10.SU 363.1

    Il Cristo è la porta dell’ovile divino. Per quella porta sono entrati tutti i suoi figli, in tutte le epoche. In Gesù, raffigurato nei tipi e nei simboli, rivelato dai profeti e annunciato negli insegnamenti impartiti ai discepoli e nei miracoli compiuti per gli uomini, essi hanno potuto contemplare “l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo” (Giovanni 1:29), grazie al quale sono entrati nell’ovile della grazia. Molti altri hanno cercato di orientare altrove la fede del mondo, escogitando cerimonie e sistemi attraverso i quali gli uomini potessero ricevere la giustificazione e la pace con Dio ed entrare così a far parte del suo gregge. Ma l’unica porta è il Cristo, e tutti quelli che tentano di sostituirlo ed entrare nell’ovile in un altro modo, sono ladri e briganti.SU 363.2

    I farisei non erano entrati attraverso la porta. Non essendo entrati nell’ovile attraverso il Cristo, non stavano facendo l’opera del vero pastore. I sacerdoti, i capi, gli scribi e i farisei distruggevano i pascoli verdeggianti e inquinavano le sorgenti dell’acqua della vita. La parola profetica descrive con chiarezza quei falsi pastori: “Voi non avete fortificato le pecore deboli, non avete guarito la malata, non avete fasciato quella ch’era ferita, non avete ricondotto la smarrita... ma avete dominato su loro con violenza e con asprezza”. Ezechiele 34:4.SU 363.3

    In tutti i tempi, filosofi e pensatori hanno formulato delle teorie per soddisfare l’animo umano. Ogni popolo pagano ha avuto i suoi grandi maestri e i suoi sistemi religiosi per offrire agli uomini una salvezza diversa da quella del Cristo, per distogliere l’attenzione degli uomini da Dio e per sostituire, nei loro cuori, la fiducia con la paura. Lo scopo di quei sistemi è togliere a Dio ciò che gli appartiene per diritto di creazione e redenzione. Quei falsi maestri impoveriscono gli uomini. Milioni di esseri umani sono oppressi da false religioni, schiavi di un timore servile e di una stolta indifferenza, mentre faticano come bestie da soma prive, nel presente, di speranza, gioia e aspirazioni, e sopraffatte da una vaga inquietudine per il futuro. Solo il Vangelo della grazia di Dio può elevare lo spirito. La contemplazione dell’amore di Dio, manifestato attraverso suo Figlio, riesce più di ogni altra cosa a toccare il cuore e a ridestare le forze spirituali. Gesù è venuto per ristabilire nell’uomo l’immagine di Dio e chiunque distoglie gli uomini da lui, li distoglie dalla fonte del vero sviluppo, li priva della speranza, dello scopo e della gloria della vita, egli è un ladro e un brigante.SU 363.4

    “Colui che entra per la porta è pastore delle pecore”. Gesù è la porta e il pastore. Egli entra passando attraverso se stesso. Tramite il suo sacrificio diventa il pastore del gregge. “A lui apre il portinaio, e le pecore ascoltano la sua voce, ed Egli chiama le proprie pecore per nome e le mena fuori. Quando ha messo fuori tutte le sue pecore, va innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce”. Giovanni 10:3, 4.SU 364.1

    La pecora è uno degli animali più timidi e indifesi e in Oriente il pastore ha una cura instancabile per il suo gregge. Un tempo non si era molto al sicuro fuori dalle mura delle città. Predoni appartenenti a tribù nomadi o bestie feroci nascoste nelle tane fra le rocce stavano sempre in agguato per assalire il gregge. Il pastore vegliava sulle pecore a rischio della propria vita. Giacobbe diceva, parlando del duro lavoro compiuto quando custodiva le greggi di Labano: “Di giorno, mi consumava il caldo; di notte, il gelo; e il sonno fuggiva dagli occhi miei”. Genesi 31:40. Mentre si occupava del gregge del padre, Davide strappò con le sue mani al leone e all’orso l’agnello che gli avevano rubato.SU 364.2

    Il pastore identifica a poco a poco la sua vita con quella delle pecore quando le conduce sulle colline rocciose, nei prati erbosi, lungo i fiumi, attraverso boschi e gole selvagge, e quando le custodisce sui monti durante le notti solitarie, difendendole dai briganti e curando teneramente quella malata e quella debole. Si sente unito da un legame forte e tenero a quegli animali che sono oggetto delle sue cure. Anche se il gregge è numeroso, il pastore conosce tutte le pecore. Ognuna ha il suo nome e risponde al richiamo del pastore.SU 364.3

    Come un pastore terreno conosce le sue pecore, così il divino Pastore conosce il suo gregge sparso in tutto il mondo.“E voi, pecore mie, pecore del mio pascolo, siete uomini, e io sono il vostro Dio, dice l’Eterno”. Ezechiele 34:31. Gesù può dire: “T’ho chiamato per nome; tu sei mio!” (Isaia 43:1); “Io t’ho scolpito sulle palme delle mie mani”. Isaia 49:16.SU 364.4

    Gesù conosce ognuno di noi personalmente e simpatizza con le nostre debolezze. Egli ci conosce per nome. Conosce la casa in cui viviamo e il nome di tutti coloro che vi abitano. A volte ha inviato i suoi discepoli in una determinata città, in una certa strada, in una certa casa per trovare una pecora del suo gregge.SU 364.5

    Gesù conosce ogni anima così bene, come se fosse la sola per la quale è morto. Il dolore per ognuna di loro colpisce il suo cuore e l’invocazione di aiuto perviene alle sue orecchie. Egli è venuto per attirare tutti gli uomini a sé; li invita, mentre il suo Spirito opera nei loro cuori affinché lo seguano. Molti, purtroppo, rifiutano e Gesù li conosce. Ma conosce anche coloro che ascoltano volentieri la sua voce e sono pronti ad affidarsi alla sua cura pastorale. “Le mie pecore ascoltano la mia voce, e io le conosco, ed esse mi seguono”. Giovanni 10:27. Egli si occupa di ognuna di loro, come se fosse l’unica su tutta la faccia della terra.SU 365.1

    “Egli chiama le proprie pecore per nome e le mena fuori... e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce”. Giovanni 10:3, 4. Il pastore in Oriente non sospinge le pecore e non ricorre alla forza o alla paura, ma va avanti e le chiama. Esse conoscono la sua voce e ubbidiscono al suo richiamo. Il buon Pastore agisce nella stessa maniera verso le pecore. Le Scritture affermano: “Tu conducesti il tuo popolo come un gregge, per mano di Mosè e d’Aaronne”. Salmi 77:20. Gesù dichiara tramite i profeti: “Io t’amo d’un amore eterno; perciò ti prolungo la mia bontà”. Geremia 31:3. Non costringe nessuno a seguirlo, ma afferma: “Io li attiravo con corde umane, con legami d’amore”. Osea 11:4.SU 365.2

    Chi segue Gesù non lo fa per paura del castigo o per la speranza della ricompensa eterna. Egli contempla l’amore puro del Salvatore come si è manifestato nella sua vita terrena, dalla mangiatoia di Betlemme sino alla croce del Calvario, e quella visione intenerisce e conquista il cuore. Così nasce l’amore. Ha udito la sua voce e lo segue.SU 365.3

    Come il pastore precede il gregge e affronta per primo i pericoli del cammino, così Gesù si comporta con il suo popolo. “Quando ha messo fuori tutte le sue pecore, va innanzi a loro”. Giovanni 10:4. La via che conduce al cielo è stata consacrata dalle impronte del Salvatore. Il sentiero può essere ripido e difficile, ma Gesù ha già percorso quella strada; i suoi piedi hanno calpestato le spine affinché il cammino fosse più agevole per noi. Egli stesso ha già portato ogni peso che noi siamo chiamati a portare.SU 365.4

    Gesù, sebbene sia asceso al cielo alla presenza di Dio e condivida il trono dell’universo, nutre la stessa compassione che aveva in passato. Anche oggi considera tutte le sventure dell’umanità con la stessa tenerezza e simpatia. Quella mano che è stata trafitta, è aperta per riversare con abbondanza le sue benedizioni sul suo popolo disperso nel mondo. “Non periranno mai, e nessuno le rapirà dalla mia mano”. Giovanni 10:28. Gesù considera chi si affida a lui più prezioso del mondo intero. Il Salvatore sarebbe disposto, per salvare un uomo e introdurlo nel suo regno, a passare di nuovo attraverso l’agonia del Calvario. Non abbandonerà mai nessuno per il quale è morto. Finché i suoi discepoli non decidono di lasciarlo, Egli li sostiene.SU 365.5

    In tutte le prove abbiamo un Salvatore il cui aiuto non verrà mai meno. Egli non ci lascia soli nella lotta contro la tentazione, nella battaglia contro il male e non permette che siamo schiacciati dalle preoccupazioni e dai dolori. Sebbene gli occhi terreni non possano vederlo, l’orecchio della fede può udirlo, mentre ci incoraggia a non avere paura perché Egli è con noi. “Io sono... il Vivente; e fui morto, ma ecco son vivente per i secoli dei secoli”. Apocalisse 1:18. Io ho provato i vostri dolori, ho affrontato le vostre lotte e le vostre tentazioni. Conosco le vostre lacrime, perché anch’io ho pianto. Conosco i tormenti interiori che non si possono raccontare a nessuno. Non abbattetevi al pensiero della solitudine. Sebbene nessuno sulla terra possa comprendere il vostro dolore, pensate a me e vivrete. “Quand’anche i monti s’allontanassero e i colli fossero rimossi, l’amor mio non s’allontanerà da te, né il mio patto di pace sarà rimosso, dice l’Eterno, che ha pietà di te”. Isaia 54:10.SU 366.1

    Per quanto un pastore ami il suo gregge, prova però un amore più grande per i suoi figli e le sue figlie. Gesù non è soltanto il nostro pastore, ma è anche il nostro “Padre eterno”. Egli dice: “Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie mi conoscono, come il Padre mi conosce ed io conosco il Padre”. Quale consolante dichiarazione! La comunione che esiste fra lui — il Figlio unico, che è una cosa sola con il Padre, colui che Dio ha chiamato “l’uomo che mi è compagno” (Zaccaria 13:7) — e il Dio eterno, è considerata come un’immagine della comunione fra il Cristo e i suoi figli sulla terra.SU 366.2

    Gesù ci ama perché noi siamo il dono di suo Padre e la ricompensa della sua opera. Egli ci ama come figli. Lettore, lui ti ama. Il cielo intero non può accordare niente di più grande, niente di più bello. Perciò abbi fiducia.SU 366.3

    Gesù pensa a tutti gli uomini che sulla terra sono stati sviati dai falsi pastori. Riferendosi a coloro che vorrebbe raccogliere nel suo ovile e che sono dispersi fra i lupi, Egli dice: “Ho anche delle altre pecore, che non son di quest’ovile; anche quelle io devo raccogliere, ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore... Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita, per ripigliarla poi”. Giovanni 10:16, 17.SU 366.4

    Con queste parole Gesù voleva dire che il Padre ha tanto amato gli uomini e ama ancora di più suo Figlio che ha dato la sua vita per la loro redenzione. Diventando il loro sostituto e il loro garante, rinunciando alla sua vita, prendendo su di sé le loro debolezze e le loro trasgressioni, Egli è diventato più caro allo stesso Padre.SU 367.1

    “Io depongo la mia vita, per ripigliarla poi. Nessuno me la toglie, ma la depongo da me. Io ho potestà di deporla e ho potestà di ripigliarla”. Giovanni 10:17, 18. Gesù, come membro della famiglia umana, era mortale; ma come Dio, era fonte di vita per tutto il mondo. Egli sarebbe potuto sfuggire alla morte e rifiutarsi di sottoporsi al suo dominio, ma volontariamente rinunciò alla propria vita per offrire l’immortalità. Egli portò il peccato del mondo, ne accettò la maledizione, rinunciò alla vita, affinché gli uomini non subissero la morte eterna. “E, nondimeno, eran le nostre malattie ch’egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui s’era caricato... egli è stato trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, fiaccato a motivo delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiam pace, è stato su lui, per le sue lividure noi abbiamo avuto guarigione. Noi tutti eravamo erranti come pecore, ognuno di noi seguiva la sua propria via; e l’Eterno ha fatto cader su lui l’iniquità di noi tutti”. Isaia 53:4-6.SU 367.2

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