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Patriarchi e profeti

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    Capitolo 37: La roccia simbolica

    Dio fece sgorgare la prima sorgente miracolosa per dissetare gli israeliti nel deserto, chiedendo a Mosè di percuotere una roccia in Horeb.PP 347.1

    Il Signore, durante quella lunga marcia, aveva più volte dimostrato il suo amore per Israele provvedendo l’acqua ogni volta che era stato necessario. Non sempre dalla sorgente di Horeb ma a ogni tappa del viaggio gli ebrei avevano potuto attingere a un corso d’acqua che scaturiva per miracolo dalla fenditura di una roccia e scorreva accanto all’accampamento.PP 347.2

    In realtà il Cristo stesso faceva sgorgare per il popolo d’Israele quel fresco ruscello. “E tutti bevvero la stessa bevanda spirituale, perché beveano alla roccia spirituale che li seguiva; e la roccia era Cristo”. 1 Corinzi 10:4.PP 347.3

    La roccia era un simbolo: rappresentava Gesù, che seguiva gli israeliti in ogni spostamento. Egli è la fonte di tutte le benedizioni, sia materiali sia spirituali. “Ed essi non hanno avuto sete quand’Ei li ha condotti attraverso i deserti; Egli ha fatto scaturire per essi dell’acqua dalla roccia; ha fenduto la roccia, e n’è colata l’acqua”. Isaia 48:21. “Egli aprì la roccia e ne scaturirono acque; esse corsero per luoghi aridi, come un fiume”. Salmi 105:41.PP 347.4

    La roccia percossa in Horeb simboleggia dunque il Cristo, rappresenta un’immagine ricca di preziose verità e insegnamenti spirituali. Come l’acqua portatrice di vita sgorgò dalla roccia percossa, così dal Cristo, “battuto da Dio”, oppresso dai “nostri dolori”, “trafitto a motivo delle nostre trasgressioni” (Isaia 53:4, 5), proviene la salvezza per l’umanità perduta. Come la roccia, che fu colpita una sola volta, anche il Cristo fu “offerto una volta sola per portare i peccati di molti”. Ebrei 9:28. Il suo sacrificio non si ripeterà, perché da solo è sufficiente ad assicurare le benedizioni della grazia a coloro che lo accettano, esprimendo in preghiera un sincero pentimento. Questa invocazione ricorderà al Signore le ferite di Gesù sulla croce e il suo sangue, datore di vita, simboleggiato dal limpido ruscello che scorreva per il popolo d’Israele.PP 347.5

    Quando gli israeliti si stabilirono in Canaan, celebravano il miracolo dell’acqua che era scaturita dalla roccia con manifestazioni di gioia. Al tempo del Cristo la rievocazione dell’episodio avveniva nel corso di una cerimonia molto suggestiva: la festa dei Tabernacoli, quando gli israeliti giungevano da tutto il paese per riunirsi a Gerusalemme. I festeggiamenti duravano per una settimana. Ogni giorno i sacerdoti, accompagnati dalla musica e dai cori dei leviti, si recavano alla sorgente di Siloe per attingere l’acqua in vasi d’oro.PP 347.6

    Una lunga processione di fedeli seguiva il corteo. Tutti coloro che potevano si avvicinavano alla sorgente per bere, mentre la folla festante intonava le strofe del canto: “Voi attingerete con gioia l’acqua dalle fonti della salvezza”. Isaia 12:3. L’acqua raccolta dai sacerdoti veniva portata al tempio al suono della tromba, che accompagnava il canto di un inno solenne: “I nostri passi si sono fermati entro le tue porte, o Gerusalemme”. Salmi 122:2.PP 348.1

    Una lunga processione composta da tutti coloro che avevano potuto avvicinarsi alla sorgente per dissetarsi li seguiva. Tra canti di lode, l’acqua di Siloe veniva versata sull’altare dei sacrifici, mentre il popolo si univa in un coro di trionfo tra musica e squilli di tromba.PP 348.2

    Gesù si servì di questo rituale simbolico per attirare l’attenzione degli ebrei sulle benedizioni che Egli offriva. “Nell’ultimo giorno, il gran giorno della festa...” la voce del Cristo riecheggiò tra i cortili del tempio. Egli disse: “Se alcuno ha sete venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno... Or disse questo dello Spirito” commenta l’evangelista “che doveano ricevere quelli che crederebbero in lui...”. Giovanni 7:37-39.PP 348.3

    Un’acqua fresca e pura sgorga dalla terra arida e desolata, ricoprendola di un manto d’erba e fiori e restituendo la vita ai morenti: l’immagine simboleggia la grazia divina, che purifica e rafforza l’animo dell’uomo. Solo Gesù può donare questa forza: colui che è unito al Cristo possiede in sé una fonte inesauribile di grazia e vitalità. Gesù ha cura di coloro che sono sensibili al suo amore e lo cercano con sincerità: Egli guiderà la loro esistenza. L’amore del Cristo, che è diventato parte del carattere, li indurrà ad agire con bontà, preparandoli alla vita eterna. Questa energia vitale non è una benedizione solo per chi la porta in sé: un uomo integro e coerente con i principi divini rappresenta un aiuto e un conforto per tutti coloro che hanno bisogno di speranza.PP 348.4

    Quando il Cristo parlò con la donna di Samaria al pozzo di Giacobbe, si servì della stessa immagine: “Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l’acqua che io gli darò, diventerà per lui una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna”. Giovanni 4:14. La roccia e l’acqua sono simboli della stessa persona: Gesù.PP 348.5

    Questa immagine, bella e ricca di significati, ricorre più volte nelle pagine della Bibbia. Molti secoli prima della nascita del Cristo, Mosè chiamò il Messia “rocca della salvezza” d’Israele (cfr. Deuteronomio 32:15); il salmista lo esaltò, chiamandolo: “Mia rocca e mio redentore”; “la rocca della mia forza”; “la rocca che è troppo alta per me”; “una rocca, una dimora ove io possa sempre rifugiarmi... la mia rupe e la mia fortezza”; “la rocca del mio cuore”; “la rocca in cui mi rifugio”. In un salmo, Davide raffigura la grazia divina con l’immagine di fresche acque che scorrono lungo verdi pascoli, dove il Pastore divino guida le sue pecore e aggiunge: “Li abbeveri al torrente delle tue delizie. Poiché in te è la fonte della vita”. Salmi 19:14; 62:7; 61:2; 71:3; 73:26; 94:22; 23:2; 36:8, 9. Il saggio autore dei Proverbi dichiara: “...La fonte di sapienza è un rivo che scorre perennemente”. Proverbi 18:4. Per Geremia, il Cristo è “la sorgente d’acqua viva” (Geremia 2:13) e per Zaccaria “una fonte aperta... per il peccato e per l’impurità”. Zaccaria 13:1.PP 349.1

    Isaia descrive Gesù come “la roccia de’ secoli” e “l’ombra d’una gran roccia in una terra desolata”. Isaia 24:6; Isaia 32:2. Egli ricorda a Israele la preziosa promessa del Messia, rievocando con grande chiarezza il miracolo del limpido ruscello che sgorgò nel deserto: “I miseri e poveri cercano acqua, e non ve n’é. La loro lingua è secca dalla sete; io, l’Eterno, li esaudirò; io, l’Iddio d’Israele, non li abbandonerò”; “Io spanderò dell’acqua sul suolo assetato, e dei ruscelli sulla terra arida”; “delle acque sgorgheranno nel deserto, e de’ torrenti nella solitudine”. Infine il profeta rivolge al suo popolo questo invito: “O voi tutti che siete assetati, venite alle acque”. Cfr. Isaia 41:17; Isaia 44:3; Isaia 35:6; Isaia 55:1. Queste parole riecheggiano nelle ultime pagine delle Sacre Scritture. Dal “fiume dell’acqua della vita, limpido come cristallo”, che sgorga dal trono di Dio e dell’Agnello, lo stesso invito viene rivolto agli uomini di tutti i tempi: “...Chi vuole, prenda in dono dell’acqua della vita”. Apocalisse 22:17.PP 349.2

    Poco prima dell’arrivo d’Israele a Kades, il limpido ruscello che per così tanti anni era sgorgato accanto all’accampamento, si seccò. Dio voleva mettere alla prova gli israeliti. In quella situazione critica, il loro comportamento avrebbe dimostrato se avevano fede nell’intervento divino o se erano scettici come i loro padri.PP 349.3

    Davanti a loro si profilavano le colline di Canaan; ancora pochi giorni di marcia e avrebbero raggiunto i confini della terra promessa.PP 349.4

    Erano ormai molto vicini a Edom, la terra che apparteneva ai discendenti di Esaù: per raggiungere Canaan era necessario attraversarla. Mosè ricevette quest’ordine: “...Volgetevi verso settentrione. E dà quest’ordine al popolo: Voi state per passare i confini de’ figliuoli d’Esaù, vostri fratelli che dimorano in Seir; ed essi avranno paura di voi... Comprerete da loro a danaro contante le vettovaglie che mangerete, e comprerete pure da loro con tanto denaro l’acqua che berrete”. Deuteronomio 2:3, 4, 6.PP 349.5

    Queste direttive erano sufficienti a spiegare il motivo dell’interruzione della fornitura di acqua: Edom era infatti un paese fertile, ricco di corsi d’acqua e costituiva la via più diretta per raggiungere la terra di Canaan. Dio aveva promesso agli israeliti che avrebbero attraversato il paese del tutto indisturbati; durante il tragitto avrebbero avuto la possibilità di procurarsi cibo e acqua per il fabbisogno di tutti. La scomparsa del torrente miracoloso rappresentava dunque un motivo di gioia, perché annunciava la fine delle lunghe marce attraverso il deserto. Se gli israeliti non si fossero fatti condizionare dallo scetticismo, avrebbero capito. Ma ora, quella che avrebbe dovuto essere una prova dell’adempimento della promessa di Dio, fu invece fonte di dubbi e lamentele. Il popolo aveva abbandonato ogni speranza di entrare in possesso della terra di Canaan e reclamava i benefici di cui aveva usufruito nel deserto.PP 350.1

    Prima che Dio permettesse agli israeliti di entrare nella terra di Canaan, essi avrebbero dovuto dimostrare di credere nella sua promessa. L’acqua cessò di scorrere proprio prima che Israele arrivasse in Edom: era un’occasione per affidarsi alla fede nel Signore, al di là di ogni realtà contingente. Ma alla prima difficoltà gli ebrei manifestarono lo stesso atteggiamento ingrato e ribelle dei loro padri. Non appena nell’accampamento risuonarono le voci di coloro che chiedevano dell’acqua, gli israeliti dimenticarono il sostegno ricevuto per tanti anni: invece di invocare l’aiuto di Dio, protestarono contro di lui. Disperati, gridarono: “Fossimo pur morti quando morirono i nostri fratelli davanti all’Eterno!” Cfr. Numeri 20:1-13. In altre parole, avrebbero voluto essere fra coloro che erano stati distrutti durante la ribellione di Kore.PP 350.2

    Essi gridarono contro Mosè e Aronne: “E perché avete menato la raunanza dell’Eterno in questo deserto per morirvi noi e il nostro bestiame?” dissero. “E perché ci avete fatti salire dall’Egitto per menarci in questo triste luogo? Non è un luogo dove si possa seminare; non ci son fichi, non vigne, non melagrane, e non c’è acqua da bere”. Numeri 20:4, 5.PP 350.3

    I capi d’Israele si recarono all’ingresso del santuario e si inchinarono fino a terra. Ancora una volta “...la gloria dell’Eterno apparve loro. E l’Eterno parlò a Mosè dicendo: Prendi il bastone; tu e tuo fratello Aronne convocate la raunanza e parlate a quel sasso, in loro presenza, ed esso darà la sua acqua; e tu farai sgorgare per loro dell’acqua dal sasso”. Numeri 20:6-8.PP 350.4

    Mosè prese in mano il bastone di Dio e insieme ad Aronne si presentò davanti alla folla degli ebrei. Entrambi erano ormai vecchi, e avevano sopportato per tanto tempo l’atteggiamento ostinato e ribelle del popolo. Ora però anche Mosè non era più disposto ad avere pazienza.PP 351.1

    “...Ora ascoltate, o ribelli” gridò “vi faremo noi uscir dell’acqua da questo sasso?” Numeri 20:10. Invece di parlare alla roccia, come Dio gli aveva ordinato, la colpì per due volte con il bastone. Il miracolo avvenne: l’acqua era sufficiente a soddisfare le necessità del popolo, ma Mosè aveva commesso un grave errore. Egli aveva agito spinto dalla collera: le sue parole erano state dettate dall’impulsività, più che da una legittima indignazione per l’offesa recata a Dio dagli israeliti. “Ora ascoltate, o ribelli” aveva detto. Il rimprovero era giusto, ma non si dovrebbe mai parlare in modo aggressivo o insofferente, neppure per affermare la verità. Quando Mosè aveva ricevuto da Dio l’ordine di condannare la ribellione degli israeliti, aveva dovuto pronunciare parole amare e dolorose, per le quali aveva sofferto e il Signore lo aveva sostenuto in questo difficile compito. Ma quando si assunse in prima persona il diritto di accusare Israele, rattristò lo Spirito di Dio: quel suo intervento costituì per gli ebrei solo un danno.PP 351.2

    In quell’occasione infatti apparve evidente agli occhi di tutti i presenti che Mosè non aveva dimostrato pazienza né autocontrollo. L’episodio offrì al popolo una nuova occasione per porre in dubbio il fatto che egli fosse realmente guidato da Dio. Se l’autorità di Mosè era illegittima, le colpe degli israeliti potevano apparire giustificabili. Dopo tutto, anche lui aveva offeso Dio, e sin dall’inizio la sua vita offriva motivo di critica e censura.PP 351.3

    Reagendo con durezza alle proteste degli ebrei, Mosè aveva offerto loro un pretesto per negare la legittimità dei rimproveri con cui Dio stesso, e non il capo d’Israele, esprimeva la propria disapprovazione.PP 351.4

    Dicendo: “Vi farem noi uscir dell’acqua da questo sasso?” Mosè aveva dimostrato di non aver fiducia in Dio. Aveva posto quella domanda come se non credesse nella realizzazione di ciò che il Signore aveva promesso. L’Eterno allora si rivolse ai due fratelli: “...Non avete avuto fiducia in me per dar gloria al mio santo nome agli occhi dei figliuoli d’Israele”. Numeri 20:12. Le lamentele del popolo, provocate dall’inaridimento del ruscello, avevano scosso la fede di Mosè e Aronne nell’adempimento della promessa di Dio. La prima generazione degli ebrei usciti dall’Egitto era stata condannata a morire nel deserto per la sua mancanza di fede: i loro figli avevano manifestato lo stesso atteggiamento. Anche loro sarebbero stati puniti e non sarebbero entrati nella terra promessa? Stanchi e scoraggiati, Mosè e Aronne non fecero più nessuno sforzo per arginare i sentimenti del popolo. Se invece avessero dimostrato di essere sicuri dell’intervento di Dio, avrebbero potuto presentare la questione in modo tale da permettere agli israeliti di superare la prova. Esercitando con prontezza e decisione l’autorità di cui erano investiti, i due fratelli avrebbero potuto placare le proteste. Era loro dovere compiere ogni sforzo possibile per sanare la situazione, prima di chiedere l’intervento di Dio. Se a Kades avessero arginato immediatamente le lamentele del popolo, avrebbero evitato gravi conseguenze. Con il suo gesto di collera Mosè distrusse l’efficacia di un’immagine destinata a rappresentare un insegnamento di Dio. La roccia, infatti, era un simbolo del Cristo: in occasione del primo miracolo di questo genere, a Horeb, essa era stata colpita solo una volta, per raffigurare il sacrificio di Gesù, avvenuto una volta per sempre. A Kades doveva essere sufficiente parlare alla roccia, come anche noi dobbiamo semplicemente chiedere le benedizioni nel nome di Gesù. Colpire una seconda volta la roccia significava annullare questo magnifico simbolismo.PP 351.5

    Oltre a questo, Mosè e Aronne si erano arrogati un potere che appartiene solo a Dio. La necessità di un intervento divino rendeva quel momento del tutto eccezionale e solenne. Le due massime autorità d’Israele avrebbero dovuto sottolinearlo, offrendo al popolo un esempio di fede e rispetto per il Signore. Invece Mosè e Aronne si lasciarono trasportare dalla collera e gridarono: “Vi farem noi uscire dell’acqua da questo sasso?” Nella domanda, quei due uomini fragili e dominati dall’impulsività si erano sostituiti a Dio, come se avessero il potere di compiere un miracolo. Stanco per le continue proteste e ribellioni del popolo, Mosè aveva dimenticato l’aiuto dell’Onnipotente. Privato del sostegno divino, aveva permesso che il ricordo della sua vita fosse oscurato da un gesto di debolezza. Avrebbe potuto mantenere un comportamento integro, fermo e disinteressato; invece, commise un errore proprio alla fine della sua esperienza come guida d’Israele. Mosè offese davanti a tutto il popolo quel Dio che avrebbe dovuto glorificare e onorare.PP 352.1

    Il Signore non condannò nessuna delle persone che, con il loro atteggiamento, avevano provocato la collera di Mosè e Aronne. Il rimprovero colpì esclusivamente coloro che avrebbero dovuto rappresentare Dio davanti a Israele, perché non avevano dimostrato rispetto per lui. Mosè e Aronne si erano sentiti così colpiti dalle proteste degli israeliti che le avevano percepite come un’offesa personale, mentre in realtà esse erano dirette contro Dio. Pensando a se stessi, essi avevano cercato di attirare le simpatie della gente: il loro errore era stato inconsapevole, ma aveva impedito che il popolo comprendesse la gravità della propria ribellione.PP 352.2

    Il giudizio di Dio li umiliò e amareggiò profondamente. “L’Eterno disse a Mosè e ad Aronne: Siccome non avete avuto fiducia in me per dar gloria al mio santo nome agli occhi dei figliuoli d’Israele, voi non introdurrete questa raunanza nel paese che io le do”. Numeri 20:12.PP 353.1

    Sarebbero morti insieme agli altri israeliti della precedente generazione, prima di attraversare il Giordano. Se Mosè e Aronne avessero voluto difendere soprattutto la propria immagine, o mantenere un atteggiamento aggressivo di fronte al rimprovero divino, avrebbero aggravato la loro colpa. Ma il Signore non poteva accusarli di avere agito intenzionalmente: erano stati vinti da un impulso negativo, per il quale provarono subito un profondo rimorso. Il Signore accettò quel pentimento, ma non risparmiò loro la punizione, a causa delle conseguenze che il fatto avrebbe provocato fra il popolo.PP 353.2

    Senza nascondere nulla del proprio errore, Mosè disse agli israeliti che dal momento che egli non aveva glorificato l’Eterno, non avrebbe potuto condurli nella terra promessa. Inoltre, sottolineò che la severità della sua condanna era una dimostrazione della gravità delle loro proteste. Dio non poteva considerare tollerabili le accuse di chi attribuiva all’arbitrio di un semplice uomo dei rimproveri che erano la giusta conseguenza di un comportamento colpevole. Mosè aggiunse anche di aver pregato Dio di revocare la sua condanna, ma inutilmente. “Ma l’Eterno si adirò contro di me, per cagion vostra” disse “e non mi esaudì...”. Deuteronomio 3:26.PP 353.3

    Ogni volta che gli israeliti si trovavano di fronte a una difficoltà, erano pronti a indicare Mosè come l’unico responsabile delle loro disgrazie, per averli fatti partire dall’Egitto. Nei loro discorsi, Dio sembrava non avere mai agito per guidarli. Durante il lungo viaggio attraverso il deserto, quando si erano ribellati contro i loro capi, Mosè aveva risposto: “I vostri mormorii sono contro Dio. Non io, ma Dio ha operato la vostra liberazione”. Cfr. Esodo 16:8. Purtroppo, la collera manifestata davanti alla roccia con le parole: “Vi farem noi uscire dell’acqua?” rappresentò per molti un’implicita ammissione delle accuse che gli erano state rivolte. Gli ebrei avevano ora un pretesto per giustificare il loro scetticismo e le loro ribellioni. Vietando a Mosè di entrare nella terra promessa, il Signore voleva neutralizzare questa conseguenza. La punizione avrebbe inequivocabilmente dimostrato che il vero capo d’Israele non era Mosè, ma il potente Angelo del quale l’Eterno aveva detto: “Ecco, io mando un angelo davanti a te per proteggerti per via, e per introdurti nel luogo che ho preparato. Sii guardingo in Sua presenza, e ubbidisci alla Sua voce... poiché il mio nome è in Lui”. Esodo 23:20, 21.PP 353.4

    “L’Eterno s’adirò contro di me per cagion vostra” (Deuteronomio 1:37) disse in seguito Mosè. La sua posizione lo esponeva più di chiunque altro al giudizio del popolo: con il suo errore egli aveva danneggiato l’immagine di Dio, che lo aveva scelto come guida d’Israele. L’episodio si era verificato sotto gli occhi di tutti gli israeliti: se fosse rimasto impunito, tutti avrebbero pensato che gli uomini più importanti d’Israele potevano essere scusati se reagivano a una provocazione dimostrando impulsività e mancanza di fede. Ma quando si seppe che a causa del loro gesto Mosè e Aronne non sarebbero entrati in Canaan, il popolo comprese che Dio non giudica con parzialità, ma punisce sempre il trasgressore. Il ricordo delle vicende d’Israele è stato scritto nelle pagine della Bibbia perché tutti ne possano ricevere un insegnamento. Ogni uomo deve sapere che Dio è un sovrano imparziale, che in nessun caso giustifica il peccato. Quando gli uomini reputano Dio troppo buono per punire i trasgressori, si illudono. La storia biblica ci insegna infatti che proprio in nome della sua bontà e del suo amore per l’umanità Dio considera il male un pericolo gravissimo per la pace e la felicità dell’universo.PP 354.1

    Neanche Mosè, così integro e fedele, poté evitare le conseguenze del proprio errore. Dio aveva perdonato agli israeliti delle colpe molto più gravi, ma non poteva trattare con la stessa indulgenza coloro a cui aveva affidato la responsabilità del popolo. Il Signore aveva onorato Mosè più di ogni altro uomo sulla terra; gli era apparso nel suo aspetto reale e lo aveva scelto come suo portavoce per comunicare la legge a Israele. Tuttavia, tutto questo non faceva che rendere ancora più pesante la responsabilità di Mosè per l’errore commesso. La fedeltà a Dio dimostrata nel passato non può cancellare un’azione malvagia. Maggiori sono le conoscenze e i privilegi di cui un uomo gode, più grave è la sua colpa e più pesante la relativa punizione. Da un punto di vista umano Mosè non era colpevole di un grande crimine: il suo errore sembrava del tutto banale. Il salmista dice però che: “...Egli parlò sconsigliatamente con le sue labbra...”. Salmi 106:33. Mosè fu l’uomo più fedele che sia mai esistito, ma anche colui che ricevette da Dio i più alti onori. Se il Signore considerò con tanta severità la sua colpa — in apparenza così lieve — non agirà diversamente nei confronti di chiunque altro. L’Eterno disapprova l’atteggiamento di chi pone se stesso al di sopra degli altri e giudica i propri simili. Chi si comporta in questo modo getta il discredito sull’operato di Dio e offre agli scettici un motivo per non credere. Più importante è la posizione occupata e maggiore l’influsso che uno esercita, più necessario diventa coltivare la pazienza e l’umiltà.PP 354.2

    Satana esulta quando i figli di Dio, specialmente quelli che occupano una posizione di responsabilità, sono indotti ad attribuirsi dei meriti che appartengono solo al Signore. Fu Lucifero a cadere per primo in questa tentazione, e quindi ne conosce perfettamente le seduzioni e se ne serve per portare altri alla rovina. Proprio per difenderci da questa insidia Dio ha inserito nella Bibbia molti insegnamenti che mettono in evidenza i pericoli dell’autoesaltazione. Non c’è impulso naturale, facoltà o sentimento che non abbiano bisogno di essere posti continuamente sotto il controllo dello Spirito di Dio. Se noi offriamo a Satana anche una minima possibilità, i benefici che il Signore concede all’uomo e le prove che permette si trasformeranno in tentazioni per tormentare e distruggere la persona. Per quanto possa essere profonda la nostra spiritualità e grandi le dimostrazioni di amore che abbiamo ricevuto da Dio, dovremmo pregare perché l’influsso divino agisca in noi, dirigendo ogni pensiero e ogni impulso. Il nostro comportamento deve essere sempre improntato a una grande umiltà. Tutti coloro che si professano cristiani hanno l’obbligo di esercitare l’autocontrollo, anche nelle circostanze più critiche.PP 355.1

    Le responsabilità di Mosè erano veramente pesanti; pochi uomini sono stati tentati così severamente come lui. Ciò comunque non giustifica il suo errore.PP 355.2

    Dio ha offerto un valido sostegno a coloro che credono in lui: se essi avranno fiducia in questa forza, non saranno travolti dalle circostanze. A volte un uomo può essere sottoposto a pressioni molto forti: tuttavia, la trasgressione è un atto volontario. Nessuna potenza terrena o diabolica ci può costringere a fare il male. Anche se Satana fa leva sulle nostre debolezze, noi possiamo superare la crisi. Per quanto una difficoltà possa essere grave e improvvisa, Dio ci darà sempre la forza necessaria per affrontarla con successo.PP 355.3

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