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Patriarchi e profeti

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    Capitolo 30: Il tabernacolo e il rituale

    Mentre Mosè era sulla montagna, davanti a Dio, ricevette quest’ordine: “Mi facciano un santuario perché io abiti in mezzo a loro”. Esodo 25:8. A questo ordine furono aggiunte indicazioni dettagliate riguardanti la costruzione del tabernacolo. In seguito alla loro infedeltà, gli israeliti non ebbero più il privilegio della presenza divina: questo impedì per qualche tempo la realizzazione del santuario, la dimora di Dio in mezzo al popolo. Tuttavia, quando Israele ottenne il perdono divino, Mosè si dispose a eseguire quell’ordine.PP 286.1

    Per la costruzione del santuario furono scelti uomini che il Signore aveva dotato di particolare abilità e saggezza. Dio stesso aveva fornito a Mosè il progetto, completo di ogni informazione riguardo alle dimensioni, la forma, il materiale da impiegare e tutti gli oggetti compresi nell’arredo. Il tabernacolo, pur essendo costruito dagli uomini, doveva essere “figura del vero” (Ebrei 9:24, 23) una rappresentazione in miniatura del santuario che è in cielo in cui il Cristo, il nostro Sommo Sacerdote, dopo aver offerto la sua vita in sacrificio, doveva compiere la sua opera in difesa del peccatore. Sul Sinai Dio presentò a Mosè la visione del santuario e gli ordinò di riprodurlo fedelmente. Mosè registrò con cura tutte queste indicazioni e le comunicò ai capi del popolo.PP 286.2

    La costruzione del santuario richiedeva preparativi molto dispendiosi: era necessaria una grande quantità di materiali fra i più pregiati e rari. Il Signore tuttavia accettò solo le offerte volontarie. Mosè aveva ripetuto al popolo quest’ordine divino: “Accettate l’offerta da ogni uomo che sarà disposto a farmela di cuore”. Esodo 25:2. Il desiderio di servire Dio e lo spirito di sacrificio erano due requisiti essenziali per coloro che si impegnavano a costruire la casa dell’Eterno.PP 286.3

    “E tutti quelli che il loro cuore spingeva e tutti quelli che il loro spirito rendeva volenterosi, vennero a portare l’offerta all’Eterno per l’opera della tenda di convegno, per tutto il servizio e per i paramenti sacri. Vennero uomini e donne; quanti erano di cuor volenteroso portarono fermagli, orecchini, anelli da sigillare e braccialetti, ogni sorta di gioielli d’oro; ognuno portò qualche offerta all’Eterno. E chiunque aveva delle stoffe tinte in violaceo, porporino, scarlatto, o fino lino, o pel di capra, o pelli di montone tinte in rosso, o pelli di delfino, portava ogni cosa. Chiunque prelevò un’offerta d’argento e di rame, portò l’offerta consacrata all’Eterno; e chiunque aveva del legno d’acacia per qualunque lavoro destinato al servizio, lo portò. E tutte le donne abili filarono con le proprie mani e portarono i loro filati in color violaceo, porporino, scarlatto, e del lino fino. E tutte le donne che il cuore spinse ad usare la loro abilità filarono del pel di capra. E i capi del popolo portarono pietre d’onice e pietre da incastonare per l’efod e per il pettorale, aromi e olio per il candelabro, per l’olio dell’unzione e per il profumo fragrante”. Esodo 35:21-28.PP 286.4

    Durante la costruzione del santuario, gli israeliti — giovani, vecchi, uomini, donne e bambini — continuarono a portare offerte, finché esse furono addirittura superiori al necessario. Allora Mosè fece annunciare in tutto il campo questo messaggio: “Né uomo né donna faccia più alcun lavoro come offerta per il santuario. Così s’impedì che il popolo portasse altro”. Esodo 36:6.PP 287.1

    La Bibbia ricorda le proteste degli israeliti e gli interventi di Dio nel giudicare i loro errori, come avvertimento per le generazioni future; la generosità, la devozione e lo zelo che il popolo dimostrò in questa occasione, rappresentano invece un esempio da imitare. Tutti coloro che desiderano adorare Dio e apprezzano la benedizione della sua presenza accanto a loro, manifesteranno lo stesso spirito di sacrificio nel preparare un luogo dove Egli possa incontrarsi con loro. A questo scopo essi dedicheranno al Signore il meglio di ciò che possiedono. Il progetto di una casa per l’Eterno non dovrebbe mai incontrare difficoltà finanziarie: sarebbe un disonore. La somma per realizzarlo dovrebbe essere offerta con generosità, in modo che i responsabili possano dire, come i costruttori del tabernacolo: “Non portate più offerte”. Il santuario israelita poteva essere smontato e trasportato, in modo da seguire il popolo nel suo lungo viaggio. Era una costruzione magnifica, sebbene fosse di piccole dimensioni: non più di diciassette metri di lunghezza e poco più di cinque di larghezza e altezza. L’intelaiatura e gli arredi erano in legno d’acacia, il più solido tra i legnami del Sinai. Le pareti erano formate da assi verticali poggiate su supporti d’argento e collegate ad altre travi, poste in orizzontale; il tutto era ricoperto d’oro, e ciò faceva sembrare la costruzione d’oro massiccio. Il tetto era formato da quattro serie di teli: quello più interno era di “...lino fino ritorto, di filo color violaceo, porporino e scarlatto, con dei cherubini artisticamente lavorati” (Esodo 26:1); gli altri tre erano di pelli di capra e di montone tinte di rosso e di pelli di delfino, tutte disposte in modo da fornire una copertura completa.PP 287.2

    La costruzione era divisa in due ambienti da una tenda meravigliosa, detta anche “cortina”, sorretta da pilastri rivestiti d’argento; una tenda simile a questa separava la prima stanza dall’esterno. Questi teli, come anche gli altri che formavano l’ambiente interno e il soffitto avevano colori magnifici: blu, porpora, scarlatto, splendidamente abbinati. I cherubini ricamati in oro e argento rappresentavano gli angeli che collaborano al servizio del santuario del cielo e sostengono il popolo di Dio sulla terra.PP 288.1

    Il santuario era circondato da un cortile a cielo aperto, delimitato da tendaggi di lino fino, sostenuti da pilastri di rame. L’ingresso era rivolto verso oriente. Esso era chiuso da tende di un tessuto di preziosa fattura, ma di bellezza inferiore a quelle interne al santuario. Il recinto del cortile nascondeva solo per metà altezza le pareti della costruzione, che quindi era visibile dall’esterno. Nel cortile, vicino all’ingresso, si trovava un altare in rame per i sacrifici consumati tramite il fuoco: sui suoi corni veniva spruzzato il sangue dell’espiazione. Tra l’altare e l’ingresso del tabernacolo vi era una conca, anch’essa in rame, fatta con gli specchi donati dalle donne israelite. In essa i sacerdoti dovevano lavarsi le mani e i piedi ogni volta che entravano nelle stanze sacre, oppure quando si preparavano a presentare offerte all’Eterno sull’altare degli olocausti.PP 288.2

    Nella prima stanza, o luogo santo, si trovavano il tavolo con i pani della presentazione, il candelabro e l’altare dell’incenso. Il tavolo dei pani della presentazione, posto sul lato nord, era decorato con fregi d’oro ed era ricoperto dello stesso metallo. Su di esso ogni sabato i sacerdoti ponevano dodici focacce cosparse d’incenso, ordinate in due file. Le focacce erano considerate sante e per questo motivo, una volta sostituite, dovevano essere mangiate dai sacerdoti. Nel lato sud vi era un candelabro d’oro massiccio con sette lampade e sette bracci ornati da gigli cesellati con arte: era acceso giorno e notte, per assicurare l’illuminazione del tabernacolo, che era privo di finestre. Proprio davanti alla cortina che separava il luogo santo dal luogo santissimo, dove si manifestava la potenza di Dio, c’era un altare d’oro su cui il sacerdote bruciava ogni sera e ogni mattina l’incenso. Il rituale prevedeva che il sangue della vittima per il peccato fosse posto sui corni dell’altare, durante il servizio quotidiano. In occasione del gran giorno dell’Espiazione, invece, il sangue veniva sparso su tutta la superficie dell’oggetto. Il fuoco di questo altare, acceso da Dio stesso, doveva essere tenuto vivo come qualcosa di sacro. Giorno e notte l’incenso diffondeva il suo profumo nel santuario e arrivava anche all’esterno, lontano dal tabernacolo.PP 288.3

    All’interno, oltre la cortina, c’era il luogo santissimo, il centro del servizio simbolico dell’espiazione e dell’intercessione: esso collegava il cielo e la terra. Vi si trovava l’arca, una cassa in legno di acacia completamente ricoperta d’oro, che portava sul bordo superiore una cornice dello stesso metallo. L’arca custodiva le tavole di pietra sulle quali Dio aveva scritto i dieci comandamenti. Per questo motivo venne chiamata “arca del testamento di Dio” o anche “arca del patto”; i comandamenti infatti costituivano la base dell’alleanza fra Dio e Israele.PP 288.4

    Il coperchio dell’arca veniva chiamato propiziatorio ed era d’oro massiccio. Alle sue estremità si trovavano due cherubini d’oro: le loro ali si stendevano una verso l’alto e l’altra verso il basso, a coprire il corpo (cfr. Ezechiele 1:11) in segno di ossequio e umiltà. Le due statue erano rivolte l’una verso l’altra, e il loro sguardo si posava con devozione sull’arca: il loro atteggiamento esprimeva il rispetto che gli angeli hanno per la legge di Dio e il loro interesse per il piano della salvezza. Al di sopra del propiziatorio, tra i due cherubini, c’era la Shekinah, la manifestazione della presenza divina tramite cui Dio esprimeva la sua volontà. A volte i messaggi divini venivano trasmessi al sommo sacerdote da una voce proveniente dalla nuvola; in altri casi, una luce illuminava il cherubino di destra per concedere l’approvazione a una richiesta: il segnale della disapprovazione era invece un’ombra che velava il cherubino di sinistra.PP 289.1

    La legge di Dio, custodita nell’arca, era la norma della giustizia e del giudizio. Essa imponeva la morte dei trasgressori. Al di sopra della legge vi era tuttavia il propiziatorio, dove si rivelava la presenza divina: dopo l’espiazione, era qui che Dio manifestava il suo perdono per il peccatore pentito. Il servizio del santuario traduce in simboli l’azione compiuta dal Cristo per la nostra redenzione, per cui “la benignità e la verità si sono incontrate, la giustizia e la pace si son baciate”. Salmi 85:10.PP 289.2

    Il linguaggio umano non può descrivere adeguatamente lo splendore del santuario. Le pareti dorate che riflettevano la luce del candelabro d’oro, i tendaggi dai colori brillanti, ricamati con figure di angeli risplendenti, la tavola dei pani e l’altare dell’incenso scintillante d’oro. E ancora, oltre la seconda tenda, l’arca sacra con i cherubini e infine, sopra di essa, la Shekinah, manifestazione visibile della presenza dell’Eterno; tutto questo era solo un debole riflesso della gloria del tempio di Dio in cielo, dove si svolge l’azione divina in favore della redenzione dell’uomo.PP 289.3

    Quando, dopo circa sei mesi, il santuario fu completato, Mosè lo confrontò con le direttive ricevute da Dio sul monte, e con il modello che gli era stato mostrato. “E Mosè vide tutto il lavoro; ed ecco, essi l’avevano eseguito come l’Eterno aveva ordinato; l’avevano eseguito a quel modo. E Mosè li benedisse”. Esodo 39:43. Gli israeliti, spinti da un grande interesse, si affollarono intorno alla sacra costruzione: sotto lo sguardo soddisfatto e pieno di devozione di tutto il popolo, la nuvola a forma di colonna discese sul santuario e lo ricoprì “e la gloria dell’Eterno riempì il tabernacolo”. Era una manifestazione della gloria di Dio, e per qualche tempo neppure Mosè poté entrare nel santuario. Israele assistette con profonda emozione a quella dimostrazione del favore divino. Un grande senso di solennità riempiva l’animo di ognuno e la felicità si espresse in lacrime di gioia, in confessioni di gratitudine sussurrate al Dio che aveva accettato di abitare in mezzo a Israele.PP 289.4

    Dio scelse la tribù di Levi per svolgere i servizi del santuario. In precedenza ogni uomo era stato sacerdote della propria famiglia. Ai tempi di Abramo, infatti, il sacerdozio era considerato un diritto del figlio maggiore. Il Signore dispose che da quel momento la tribù di Levi sostituisse i primogeniti nell’esercizio delle funzioni sacre. La nomina era il riconoscimento della fedeltà che questa tribù aveva dimostrato nell’aderire al servizio sacro e nell’eseguire il giudizio di Dio in occasione dell’apostasia d’Israele, con il vitello d’oro. La responsabilità del sacerdozio venne riservata alla famiglia di Aronne. Solo a lui e a suo figlio sarebbe stato consentito compiere i riti alla presenza del Signore; tutto il resto della tribù si sarebbe occupata del tabernacolo e dei suoi accessori. Era prerogativa esclusiva dei sacerdoti, infatti, immolare le vittime dei sacrifici, bruciare l’incenso e vedere gli arredi sacri privi della loro copertura.PP 290.1

    Per il loro ruolo particolare, i sacerdoti indossavano un abito che li distingueva. “E farai ad Aronne, tuo fratello, dei paramenti sacri, come insegne della loro dignità e come ornamento” (Esodo 28:2), ordinò il Signore a Mosè. L’abbigliamento di un comune sacerdote era di lino bianco, tessuto in un unico pezzo, e arrivava fin quasi ai piedi; era fermato in vita da una cintura di lino bianco ricamata in blu, porpora e rosso. Lo completava un turbante di lino, detto mitra. Davanti al pruno ardente Mosè si era tolto i sandali, per ordine divino, perché il suolo su cui camminava era sacro. Nello stesso modo, i sacerdoti non dovevano entrare nel santuario con le scarpe, perché la polvere avrebbe profanato quel luogo sacro. Dunque avrebbero lasciato le scarpe all’ingresso del santuario, nel cortile; il rituale prevedeva inoltre che si lavassero le mani e i piedi, prima di servire nel tabernacolo e presso l’altare degli olocausti. Questi gesti rappresentavano un costante insegnamento: chi si avvicina al Signore deve allontanare da sé ogni tipo di contaminazione.PP 290.2

    L’abito del sommo sacerdote, prezioso e magnificamente lavorato, era adatto alla sua elevata posizione. Infatti, sopra la tunica di lino comune a tutto il clero egli indossava un abito blu tessuto in un unico pezzo, i cui bordi erano ornati con campanelle d’oro e melograni di colore blu, porpora e scarlatto. Sul petto portava l’efod, un abito corto e senza maniche, di vari colori — oro, blu, porpora, scarlatto e bianco — che terminava con una cintura di tessuto simile, con preziosi ricami. In corrispondenza delle spalle l’efod era intessuto d’oro e aveva due pietre di onice con incisi i nomi delle dodici tribù d’Israele.PP 290.3

    Sopra l’efod c’era il pettorale, il paramento sacerdotale più sacro, realizzato con lo stesso materiale dell’efod: aveva la forma di un quadrato lungo circa venticinque centimetri, sospeso sulle spalle con una corda azzurra, fermata da anelli d’oro. Il bordo era formato da varie pietre preziose, le stesse delle dodici fondamenta della città di Dio. Sul pettorale si trovavano dodici pietre incastonate nell’oro, sistemate in file di quattro: su di esse, come sulle catenelle che fissavano le spalle, erano incisi i nomi delle tribù. Il Signore aveva detto infatti: “Così Aronne porterà i nomi de’ figliuoli d’Israele incisi nel pettorale del giudizio, sul suo cuore, quando entrerà nel santuario per conservare del continuo la ricordanza dinanzi all’Eterno”. Esodo 28:29. Allo stesso modo il Cristo, il Sommo Sacerdote per eccellenza, presenta il suo sacrificio al Padre in difesa del peccatore, e porta sul suo cuore il nome di ogni persona che, pentita, confida in lui. Il salmista dice: “...Son misero e bisognoso, ma il Signore ha cura di me...”. Salmi 40:17.PP 291.1

    Ai lati del pettorale erano fissate due grosse pietre di grande splendore, chiamate Urim e Thummim: attraverso di esse Dio comunicava la sua volontà al sommo sacerdote. Quando l’Eterno veniva consultato su una decisione, la pietra di destra si illuminava per esprimere una risposta positiva; quella di sinistra, invece, si oscurava per negare il consenso.PP 291.2

    La mitra del sommo sacerdote era un turbante di lino bianco con un nastro blu, su cui era fissata una placca d’oro: su di essa era scritto “Santo all’Eterno”. Ogni particolare dei paramenti e del contegno dei sacerdoti doveva ispirare il senso della santità di Dio, della sacralità del suo culto e dell’integrità di quanti dovevano comparire in sua presenza.PP 291.3

    Il Signore aveva dato a Mosè precise ed esplicite istruzioni su ogni dettaglio di questo rituale simbolico. Sia il santuario sia il servizio dei sacerdoti erano infatti “figura ed ombra delle cose celesti”. Ebrei 8:5. I riti del santuario avevano un ciclo giornaliero e uno annuale. Le pratiche giornaliere venivano eseguite sull’altare degli olocausti, nel cortile del tabernacolo e nel luogo santo; il servizio annuale avveniva invece nel luogo santissimo.PP 291.4

    Soltanto il sommo sacerdote poteva vedere il luogo più interno del santuario: vi entrava una volta l’anno, dopo una preparazione accurata e solenne. Con trepidazione, si presentava davanti a Dio. Mentre il popolo aspettava il suo ritorno, in rispettoso silenzio, egli invocava in preghiera la benedizione divina. Davanti al propiziatorio, il sommo sacerdote compiva l’espiazione per Israele: Dio si incontrava con lui in una nuvola di gloria. Se rimaneva troppo a lungo nel santuario, gli israeliti temevano che egli fosse stato fulminato dalla gloria di Dio, a causa delle sue colpe o di quelle del popolo. Il servizio quotidiano consisteva nel sacrificio della sera e della mattina, consumato tramite il fuoco, nell’offrire l’incenso sull’altare d’oro e nei rituali delle offerte per la remissione dei peccati individuali. Inoltre venivano presentate offerte in occasione dei sabati, all’inizio di un nuovo mese e nelle feste speciali.PP 292.1

    Ogni mattina e ogni sera un agnello di un anno veniva immolato sul fuoco dell’altare: con l’offerta di questo simbolo, il popolo si riconsacrava all’Eterno ogni giorno, confermando la sua costante dipendenza dal sacrificio espiatorio del Cristo. Dio ordinò con chiarezza che ogni offerta presentata per il servizio del santuario fosse “senza difetto”. Esodo 12:5. I sacerdoti dovevano esaminare tutti gli animali portati per il sacrificio e rifiutare quelli che avevano anche una minima imperfezione. Solo un’offerta “senza difetto” poteva simboleggiare la completa purezza del Cristo, che offrì se stesso come “agnello senza difetto né macchia”. 1 Pietro 1:19. L’apostolo Paolo indica in questa perfezione un modello a cui il credente deve tendere. Egli afferma: “Io vi esorto dunque fratelli, per le compassioni di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, accettevole a Dio; il che è il vostro culto spirituale”. Romani 12:1. Dobbiamo dedicarci al servizio di Dio cercando di offrire il meglio di noi stessi: solo questo, e niente di meno, può dargli gioia. Quanti lo amano con tutto il cuore, desidereranno servirlo nella maniera migliore, nel continuo tentativo di essere profondamente coerenti con le leggi che li educano a compiere la sua volontà.PP 292.2

    L’offerta dell’incenso permetteva ai sacerdoti di entrare in comunione con Dio in modo più diretto che con qualsiasi altro rituale del servizio quotidiano. La tenda interna del santuario non arrivava fino al soffitto dell’edificio, e quando la gloria di Dio si manifestava sul propiziatorio, essa era in parte visibile dal luogo santo. Quando il sacerdote offriva l’incenso all’Eterno, guardava verso l’arca: il profumo saliva, e la gloria divina scendeva sul propiziatorio, illuminando il luogo santissimo con una luce così intensa da costringere il sacerdote a uscire. Come nel rituale israelitico il sacerdote contemplava per fede il propiziatorio, che in realtà non poteva vedere, così il popolo di Dio deve rivolgersi in preghiera al Cristo, Sommo Sacerdote. Egli non è fisicamente visibile, ma intercede per gli uomini nel santuario del cielo.PP 292.3

    L’incenso, che saliva insieme alle preghiere degli israeliti, rappresenta i meriti e l’intercessione del Cristo. La sua perfetta giustizia può essere attribuita a chiunque abbia fede: questo è il solo mezzo che può permettere ai peccatori di essere accettati da Dio. Davanti alla cortina del luogo santissimo vi era l’altare su cui ogni giorno veniva elevata l’offerta di intercessione, costituita dall’incenso. All’ingresso del luogo santo, invece, si trovava un altro altare, sul quale ogni giorno venivano effettuati i sacrifici cruenti per l’espiazione dei peccati. L’uomo si poteva avvicinare a Dio attraverso dei simboli, l’incenso e il sangue: essi dovevano ricordare che solo attraverso il Cristo il colpevole pentito può avvicinarsi all’Eterno e ottenere per fede il perdono e la salvezza.PP 293.1

    La mattina e la sera, quando i sacerdoti entravano nel luogo santo per la presentazione dell’incenso, veniva preparato nel cortile il sacrificio cruento per il peccato. Era un momento particolarmente coinvolgente per i fedeli, che si riunivano intorno al santuario. Prima di essere introdotti alla presenza di Dio, tramite la mediazione dei sacerdoti, gli israeliti dovevano pregare e fare un profondo esame di coscienza, confessando i propri peccati. Uniti in una preghiera silenziosa, rivolgevano lo sguardo al luogo santo; le loro richieste salivano insieme alla nuvola di incenso, sostenute dalla fede nei meriti del Salvatore promesso, di cui era simbolo il sacrificio di espiazione.PP 293.2

    L’ora in cui avveniva il sacrificio della mattina e della sera era considerata sacra. In questi momenti tutto il popolo si raccoglieva in adorazione. Anche quando gli ebrei furono condotti in terre lontane come prigionieri, nell’ora indicata rivolgevano il volto verso Gerusalemme, presentando le loro richieste al Dio d’Israele. Le preghiere ebraiche della mattina e della sera sono un esempio per i cristiani. Dio condanna un culto formale, che non nasce da un vero desiderio di adorazione. Egli guarda con favore coloro che lo amano e pregano giorno e notte per il perdono dei loro peccati, invocando la sua benedizione.PP 293.3

    I pani detti “della presentazione” erano sempre davanti all’Eterno, come offerta permanente; essi facevano parte del sacrificio quotidiano, e venivano chiamati così proprio perché erano sempre alla presenza di Dio. Rappresentavano il riconoscimento della dipendenza dell’uomo da Dio per ottenere il nutrimento materiale e spirituale, che solo il Cristo può offrire. Il Signore nutriva il popolo d’Israele con il pane del cielo: gli israeliti tuttavia dipendevano dalla generosità divina non solo per il cibo materiale, ma anche per le benedizioni spirituali. La manna e i pani della presentazione indicavano il Cristo, il Pane vivente, che è sempre davanti a Dio per noi. Egli ha detto di se stesso: “Io sono il pane della vita... che discende dal cielo”. Cfr. Giovanni 6:48-51. Su questi pani veniva posto l’incenso; ogni sabato, quando erano sostituiti con quelli freschi, l’incenso veniva bruciato sull’altare davanti a Dio, come ricordo.PP 293.4

    La parte più importante del rituale giornaliero erano i riti in favore dei singoli israeliti. Il peccatore pentito portava la sua offerta all’ingresso del tabernacolo; dopo avere posto la mano sul capo della vittima, egli confessava il proprio peccato. In questo modo, l’errore passava simbolicamente sulla vittima innocente. Il colpevole stesso uccideva l’animale, il cui sangue veniva portato dal sacerdote nel luogo santo: qui egli lo spruzzava sulla cortina. Essa nascondeva l’arca contenente la legge che il peccatore aveva trasgredito. In questa cerimonia, attraverso il sangue, il peccato veniva trasferito nel santuario. In alcuni casi il sangue non veniva portato nel luogo santo.6I sacrifici — Quando l’offerta per un peccato veniva presentata in favore del sacerdote o dell’intera comunità, il sangue era portato nel luogo santo e spruzzato davanti alla cortina e sui corni dell’altare dorato. Il grasso veniva trasformato in fumo sull’altare dell’olocausto, all’ingresso, mentre la carcassa della vittima veniva bruciata fuori dal campo. Cfr. Levitico 4:1-21. Quando però l’offerta era in favore di un capo e di un qualsiasi israelita, il sangue non veniva portato nel luogo santo, e la carne doveva essere mangiata dal sacerdote, secondo le indicazioni che il Signore aveva dato a Mosè: “Il sacerdote che l’offrira per il peccato, la mangerà; dovrà esser mangiata in luogo santo, nel cortile della tenda di convegno”. Levitico 6:26; cfr. Levitico 4:22-35. Il sacerdote mangiava la carne dell’animale, secondo quanto ordinato da Mosè ai figli di Aronne: “...L’Eterno ve l’ha dato perché portiate l’iniquità della raunanza...”. Levitico 10:17. In entrambi i casi, il rituale simboleggiava il trasferimento del peccato dall’individuo pentito al santuario.PP 294.1

    Questo rituale era eseguito ogni giorno, per tutto l’anno. Siccome i peccati d’Israele trasferiti nel santuario, contaminavano il luogo santo, era necessario un rito particolare per la loro rimozione. Dio ordinò allora che i due settori del santuario e l’altare fossero purificati: “E farà sette volte l’aspersione del sangue col dito, sopra l’altare, e così lo purificherà e lo santificherà a motivo delle impurità dei figliuoli d’Israele”. Levitico 16:19.PP 294.2

    Una volta l’anno, nel solenne giorno dell’Espiazione, il sacerdote entrava nel luogo santissimo per la purificazione del santuario, che completava il ciclo del servizio annuale.PP 294.3

    Nel giorno dell’Espiazione, due capretti venivano portati all’ingresso del tabernacolo, dove si tirava a sorte per scegliere quale doveva essere offerto all’Eterno e quale ad Azazel. Il capro tirato a sorte per primo veniva sacrificato per il peccato del popolo, e il sacerdote doveva portarne il sangue nel luogo santissimo, per spruzzarlo sul propiziatorio. “Così farà l’espiazione per il santuario, a motivo delle impurità dei figliuoli d’Israele, delle loro trasgressioni e di tutti i loro peccati. Lo stesso farà per la tenda di convegno ch’è stabilita fra loro, in mezzo alle loro impurità”. Levitico 16:16.PP 294.4

    “Aronne poserà ambedue le mani sul capo del capro vivo, confesserà sopra esso tutte le iniquità dei figliuoli d’Israele, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati, e li metterà sulla testa del capro; poi, per mano d’un uomo incaricato di questo, lo manderà via nel deserto. E quel capro porterà su di sé tutte le loro iniquità in terra solitaria, e sarà lasciato andare nel deserto”. Levitico 16:21, 22. Solo quando il capro veniva abbandonato il popolo si poteva considerare libero dal peso dei propri peccati. Mentre si svolgeva l’espiazione, ognuno doveva pentirsi per i propri errori. Tutto il popolo lasciava le proprie occupazioni, e in quel giorno si presentava in solenne penitenza davanti a Dio, pregando, digiunando e ricercando sinceramente la presenza del Signore.PP 295.1

    Questo rito annuale insegnava al popolo importanti verità riguardanti l’espiazione delle colpe individuali. Le offerte per il peccato, presentate durante l’anno, indicavano che Dio aveva accettato un sostituto per la condanna del trasgressore: il valore di questi sacrifici non arrivava però a esaurire del tutto l’espiazione. Il peccato veniva semplicemente trasferito nel santuario. Con l’offerta del sangue di una vittima, il colpevole riconosceva l’autorità della legge e confessava le proprie trasgressioni, esprimendo la sua fede in colui che avrebbe preso su di sé il peccato del mondo. Tuttavia, egli non era completamente libero dalla condanna della legge. Nel giorno dell’Espiazione il sommo sacerdote compiva un sacrificio cruento in favore della comunità: quindi si recava nel luogo santissimo, dove aspergeva il sangue sul propiziatorio, sopra le tavole dei dieci comandamenti. In questo modo egli soddisfava i diritti espressi nella legge, che reclamava la vita del trasgressore. Nel suo ruolo di mediatore, il sacerdote si caricava dei peccati: quando lasciava il santuario, portava su di sé il peso delle colpe d’Israele. All’ingresso del tabernacolo, imponeva le mani sulla testa del capro sorteggiato per l’espiazione, confessando “tutte le iniquità dei figliuoli d’Israele, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati”, mettendoli “sulla testa del capro”. Quando il capro veniva allontanato dal campo, portava su di sé tutti i peccati del popolo, che non veniva più considerato colpevole. Questo era il rituale seguito “in quel che è figura e ombra delle cose celesti”. Ebrei 8:5.PP 295.2

    Come era stato stabilito, il santuario terreno fu costruito da Mosè sul modello che gli era stato mostrato sul monte. Esso era “una figura per il tempo attuale, conformemente alla quale s’offron doni e sacrifici”, e i suoi luoghi santi erano “cose raffiguranti quelle nei cieli”. Ebrei 9:9, 23. Il Cristo, il nostro grande Sommo Sacerdote, è “ministro del santuario e del vero tabernacolo, che il Signore, e non un uomo, ha eretto”. Ebrei 8:2.PP 295.3

    In una visione l’apostolo Giovanni vide il tempio di Dio in cielo “con sette lampade ardenti... davanti al trono”. Inoltre, egli vide un angelo che aveva “un turibolo d’oro; e gli furon dati molti profumi affinché li unisse alle preghiere di tutti i santi sull’altare d’oro che era davanti al trono”. Apocalisse 4:5; Apocalisse 8:3.PP 296.1

    Il profeta poté dunque contemplare il luogo santo del tabernacolo che è in cielo; in esso vide “sette lampade ardenti” e l’“altare d’oro”, che nel santuario terreno avevano il loro equivalente nel candelabro d’oro e nell’altare dei profumi. E ancora “il tempio di Dio che è nel cielo fu aperto” (Apocalisse 11:19) e il profeta vide al di là della cortina il luogo santissimo; qui contemplò “l’arca del suo patto” rappresentata dalla cassa fatta costruire da Mosè per contenere la legge di Dio.PP 296.2

    Mosè fece costruire il santuario terreno “secondo il modello che aveva veduto”. Atti 7:44. Paolo dichiara che “il tabernacolo e tutti gli arredi del culto”, una volta terminati erano “cose raffiguranti quelle nei cieli”. Ebrei 9:21, 23. Giovanni dice di aver visto il santuario in cielo, quel santuario in cui Gesù opera in nostra difesa, di cui il tabernacolo di Mosè è solo una copia.PP 296.3

    Nessuna costruzione umana può raggiungere lo splendore e la grandezza del tempio che è in cielo, la dimora del Re dei re, dove “mille migliaia lo servivano, e diecimila miriadi gli stavan davanti”. Daniele 7:10. Questo tempio riceve la sua luce dal glorioso trono eterno: perfino gli splendenti serafini devono coprirsi il volto in atto di adorazione. Le importanti verità riguardanti il santuario del cielo e la grande opera che vi si compie per la salvezza dell’uomo, furono insegnate attraverso il santuario terreno e il suo rituale.PP 296.4

    Il Salvatore iniziò la sua opera di Sommo Sacerdote subito dopo l’ascensione. L’apostolo Paolo dice: “Cristo non è entrato in un santuario fatto con mano, figura del vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora, al cospetto di Dio, per noi”. Ebrei 9:24. L’intervento del Cristo in favore dell’uomo doveva comprendere due fasi, a cui erano stati assegnati tempi precisi e luoghi distinti nel santuario del cielo. Nello stesso modo il rituale simbolico del tabernacolo terreno consisteva in due tipi di cerimonie, il servizio giornaliero e quello annuale, che si svolgevano in due diversi ambienti.PP 296.5

    Quando il Cristo ascese al cielo, era in presenza di Dio per intercedere con il suo sangue per i credenti pentiti; allo stesso modo il sacerdote, nel suo servizio quotidiano, aspergeva nel luogo santo il sangue del sacrificio in favore del peccatore.PP 296.6

    Il sacrificio del Cristo era dunque destinato a liberare il peccatore pentito dalla condanna della legge, ma non cancellava la colpa: essa sarebbe rimasta nel santuario fino all’espiazione finale. Così, nel servizio simbolico del santuario terreno il sangue dei sacrifici per il peccato allontanava la colpa dal penitente, ma questa rimaneva nel santuario fino al giorno dell’Espiazione.PP 297.1

    Nel giorno solenne del giudizio finale, i morti saranno giudicati “dalle cose scritte nei libri secondo le opere loro”. Apocalisse 20:12. Allora, grazie al sacrificio espiatorio del Cristo, i peccati di quanti si sono sinceramente pentiti saranno cancellati dai libri del cielo. Il santuario sarà così liberato, purificato dal ricordo del male. L’espiazione, ovvero la rimozione definitiva del peccato, era rappresentata nel tabernacolo terreno dal rituale del gran giorno dell’Espiazione. Così avveniva la purificazione del santuario terreno: il sangue delle vittime offerte dai peccatori pentiti allontanava da loro la contaminazione del male.PP 297.2

    Alla fine dei tempi, gli errori di quanti si saranno sinceramente pentiti verranno cancellati dai registri del cielo: essi non saranno più ricordati. Nello stesso modo, anche nella simbologia del servizio terreno le colpe venivano allontanate per sempre dal popolo, nel deserto.PP 297.3

    Satana è all’origine del peccato, è l’istigatore di tutti i peccati che hanno determinato la morte del Figlio di Dio: la giustizia esige quindi la sua punizione finale. L’opera del Cristo per la redenzione dell’uomo e la purificazione dell’universo dal male terminerà quando le colpe degli uomini saranno rimosse dal santuario del cielo e Satana le riceverà su di sé: allora egli subirà la condanna definitiva. Secondo uno schema simbolico parallelo, nel rituale mosaico l’anno religioso si concludeva con la purificazione del santuario e la confessione dei peccati sulla testa del capro.PP 297.4

    Nel servizio liturgico del tabernacolo, e più tardi in quello del tempio, il popolo imparava ogni giorno le grandi verità relative alla morte e al ministero del Cristo; una volta l’anno Israele assisteva alla rappresentazione di una profezia: la fine del gran conflitto tra il Cristo e Satana e la purificazione finale dell’universo dal peccato e dai peccatori.PP 297.5

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