Capitolo 26: Dal mar Rosso al Sinai
Dalle rive del mar Rosso, disseminate dei cadaveri dei nemici, il popolo d’Israele riprese il viaggio, guidato dalla nuvola. Nonostante il paesaggio desolato, le montagne brulle e le pianure aride, gli israeliti erano felici: sapevano di essere ormai liberi. Ogni contestazione era cessata.PP 240.1
Viaggiarono per tre giorni senza riuscire a trovare dell’acqua. Le loro provviste si erano esaurite. Stavano attraversando una pianura assolata, in cui non c’era nessuna sorgente: erano esausti. Niente poteva alleviare la loro sete ardente. Mosè, che a differenza degli altri conosceva bene quella regione, sapeva che l’acqua della sorgente più vicina, quella di Mara, non era potabile. Egli osservava con crescente ansietà la nuvola che continuava ad avanzare davanti agli israeliti. Il cuore gli mancò quando sentì il popolo gridare con gioia: “Acqua! Acqua!” Uomini, donne e bambini si affrettarono a raggiungere la sorgente, ma subito la loro gioia si trasformò in un grido di disperazione: l’acqua era amara.PP 240.2
Nella loro delusione, avevano già dimenticato che era stata la nuvola misteriosa, segno della presenza divina, a guidarli proprio in quel luogo. Rimproverarono Mosè per averli condotti fin lì. Addolorato e preoccupato, fece ciò che essi avevano dimenticato di fare: invocò con tutto se stesso l’aiuto divino. “...E l’Eterno gli mostrò un legno ch’egli gettò nelle acque, e le acque divennero dolci...”. Esodo 15:25.PP 240.3
Tramite Mosè, Israele ricevette questa promessa: “Se ascolti attentamente la voce dell’Eterno, ch’è il tuo Dio, e fai ciò ch’è giusto ai suoi occhi e porgi orecchio ai suoi comandamenti e osservi tutte le sue leggi, io non ti manderò addosso alcuna delle malattie che ho mandate addosso agli Egiziani, perché io sono l’Eterno che ti guarisco”. Esodo 15:26.PP 240.4
Dall’oasi di Mara, il popolo raggiunse Elim, dove trovò “dodici sorgenti d’acqua e settanta palme”. Gli israeliti vi rimasero per alcuni giorni, prima di affrontare il deserto del Sinai. Un mese dopo aver lasciato l’Egitto si fermarono, accampandosi per la prima volta nel deserto. Le scorte stavano per finire e la vegetazione era insufficiente a sfamare le loro greggi, che stavano assottigliandosi. Di che cosa si sarebbero nutriti? Il dubbio li assalì ancora e i mormorii ricominciarono. Questa volta, però, le contestazioni del popolo erano condivise anche dai capi e dagli anziani, che criticarono apertamente le guide che Dio aveva scelto. “...Oh, fossimo pur morti per mano dell’Eterno nel paese d’Egitto” dicevano “quando sedevamo presso le pignatte della carne e mangiavamo del pane a sazietà! Poiché voi ci avete menati in questo deserto per far morir di fame tutta questa raunanza”. Esodo 16:3.PP 240.5
Avevano sempre avuto cibo a sufficienza, disponevano ancora di scorte, ma temevano per il futuro. Non riuscivano a comprendere come quella folla avrebbe potuto sopravvivere durante il viaggio attraverso il deserto: vedevano già i loro figli morire di fame. Il Signore permetteva che sorgessero delle difficoltà e che le scorte di cibo scarseggiassero, per disporli a rivolgersi a colui che poco tempo prima era stato il loro Liberatore. Se lo avessero pregato, nel momento della necessità, Egli avrebbe manifestato il suo amore e la sua premura per loro. In cambio della loro ubbidienza, il Signore aveva garantito che nessuna malattia li avrebbe colpiti. Nonostante queste promesse, al pensiero che i loro figli potessero morire di fame, essi peccarono di scetticismo.PP 241.1
Il Signore aveva scelto di essere il loro Dio: Israele sarebbe stato il suo popolo ed Egli li avrebbe condotti in un paese grande e fertile. Ma gli ebrei si scoraggiavano troppo facilmente di fronte agli ostacoli che incontravano nel loro viaggio. Il Signore li aveva liberati dalla schiavitù d’Egitto in modo miracoloso; Egli voleva nobilitarli, educandoli in modo che potessero raggiungere un tale livello morale da riempire di ammirazione le altre nazioni. Per raggiungere questo obbiettivo era necessario affrontare difficoltà e sopportare privazioni. Dio avrebbe reso quel popolo di schiavi degno di occupare un posto d’onore fra le nazioni e apprendere verità sacre e importanti. Se gli ebrei avessero avuto fiducia in colui che era intervenuto in loro favore, avrebbero sopportato con coraggio qualsiasi prova. Invece, benché fossero stati più volte testimoni di chiare manifestazioni della potenza divina, essi non erano disposti a fidarsi del Signore. Dimenticarono l’amara esperienza che avevano vissuto in Egitto, la bontà e la potenza che Dio aveva dimostrato nel liberarli dalla schiavitù. Dimenticarono che il Signore aveva salvato la vita dei loro figli, quando l’angelo sterminatore aveva ucciso tutti i primogeniti d’Egitto. Dimenticarono lo straordinario miracolo del passaggio del mar Rosso, quando avevano percorso sani e salvi la strada che si era aperta davanti a loro mentre l’esercito nemico, lanciatosi all’inseguimento, era stato travolto dalle acque del mare. Riuscivano a percepire soltanto le difficoltà, e invece di dire: “Dio ha fatto grandi cose per noi che eravamo degli schiavi, facendoci diventare una grande nazione” parlavano delle difficoltà del viaggio e si chiedevano quando si sarebbe concluso quel fastidioso pellegrinaggio. Le vicende di Israele, nel suo cammino lungo il deserto, sono state tramandate come insegnamento per i credenti che vivranno negli ultimi tempi della storia umana. Le esperienze che gli ebrei vissero con Dio nei quarant’anni del loro peregrinare, tra sofferenze, sete, fame e stanchezza, costituiscono un importante patrimonio di avvertimenti e consigli per i credenti di tutte le epoche. Nel racconto di queste vicende, infatti, si inseriscono puntualmente, i potenti interventi con cui Dio ha sempre sostenuto il suo popolo. Il percorso degli ebrei attraverso il deserto li preparò in vista del loro ingresso nella terra promessa, in Canaan. Dio vuole che il suo popolo, negli ultimi tempi, rifletta con umiltà sulle prove affrontate dagli israeliti, per imparare a prepararsi per entrare nella Canaan celeste.PP 241.2
Molti si stupiscono dello scetticismo e delle contestazioni degli israeliti, e pensano che al loro posto non sarebbero stati così ingrati. Tuttavia, quando la loro fede viene messa alla prova, spesso sono sufficienti piccole difficoltà per dimostrare che la loro pazienza e la loro fedeltà non sono superiori a quelle degli antichi israeliti. Quando attraversano momenti difficili, si lamentano delle occasioni che Dio ha scelto per eliminare in loro certi difetti. Benché il Signore provveda alle loro necessità quotidiane, nel progettare il futuro molti non sono disposti ad avere fede in lui: sono costantemente in ansia perché temono la povertà e pensano che i loro figli potrebbero essere esposti alle privazioni.PP 242.1
Con la loro immaginazione, alcuni anticipano sempre ciò che potrebbe accadere di negativo, e così i loro problemi aumentano. A causa del loro atteggiamento, non riescono a cogliere i benefici di cui dovrebbero essere grati. Gli ostacoli che incontrano, invece di spingerli a ricercare l’aiuto di Dio unica fonte di forza, li inducono a separarsi da lui perché risvegliano in loro inquietudini e recriminazioni.PP 242.2
Perché essere così scettici, ingrati e diffidenti? Gesù è nostro amico: ogni creatura del cielo desidera il nostro bene. Le nostre ansietà e i nostri timori rattristano lo Spirito Santo. Dobbiamo stare attenti a non farci assorbire da quelle preoccupazioni che, oltre ad affliggerci e a logorarci, non ci aiutano a sopportare le prove. Non dovremmo mai dubitare dell’aiuto divino: la felicità non consiste nel raggiungere obbiettivi materiali ed è negativo mettere al centro della nostra vita la previsione delle necessità future. Dio non desidera che i suoi figli siano vittime dall’ansia. Certo, il Signore non ha dichiarato che sul nostro cammino non incontreremo mai ostacoli. Egli, non ci sottrae a un mondo in cui regnano il peccato e il male, ma ci indica un rifugio sicuro, invitando coloro che sono stanchi e oppressi con queste parole: “Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e io vi darò riposo. Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me, perch’io son mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre”. Matteo 11:28, 29. Possiamo trovare riposo e pace in Dio, confidandogli tutte le nostre preoccupazioni, perché Egli ha cura di noi. 1 Pietro 5:7.PP 242.3
L’apostolo Paolo dice: “Guardate, fratelli, che talora non si trovi in alcuno di voi un malvagio cuore incredulo, che vi porti a ritrarvi dall’Iddio vivente”. Ebrei 3:12. Se riflettessimo su tutto ciò che Dio ha fatto per noi, la nostra fede si rafforzerebbe, diventando uno stimolo costante all’azione. Invece di protestare e lamentarci, dovremmo dire con grande sincerità: “Benedici, anima mia, l’Eterno; e tutto quello ch’è in me, benedica il nome suo santo. Benedici anima mia, l’Eterno, e non dimenticare alcuno dei suoi benefici”. Salmi 103:1, 2.PP 243.1
Dio non aveva dimenticato le esigenze d’Israele e disse ai capi del popolo: “Io farò piovere del pane dal cielo”. Furono date disposizioni affinché tutti ne raccogliessero giornalmente una razione: il sesto giorno, per poter osservare il sabato, la porzione sarebbe stata doppia.PP 243.2
Allora Mosè parlò agli israeliti, annunciando che le loro necessità sarebbero state soddisfatte: “...Vedrete la gloria dell’Eterno quando stasera Egli vi darà della carne da mangiare e domattina del pane a sazietà”. E aggiunse: “...Quanto a noi, che cosa siamo? Le vostre mormorazioni non sono contro di noi, ma contro l’Eterno”. Poi Aronne disse: “...Avvicinatevi alla presenza dell’Eterno, perch’Egli ha udito le vostre mormorazioni”. Esodo 16:8, 9. Mentre Aronne parlava ancora gli ebrei “...volsero gli occhi verso il deserto; ed ecco che la gloria dell’Eterno apparve nella nuvola”. Esodo 16:10. La presenza divina si rivelava in una grande luce, proveniente dalla nuvola.PP 243.3
Il Signore si mostrava tramite manifestazioni che facevano diretto appello ai sensi, perché gli israeliti comprendessero che la loro guida non era un semplice uomo come Mosè, ma Dio stesso. Questa consapevolezza li avrebbe spinti a rispettare l’Eterno e ubbidire ai suoi ordini.PP 243.4
All’imbrunire l’accampamento fu invaso da uno stormo così grande di quaglie, da fornire cibo sufficiente per le necessità di ogni famiglia. Il mattino dopo, sul terreno circostante, vi era “...una cosa minuta, tonda, minuta come brina sulla terra” bianca, simile ai semi di coriandolo: il popolo la chiamò “manna”. Mosè disse: “...Questo è il pane che l’Eterno vi dà a mangiare”. Esodo 16:14, 15.PP 243.5
Il popolo la raccolse: quel cibo era sufficiente per tutti; “...poi la riduceva in farina con le macine o la pestava nel mortaio, la faceva cuocere in pentole e ne faceva delle focacce...”. Numeri 11:8. “...E aveva il gusto di schiacciata fatta col miele”. Esodo 16:31. Fu ordinato di raccoglierne un omer — circa quattro litri — per persona, e non oltre, in modo che il giorno dopo non ne avanzasse. Alcuni tentarono comunque di conservarne una certa quantità, ma l’indomani andò a male. La razione della giornata doveva essere raccolta di mattina, perché tutto ciò che rimaneva sul terreno si scioglieva al sole.PP 243.6
Quando il popolo raccolse la manna, fu evidente che alcuni ne avevano preso una quantità maggiore o minore rispetto a quella fissata; ma quando “la misurarono con l’omer a chi ne aveva raccolto molto non n’ebbe di soverchio; e chi ne aveva raccolto poco non n’ebbe penuria...”. Esodo 16:18. L’apostolo Paolo, nella sua seconda lettera ai Corinzi dà una spiegazione di questo passo, traendone una lezione di carattere pratico; egli dice: “Poiché questo non si fa per recar sollievo ad altri ed aggravio a voi, ma per principio di uguaglianza; nelle attuali circostanze, la vostra abbondanza serve a supplire al loro bisogno, onde la loro abbondanza supplisca altresì al bisogno vostro, affinché ci sia uguaglianza, secondo che è scritto: Chi avea raccolto molto non n’ebbe di soverchio, e chi avea raccolto poco, non n’ebbe mancanza”. 2 Corinzi 8:13-15.PP 244.1
Il sesto giorno il popolo ne raccolse due omer per persona. I capi si affrettarono a informare Mosè di come si erano organizzati ed egli rispose: “...Questo è quello che ha detto l’Eterno: Domani è un giorno solenne di riposo: un sabato sacro all’Eterno; fate cuocere oggi quel che avete da cuocere e fate bollire quel che avete da bollire; e tutto quel che vi avanza, riponetelo e serbatelo fino a domani”. Esodo 16:23. Fecero così e si resero conto che il cibo non si deteriorava. “E Mosè disse: Mangiatelo oggi, perché oggi è il sabato sacro all’Eterno; oggi non ne troverete per i campi. Raccoglietene durante sei giorni; ma il settimo giorno è il sabato; in quel giorno non ve ne sarà”. Esodo 16:25, 26.PP 244.2
Come al tempo dell’antico Israele, anche oggi Dio desidera che il sabato sia osservato come giorno sacro. Tutti i cristiani devono considerare questo comandamento dato agli ebrei come un ordine che Dio rivolge anche a loro. Il venerdì deve rappresentare un giorno di preparazione in vista del riposo del sabato: tutto dovrebbe essere pronto per quelle ore sacre, in cui è assolutamente necessario abbandonare ogni preoccupazione.PP 244.3
Dio ha destinato questo giorno alla cura dei malati e di chi soffre. Lavorare perché esso possa costituire realmente un riposo è un’opera di bontà e non una violazione di quel comandamento. Tuttavia, deve essere evitato ogni lavoro superfluo durante questo giorno santo. Molti sono negligenti, e rimandano all’inizio del sabato quelle piccole cose che avrebbero potuto fare durante il venerdì. Ma questo non dovrebbe accadere: tutto ciò che non è possibile fare prima dell’inizio del sabato dovrebbe essere dimenticato, almeno per quel giorno. Questa abitudine aiuterebbe coloro che spesso sono distratti ad assolvere le loro incombenze nei sei giorni lavorativi.PP 244.4
Durante le lunghe settimane trascorse nel deserto, gli israeliti furono testimoni di un triplice miracolo, che doveva imprimere nelle loro menti la sacralità del sabato: al mattino del sesto giorno ricevevano una quantità doppia di manna; il settimo, quel cibo non scendeva dal cielo e la porzione necessaria per quel giorno si conservava dolce e intatta, diversamente da quanto avveniva durante il resto della settimana.PP 245.1
L’esperienza della manna dimostra inequivocabilmente che il sabato non fu istituito, come molti sostengono, quando la legge fu promulgata al Sinai: infatti, gli israeliti lo osservavano già da molto tempo. L’obbligo di raccogliere ogni venerdì una porzione doppia di cibo, in vista del sabato, indicava in modo evidente la sacralità del giorno di riposo. Quando alcuni ebrei tentarono di raccoglierla durante il sabato, il Signore rivolse loro questo rimprovero: “...Fino a quando rifiuterete d’osservare i miei comandamenti e le mie leggi?” Esodo 16:28.PP 245.2
“E i figliuoli d’Israele mangiarono la manna per quarant’anni, finché arrivarono al paese abitato; mangiarono la manna finché giunsero ai confini del paese di Canaan”. Esodo 16:35. Quel miracolo, segno della cura e dell’amore di Dio, si ripeté sotto gli occhi degli israeliti per ben quarant’anni. Dio, come dice il salmista “...dette loro del frumento del cielo. L’uomo mangiò del pane dei potenti...”. Salmi 78:24, 25. Sostenuti dal “frumento del cielo”, essi impararono, giorno per giorno, che la promessa dell’aiuto divino li avrebbe sempre sostenuti come se fossero stati circondati dalle fertili pianure di Canaan, ricche di grano.PP 245.3
La manna che cadeva dal cielo per assicurare la sopravvivenza d’Israele era un simbolo del Cristo, che Dio avrebbe inviato sulla terra per offrire la vita all’umanità. Gesù disse: “Io sono il pan della vita. I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono. Questo è il pane che discende dal cielo... Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che darò è la mia carne, che darò per la vita del mondo”. Giovanni 6:48-51. Tra le benedizioni promesse al popolo di Dio nell’eternità, la Bibbia rivela: “...A chi vince io darò della manna nascosta”. Apocalisse 2:17.PP 245.4
Dopo aver lasciato il deserto di Sin, gli israeliti si accamparono a Rephidim. Non vi erano sorgenti d’acqua, e ancora una volta il popolo dubitò dell’aiuto divino. Nella loro cecità e presunzione, gli ebrei si recarono da Mosè con questa richiesta: “...Dateci dell’acqua da bere”. Egli riuscì a conservare la calma e disse: “...Perché contendete con me? Perché tentate l’Eterno?” Infuriati, gli ebrei risposero: “...Perché ci hai fatti salire dall’Egitto per farci morire di sete noi, i nostri figliuoli e il nostro bestiame?” Esodo 17:2, 3. Nel momento in cui era stato loro provveduto il cibo, essi avevano ricordato con vergogna il loro scetticismo e le loro proteste e si erano ripromessi, per il futuro, di avere fiducia in Dio. Ma subito dopo dimenticarono quell’impegno: alla prima difficoltà ricaddero nello stesso errore. La colonna di nuvole che li guidava sembrava nascondere un mistero terribile. E Mosè — si chiedevano — dopo tutto, chi era? Che cosa aveva potuto spingerlo a condurli fuori dall’Egitto? Il sospetto e la diffidenza si insinuarono in loro: con grande arroganza, accusarono Mosè di aver progettato la loro morte e quella dei loro figli, sottoponendoli a privazioni e stenti, allo scopo di arricchirsi con i loro beni. Accecati dalla collera e dal risentimento, furono quasi sul punto di lapidarlo.PP 245.5
“Schiantò rupi nel deserto, e li abbeverò copiosamente, come da’ gorghi. Fece scaturire i ruscelli dalla roccia e ne fece scendere dell’acqua a guisa di fiumi”. Salmi 78:15, 16. Mosè percosse materialmente la roccia, ma il Figlio di Dio, nascosto nella nube, gli era accanto. Il Cristo fece fluire l’acqua che avrebbe donato la vita agli israeliti. Mosè, gli anziani e il popolo, che stava a una certa distanza, contemplarono la gloria di Dio: se la nuvola fosse stata rimossa, sarebbero stati uccisi dal terribile splendore di colui che vi si nascondeva.PP 246.1
Quando il popolo assetato aveva detto: “...L’Eterno è Egli in mezzo a noi, sì o no?” Esodo 17:7. “Perché ci ha fatti salire dall’Egitto per farci morire di sete?” (Esodo 17:3), aveva “tentato” Dio. Questo scetticismo costituiva davvero un atteggiamento insostenibile. Mosè aveva temuto che Dio punisse Israele; per questo egli chiamò quel luogo Massah, cioè tentazione, e Meribah, contesa, in ricordo di quel peccato.PP 246.2
Ma ora si profilava un nuovo pericolo. A causa delle loro continue proteste, il Signore permise che gli israeliti subissero l’attacco dei loro nemici, gli amalechiti, una tribù selvaggia e bellicosa che abitava in quella regione. Amalek attaccò Israele colpendo un gruppo che era rimasto in retroguardia perché era stanco e affaticato. Mosè, sapendo che il popolo non era ancora pronto ad affrontare una guerra, chiese a Giosuè di scegliere un certo numero di uomini, tra le varie tribù, per formare un corpo di soldati che avrebbe affrontato il nemico. Mosè si sarebbe appostato su un’altura vicina con il bastone di Dio in mano. Il giorno dopo, mentre Giosuè guidava l’attacco contro i nemici, Mosè, Aronne e Hur salirono sulla collina che dominava il campo di battaglia. Con le braccia rivolte verso il cielo e il bastone di Dio nella mano destra, Mosè pregò per il successo dell’esercito d’Israele. La battaglia infuriava, ma quando Mosè teneva le braccia sollevate gli israeliti vincevano; quando le abbassava, essi indietreggiavano davanti al nemico. Quando infine Mosè fu stanco, Aronne e Hur sostennero le sue mani fino al calare del sole, e il nemico fu messo in fuga.PP 246.3
Sorreggendo le mani di Mosè, Aronne e Hur dimostravano al popolo che era suo dovere appoggiarlo nel difficile compito di profeta di Dio.PP 247.1
Il gesto di Mosè aveva un grande significato: Dio aveva in mano il destino del suo popolo. Quando gli israeliti avevano fede in lui, il Signore combatteva per loro e sconfiggeva i nemici. Quando invece confidavano soprattutto nelle loro forze venivano sopraffatti da coloro che non conoscevano Dio ed erano sconfitti.PP 247.2
Gli ebrei trionfarono in seguito all’intercessione di Mosè, che teneva le mani sollevate verso il cielo. Nello stesso modo l’Israele attuale, il popolo dei credenti, può avere successo solo se per fede si avvale della forza del suo potente sostegno. È necessario però che alla potenza divina si unisca un impegno da parte dell’uomo. Mosè non credeva che Israele avrebbe sconfitto gli amalechiti rimanendo inattivo. Mentre egli pregava, Giosuè e i suoi coraggiosi compagni si impegnavano con tutte le loro forze per respingere i nemici d’Israele e di Dio.PP 247.3
Dopo la disfatta di Amalek, Dio si rivolse a Mosè: “Scrivi questo fatto in un libro, perché se ne conservi il ricordo, e fa’ sapere a Giosuè che io cancellerò interamente di sotto al cielo la memoria di Amalek”. Esodo 17:14. Poco prima della sua morte, il grande condottiero affidò al popolo questo solenne incarico: “Ricordati di ciò che ti fece Amalek, durante il viaggio, quando usciste dall’Egitto: com’egli ti attaccò per via, piombando per di dietro su tutti i deboli che ti seguivano, quand’eri già stanco e sfinito, e come non ebbe alcun timore di Dio... Cancellerai la memoria di Amalek di sotto al cielo: non te ne scordare”. Deuteronomio 25:17-19. A proposito di questo popolo malvagio, il Signore dichiarò: “La mano è stata alzata contro il trono dell’Eterno...”. Esodo 17:16.PP 247.4
Gli amalechiti erano a conoscenza delle circostanze in cui Dio aveva manifestato il suo carattere e la sua sovranità in Egitto. Quelle dimostrazioni soprannaturali, anziché suscitare in loro il rispetto, li avevano spinti a sfidare quel potere. Essi avevano ridicolizzato i miracoli compiuti da Mosè e consideravano con ironia i timori dei popoli vicini. Essi avevano giurato davanti ai loro dèi di distruggere gli ebrei, senza risparmiarne nessuno. L’orgoglio degli amalechiti cresceva, al pensiero che il Dio d’Israele non avrebbe potuto sconfiggerli. Il loro attacco non era stato preceduto da alcuna provocazione: era solo una dimostrazione di odio, una manifestazione della volontà di Amalek di sfidare Dio, tentando di distruggere il suo popolo.PP 247.5
Gli amalechiti avevano commesso molte azioni gravi e i loro crimini esigevano una vendetta da parte del Signore. Nella sua misericordia, Dio li aveva invitati a pentirsi, ma quando essi aggredirono gli israeliti, stanchi e indifesi, il loro gesto decretò una condanna definitiva. Dio ha un amore particolare per i più deboli tra i suoi figli. Nessun atto di crudeltà o prepotenza sfugge ai suoi occhi. La mano divina si posa come uno scudo su tutti coloro che lo rispettano e lo amano: Egli rivolgerà la spada della giustizia contro coloro che si oppongono al suo intervento protettore.PP 248.1
La casa di Iethro, suocero di Mosè, non era molto distante dall’accampamento degli ebrei. Egli aveva saputo della liberazione d’Israele e aveva deciso di raggiungere Mosè per accompagnare sua moglie e i due figli. Alcuni messaggeri informarono Mosè di questa visita ed egli, felice, andò incontro alla sua famiglia e a Iethro e li condusse nella sua tenda.PP 248.2
Immaginando i pericoli che avrebbe affrontato per liberare Israele dal dominio egiziano, Mosè si era separato da loro: ora questo sostegno gli veniva restituito. Raccontò a Iethro le meraviglie che Dio aveva compiuto per il suo popolo. L’anziano patriarca se ne rallegrò, benedicendo il Signore per essere intervenuto; insieme a Mosè e agli anziani offrì un sacrificio e organizzò una festa solenne, per ricordare la misericordia di Dio.PP 248.3
Iethro rimase nell’accampamento, e in breve tempo si rese conto di quanto fossero pesanti le responsabilità di Mosè. Mantenere l’ordine e la disciplina all’interno di un gruppo così numeroso e impreparato costituiva davvero un compito molto gravoso. Mosè era riconosciuto come l’autorità suprema: era l’arbitro a cui spettava la parola decisiva non solo per i problemi di carattere generale, riguardanti i doveri d’Israele, ma anche nelle controversie che nascevano in mezzo al popolo. Egli aveva permesso che ciò avvenisse perché desiderava istruire il popolo, per far “...loro conoscere gli ordini di Dio e le sue leggi”, ma Iethro lo rimproverò con queste parole: “Tu ti esaurirai certamente... quest’affare è troppo grave per te; tu non puoi bastarvi da te solo”. Esodo 18:15, 18.PP 248.4
Gli consigliò di nominare dei responsabili, affidando a loro il compito di amministrare gruppi di migliaia, di centinaia e di decine. Dovevano essere “...uomini capaci che temano Dio: degli uomini fidati, che detestino il lucro iniquo...”. Esodo 18:21.PP 248.5
Questi responsabili avrebbero deciso su tutte le questioni di secondaria importanza; solo i casi più difficili sarebbero stati presentati a Mosè. Poi Iethro aggiunse: “...Sii tu il rappresentante del popolo dinanzi a Dio, e porta a Dio le loro cause. Insegna loro gli ordini e le leggi, e mostra loro la via per la quale han da camminare e quello che devon fare”. Esodo 18:19, 20. Il suo consiglio fu accettato: la sua applicazione rese più leggero il lavoro di Mosè e, nello stesso tempo, permise una migliore organizzazione del popolo.PP 249.1
Il Signore aveva attribuito a Mosè un ruolo importante: attraverso le sue mani, aveva compiuto dei miracoli. La sua elezione a capo d’Israele non significava che non avesse bisogno di buoni consigli.PP 249.2
Partiti da Refidim, gli israeliti continuarono il loro viaggio guidati dalla nuvola di Dio; attraversarono aride pianure, superarono ripidi pendii e camminarono lungo catene montuose. Spesso, dopo aver percorso distese sabbiose, alte montagne e imponenti contrafforti che sembravano sbarrare il loro cammino, avvicinandosi scorgevano varchi insperati, che lasciavano intravedere una nuova pianura. Seguendo Mosè, attraversarono un profondo passaggio tra le montagne: muraglie di roccia, alte centinaia di metri, li sovrastavano e si estendevano da entrambi i lati, a perdita d’occhio. Il popolo vi passò insieme alle greggi e alle mandrie: davanti a loro si ergeva in tutta la sua maestà il massiccio del monte Sinai. La nuvola si posò sulla cima della montagna: l’accampamento fu organizzato nella pianura sottostante. Gli israeliti sarebbero rimasti in quel luogo per quasi un anno. Durante la notte, la colonna di fuoco garantì loro la protezione divina e mentre dormivano il pane del cielo scese silenzioso sull’accampamento.PP 249.3
L’alba gettò la sua luce dorata sul profilo scuro delle montagne e i luminosi raggi del sole penetrarono nelle gole profonde. Questo spettacolo appariva ai viandanti stanchi come una raffigurazione dei raggi di misericordia che provenivano dal trono di Dio. Sembrava che quelle vette solitarie e imponenti riflettessero l’immagine dell’eternità e della maestà. Tutta la scena suscitava rispetto e solennità.PP 249.4
L’uomo fu creato in modo che potesse percepire la propria ignoranza e fragilità, alla presenza di colui che ha “...preso le dimensioni del cielo con la spanna...”. Isaia 40:12.PP 249.5
Presso il Sinai, Israele avrebbe ricevuto la rivelazione più straordinaria mai concessa da Dio all’uomo. Il Signore aveva raccolto gli ebrei intorno a quel monte per far loro comprendere la sacralità dei suoi comandamenti: li avrebbe proclamati con la sua stessa voce. Questa esperienza avrebbe determinato nel popolo una radicale trasformazione, che gli avrebbe permesso di superare le conseguenze degradanti che la schiavitù e il lungo contatto con i culti pagani avevano avuto sui suoi costumi e sulla sua sensibilità. Dio si rivelava e agiva per elevarli a un livello morale superiore e offriva loro l’opportunità di conoscerlo profondamente.PP 249.6