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Patriarchi e profeti

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    Capitolo 19: Il ritorno di Giacobbe in Canaan

    Dopo aver attraversato il Giordano, Giacobbe “...arrivò sano e salvo alla città di Sichem, nel paese di Canaan...”. Genesi 33:18. La preghiera pronunciata a Bethel, nella quale il patriarca aveva chiesto a Dio di farlo ritornare in pace nel suo paese, era stata esaudita. Egli rimase in quel luogo per qualche tempo. Nella valle di Sichem Abramo, più di cento anni prima, aveva fissato il suo primo accampamento e costruito il primo altare a Dio nella terra promessa. Là Giacobbe “...comprò dai figliuoli di Hemor, padre di Sichem, per cento pezzi di danaro, la parte del campo dove avea piantato le sue tende. Ed eresse quivi un altare, e lo chiamò El-Elohè-Israel” (Genesi 33:19, 20), cioè “Dio è il Dio d’Israele”. Come Abramo, Giacobbe costruì vicino alla sua tenda un altare all’Eterno: la sua gente vi si riuniva, la mattina e la sera, per celebrare i sacrifici. In quello stesso posto scavò il pozzo al quale, dopo diciassette secoli, si sarebbe recato il Salvatore, il Figlio di Giacobbe. Mentre si riposava, sotto il sole cocente di mezzogiorno, il Messia avrebbe parlato ai suoi uditori stupiti della “...fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna”. Giovanni 4:14.PP 167.1

    Il soggiorno di Giacobbe e dei suoi figli a Sichem finì nella violenza e nel sangue. L’unica figlia del patriarca fu umiliata e disonorata. Per vendicare l’atto illegittimo di un giovane sconsiderato, due fratelli della ragazza commisero un assassinio e saccheggiarono un’intera città: l’episodio si concluse con una strage. A determinare conseguenze così drammatiche fu la figlia di Giacobbe, con un’azione apparentemente innocente. Ella, infatti, “uscì per vedere le figliuole del paese” (Genesi 34:1): si espose con molta leggerezza a un grande rischio, avventurandosi in una città abitata da persone corrotte. Chi cerca di divertirsi fra coloro che non rispettano Dio si pone sul terreno di Satana e spesso viene tentato.PP 167.2

    La perversa crudeltà della condotta di Simeone e Levi nei confronti degli abitanti di Sichem, benché fosse stata suscitata da una provocazione, costituì una grave colpa. Essi avevano accuratamente nascosto a Giacobbe le loro intenzioni e la notizia della loro vendetta lo riempì di orrore. Affranto per l’inganno e la violenza dei suoi figli, disse solamente: “...Voi mi date grande affanno, mettendomi in cattivo odore presso gli abitanti del paese... Ed io non ho che poca gente; essi si raduneranno contro di me e mi daranno addosso, e sarò distrutto: io con la mia casa”. Genesi 34:30. Ma la pena e l’orrore che Giacobbe provò per la loro azione sanguinosa affiorano soprattutto nelle parole con cui vi alluse quasi cinquant’anni dopo per descriverla, quando si trovò sul letto di morte. “Simeone e Levi sono fratelli” disse “le loro spade sono strumenti di violenza. Non entri l’anima mia nel loro consiglio segreto, non si unisca la mia gloria alla loro raunanza!... Maledetta l’ira loro, perché è stata violenta, e il loro furore perché è stato crudele...”. Genesi 49:5-7.PP 167.3

    Il carattere di quei due figli era chiaramente crudele e falso e ciò rappresentava per Giacobbe un motivo di grande umiliazione. Ma egli aveva anche altre preoccupazioni. Nell’accampamento, alcuni si dedicavano al culto degli idoli, che si stava diffondendo anche nella sua famiglia. Se il Signore li avesse trattati in base ai loro meriti, non li avrebbe forse abbandonati alla violenza delle nazioni vicine? In quel momento di grande sofferenza, il Signore guidò Giacobbe affinché si dirigesse verso sud, a Bethel. Pensando a questo posto, il patriarca ricordò la visione degli angeli e le promesse della misericordia divina, ma soprattutto il patto con cui aveva accettato il Signore come suo Dio. Decise che prima di raggiungere quel luogo sacro la sua famiglia doveva purificarsi dalla contaminazione causata dall’idolatria. Giacobbe diede quindi queste direttive a tutto l’accampamento: “...Togliete gli dèi stranieri che sono fra voi, purificatevi, e cambiatevi i vestiti; e leviamoci, andiamo a Bethel, ed io farò quivi un altare all’Iddio che mi esaudì nel giorno della mia angoscia, e ch’è stato con me nel viaggio che ho fatto”. Genesi 35:2, 3.PP 168.1

    Profondamente commosso, Giacobbe raccontò la storia della sua prima visita a Bethel, la fuga solitaria dalla tenda di suo padre nel tentativo di salvare la propria vita e l’apparizione del Signore nella visione notturna. Mentre ricordava in quale modo meraviglioso il Signore era intervenuto in suo favore, sentì il suo cuore alleggerirsi e i suoi figli furono colpiti da un influsso che li conquistò. Le sue parole ebbero un potere straordinario e riuscirono a far ritrovare l’unità alla sua famiglia, intorno all’altare di Dio a Bethel. “Ed essi dettero a Giacobbe tutti gli dèi stranieri ch’erano nelle loro mani e gli anelli che avevano agli orecchi; e Giacobbe li nascose sotto la quercia ch’è presso a Sichem”. Genesi 35:4. Dio fece in modo che la paura impedisse agli abitanti di quella zona di concretizzare qualsiasi tentativo di vendetta per la strage di Sichem. Così, il gruppo di Giacobbe raggiunse Bethel del tutto indisturbato. Qui il Signore apparve a Giacobbe e rinnovò il suo patto con lui. “E Giacobbe eresse un monumento di pietra nel luogo dove Dio gli aveva parlato...”. Genesi 35:14.PP 168.2

    A Bethel Giacobbe dovette assistere alla morte della nutrice di Rebecca, Debora, da lungo tempo membro onorato della famiglia di suo padre. La donna aveva accompagnato la sua padrona dalla Mesopotamia alla terra di Canaan. La presenza di questa donna anziana era stata per Giacobbe un conforto prezioso, perché gli ricordava la sua gioventù e soprattutto la madre, che lo aveva amato così teneramente. La sepoltura di Debora fu talmente triste che la quercia sotto la quale ella fu posta, fu chiamata “quercia del pianto”. Il lutto per questa serva, che aveva dedicato la sua vita a un servizio fedele, non sarebbe stato dimenticato. Esso infatti è stato considerato degno di memoria nella Parola di Dio.PP 169.1

    Stavano per raggiungere Hebron, distante due giorni di viaggio da Bethel, quando Giacobbe fu colpito da un altro immenso dolore: la morte di Rachele. Per averla in moglie aveva lavorato per quattordici anni: l’amore che nutriva per lei era così profondo che in quel periodo ogni fatica gli sembrò leggera. Quel sentimento si mantenne vivo in Giacobbe ancora per molti anni, dopo la morte di Rachele. Quando in Egitto ricevette, prima di morire, la visita del figlio Giuseppe, ripercorse la sua vita e disse: “Quanto a me, allorché tornavo da Paddan, Rachele morì presso di me, nel paese di Canaan, durante il viaggio, a qualche distanza da Efrata; e la seppellii quivi, sulla via di Efrata...”. Genesi 48:7. Nel racconto della storia della sua famiglia e della sua vita lunga e tormentata, quella perdita fu l’unica a essere ricordata.PP 169.2

    Prima di morire Rachele aveva dato alla luce un secondo figlio, che aveva chiamato Ben-Oni, “figlio del mio dolore”. Suo padre invece lo chiamò Beniamino, “figlio della destra” o anche “mia forza”. Rachele fu sepolta nello stesso luogo in cui morì, e in quello stesso punto fu eretto un monumento in suo ricordo.PP 169.3

    Sulla via di Efrata un altro grave crimine macchiò la famiglia di Giacobbe. A causa di esso Ruben, il figlio maggiore, fu privato dei privilegi e degli onori del diritto di primogenitura. Alla fine, il viaggio di Giacobbe terminò, “...venne da Isacco suo padre a Mamre... cioè Hebron, dove Abrahamo e Isacco aveano soggiornato”. Genesi 35:27. Egli rimase lì fino alla morte del vecchio padre. In quegli anni di solitudine e di lutto, le gentili attenzioni del figlio furono un conforto per Isacco, infermo e cieco, dopo il lungo periodo di separazione.PP 169.4

    Giacobbe ed Esaù si riunirono ancora una volta davanti al letto di morte del padre. In passato il fratello maggiore aveva pensato a questo momento come all’occasione adatta per vendicarsi, ma ora i suoi sentimenti erano molto cambiati. Giacobbe, soddisfatto delle benedizioni spirituali del diritto di primogenitura, lasciò al fratello l’eredità dei beni del padre, l’unica cosa che Esaù ricercava e considerava importante. Nonostante non fossero più divisi dalla gelosia e dall’odio i due si separarono ed Esaù si diresse verso la montagna di Seir. Dio, così pronto a benedire, aveva concesso a Giacobbe ricchezze materiali, in aggiunta ai benefici spirituali che egli aveva desiderato. I possedimenti dei due fratelli “...erano troppo grandi perch’essi potessero dimorare assieme; e il paese nel quale soggiornavano non era loro sufficiente a motivo del loro bestiame”. Genesi 36:7. Questa separazione rientrava nel piano di Dio per Giacobbe. Dal momento che i due fratelli avevano una fede religiosa così diversa, era meglio per loro vivere lontani.PP 169.5

    Sia Esaù sia Giacobbe erano stati educati al rispetto di Dio; entrambi erano stati lasciati liberi di seguire i suoi comandamenti e di godere della benevolenza. Tuttavia, le loro scelte erano state diverse: avevano seguito due percorsi che li avrebbero allontanati sempre di più.PP 170.1

    Dio non aveva agito in modo arbitrario, non aveva negato le benedizioni della salvezza a Esaù. Il dono della grazia, offerto attraverso il Cristo, è accessibile a tutti. Nessuno è predestinato: solo in seguito a una scelta personale è possibile esserne esclusi. Il Signore ha presentato nella sua Parola le condizioni in base alle quali ogni essere umano può ottenere la vita eterna: l’ubbidienza ai comandamenti attraverso la fede nel Cristo. La condizione per essere scelti da Dio è avere un carattere in armonia con la sua legge. Chiunque si adeguerà alle richieste divine potrà entrare nel Regno della gloria. Il Cristo stesso disse: “Chi crede nel Figliuolo ha la vita eterna; ma chi rifiuta di credere al Figliuolo non vedrà la vita...”. Giovanni 3:36. “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è ne’ cieli”. Matteo 7:21. Inoltre, nell’Apocalisse, dichiara: “Beati coloro che mettono in opera i comandamenti d’esso, acciocché abbiano ragione nell’albero della vita, ed entrino per le porte nella città”. Apocalisse 22:14, Diodati. L’unica possibilità di salvezza per l’uomo è descritta nella Parola di Dio.PP 170.2

    Infatti, sarà salvato ogni individuo che si impegnerà per liberarsi dal male, cosciente dell’autorità di Dio e del rispetto che gli è dovuto. Egli dovrà imparare a usare le armi che Dio offre a ogni cristiano che lotta per esercitare la fede. Verrà scelto chi preserverà la propria salvezza tramite la preghiera, studiando le Scritture ed evitando la tentazione; colui che conserverà con costanza la fede e ubbidirà a ogni parola pronunciata da Dio. I mezzi per ottenere la redenzione sono accessibili a tutti, ma solo coloro che adempiono a queste condizioni saranno salvati.PP 170.3

    Esaù aveva disprezzato le benedizioni del patto, considerando i beni temporali superiori a quelli spirituali: il suo desiderio era stato soddisfatto. Si era separato dal popolo di Dio con una decisione liberamente espressa. Giacobbe aveva scelto invece l’eredità della fede, benché inizialmente avesse cercato di ottenerla con l’astuzia, il tradimento e l’inganno. Dio aveva permesso che quell’errore producesse in lui una conversione. Nonostante l’amara esperienza vissuta in giovinezza, Giacobbe non abbandonò mai questo suo proposito, né rinunciò alla sua scelta. Comprese che nel ricorrere all’abilità e agli espedienti umani per assicurarsi la benedizione, egli si era opposto a Dio. Dopo quella notte di lotta, vicino allo Iabbok, Giacobbe diventò un altro uomo. La fiducia che riponeva in se stesso era stata sradicata, la tendenza all’inganno, che in precedenza lo aveva caratterizzato, scomparve. La sua condotta non fu più dominata dalla malizia e dalla menzogna, ma dalla semplicità e dalla franchezza. Aveva imparato ad affidarsi a colui che è onnipotente: nelle prove e nelle sofferenze, con umiltà e sottomissione, egli si piegava alla volontà di Dio. Gli aspetti più negativi del suo carattere furono eliminati, come se fossero passati attraverso una fornace ardente, per farne uscire l’oro più puro, e in Giacobbe apparve in tutta la sua forza la fede di Abramo e di Isacco.PP 171.1

    L’errore di Giacobbe e le relative conseguenze non mancarono di esercitare un influsso negativo, che si rivelò soprattutto nella vita e nel carattere dei suoi figli. Essi infatti, una volta diventati adulti, si resero responsabili di gravi azioni. Le conseguenze negative della poligamia si rivelarono evidenti nei discendenti di Giacobbe. Questo è infatti un male terribile, che tende a soffocare l’amore sin dalla sua nascita, indebolendo i vincoli più sacri. La gelosia delle varie madri aveva reso penosa la vita familiare. I figli crescevano con uno spirito di ostilità reciproca ed erano insofferenti all’autorità familiare. La vita del patriarca era stata resa amara dalla preoccupazione e dal dolore.PP 171.2

    Uno dei suoi figli, tuttavia, aveva un carattere molto diverso. Era Giuseppe, il figlio maggiore di Rachele, la cui eccezionale bellezza fisica sembrava rispecchiare le sue straordinarie doti morali e affettive. Attivo, allegro, sincero, il ragazzo aveva dimostrato fermezza e serietà morale notevoli. Seguiva gli insegnamenti del padre e amava ubbidire a Dio. Le qualità che avrebbero contraddistinto la sua condotta in Egitto — gentilezza, lealtà e sincerità — si evidenziavano già ora, nella sua vita quotidiana. Dopo la morte di sua madre, provò un profondo affetto per il padre: Giacobbe si affezionò moltissimo a questo figlio. Egli “...amava Giuseppe più di tutti gli altri suoi figliuoli...”. Genesi 37:3.PP 171.3

    Ma anche questo affetto doveva diventare causa di preoccupazioni e sofferenze. Giacobbe manifestò in modo evidente la sua predilezione per Giuseppe e questa suo comportamento imprudente suscitò la gelosia degli altri figli. Quando Giuseppe si rese conto dell’atteggiamento negativo dei fratelli nei suoi confronti, ne rimase molto turbato. Cercò di protestare, seppure con gentilezza. L’unico risultato fu che il loro odio e il loro risentimento aumentarono. Egli non poteva sopportare di vederli peccare nei confronti di Dio e presentò la questione a suo padre. Sperava che con la sua autorità potesse indurli a cambiare atteggiamento.PP 172.1

    Giacobbe evitò con discrezione di suscitare in loro il risentimento, adottando un atteggiamento duro e severo. Con profonda commozione, espresse il suo affetto per i figli, implorandoli di avere rispetto per la sua età avanzata e di non provocare la vergogna del suo nome. Egli li pregò soprattutto di non disonorare Dio, trasgredendo i suoi insegnamenti. Confusi per essere stati scoperti nei loro sentimenti malvagi, sembrò che si fossero pentiti, ma in realtà nascondevano la loro vera tendenza, che quell’intervento contribuì a inasprire.PP 172.2

    Incautamente, Giacobbe donò al figlio prediletto una ricca veste, che a quel tempo era un segno di privilegi e distinzione. Ciò apparve agli occhi dei suoi figli come un’altra manifestazione di preferenza e fece nascere in loro il sospetto che egli intendesse dare il diritto della primogenitura al figlio di Rachele. La cattiveria dei fratelli crebbe ulteriormente quando il ragazzo raccontò loro un sogno che aveva fatto. “Noi stavamo legando dei covoni in mezzo ai campi” disse “quand’ecco che il mio covone si levò su e si tenne ritto; ed ecco i covoni vostri farsi d’intorno al mio covone, e inchinarglisi dinanzi... Dovrai tu dunque regnare su di noi? O dominarci?...” (Genesi 37:7, 8) esclamarono i fratelli con animosità.PP 172.3

    Dopo qualche tempo, Giuseppe ebbe un altro sogno, che aveva lo stesso significato, e lo raccontò così: “...Ed ecco che il sole, la luna e undici stelle mi s’inchinavano dinanzi”. Genesi 37:9.PP 172.4

    Anche questo sogno fu facilmente frainteso, come era successo per il primo. Il padre, questa volta presente, lo rimproverò: “...Che significa questo sogno che hai avuto?” disse “Dovremo dunque io e tua madre e i tuoi fratelli venir proprio a inchinarci davanti a te fino a terra?” Genesi 37:10. Nonostante l’apparente severità delle sue parole, Giacobbe credeva realmente che il Signore stesse rivelando il futuro a Giuseppe.PP 172.5

    Mentre il ragazzo si rivolgeva ai fratelli, il suo bel volto era illuminato dallo Spirito che lo ispirava. Essi non poterono fare a meno di ammirarlo; non rinunciarono comunque ai loro progetti perversi e odiarono Giuseppe per la sua onestà, che costituiva un costante rimprovero per le loro colpe. Nel cuore di quei giovani stava sorgendo lo stesso sentimento che aveva animato Caino.PP 172.6

    I fratelli erano spesso costretti ad allontanarsi da casa per mesi, alla ricerca di pascoli per il gregge. Dopo i fatti narrati, si recarono nella proprietà che Giacobbe aveva acquistato a Sichem. Passò qualche tempo senza che arrivassero loro notizie e il vecchio padre cominciò a temere per loro, perché si ricordava della strage che avevano compiuto in quei luoghi. Egli decise quindi di inviare Giuseppe a cercarli. Se Giacobbe avesse conosciuto i veri sentimenti dei suoi figli, da loro abilmente dissimulati, non si sarebbe fidato di mandarlo da solo.PP 173.1

    Giuseppe iniziò il suo viaggio serenamente: né lui né il vecchio padre immaginavano tutto ciò che sarebbe accaduto, prima che si potessero incontrare nuovamente. Quando, dopo un viaggio lungo e solitario, Giuseppe arrivò a Sichem, non trovò né i fratelli né il gregge. Domandò di loro e gli dissero di andare verso Dotan. Aveva viaggiato per più di ottanta chilometri e ora doveva percorrerne altri ventiquattro. Ma Giuseppe dimenticò la stanchezza: sospinto dal desiderio di portare buone notizie al padre in ansia, si affrettò a raggiungere i fratelli, per i quali, nonostante il loro atteggiamento ostile, nutriva ancora affetto.PP 173.2

    Essi lo videro in lontananza ma non si preoccuparono del lungo viaggio che aveva affrontato per incontrarli né del fatto che fosse stanco e affamato, né dei comuni doveri dell’ospitalità o dell’amore fraterno; nulla valse ad attenuare l’amarezza del loro rancore. Vedendo la sua tunica, segno della predilezione paterna, persero il controllo e gridarono ironicamente: “...Ecco cotesto sognatore che viene!” Genesi 37:19. L’invidia e lo spirito di vendetta, a lungo coltivati, ebbero il sopravvento. “Uccidiamolo” dissero “e gettiamolo in una di queste cisterne; diremo poi che una mala bestia l’ha divorato, e vedremo che ne sarà, de’ suoi sogni”. Genesi 37:20.PP 173.3

    Se non fosse stato per Ruben, essi avrebbero attuato il loro piano. Egli non osò partecipare all’assassinio di suo fratello e propose che Giuseppe venisse abbandonato alla morte, chiuso in una cisterna. In realtà, voleva liberarlo e restituirlo al padre. Dopo aver convinto tutti i fratelli ad accettare il suo piano Ruben si allontanò, perché temeva che scoprissero i suoi sentimenti e le sue vere intenzioni.PP 173.4

    Giuseppe arrivò, ignaro del pericolo e felice di averli raggiunti dopo una lunga ricerca. Invece dell’atteso saluto, incontrò gli sguardi terribili dei fratelli, pieni di rancore e di vendetta. Fu afferrato, la sua tunica venne strappata. Con insulti e minacce gli rivelarono la loro decisione di ucciderlo. Nessuna delle sue suppliche fu ascoltata: era completamente in balia di quegli uomini impazziti. Lo trascinarono con violenza vicino a una profonda cisterna e lo gettarono dentro. Dopo essersi assicurati che non avesse nessuna possibilità di fuga, lo abbandonarono per farlo morire di fame. “Poi si misero a sedere per prender cibo...”. Genesi 37:25.PP 173.5

    Alcuni di loro si sentivano a disagio; non avvertivano la soddisfazione che si erano aspettati da quella vendetta. Si stava avvicinando un gruppo di viaggiatori, una carovana di ismaeliti che veniva da oltre il Giordano e portava in Egitto spezie e altre mercanzie. Giuda propose di vendere il fratello a quei mercanti stranieri, piuttosto che lasciarlo morire. In questo modo lo avrebbero eliminato senza macchiarsi del suo sangue. “...Che guadagneremo” insistette “a uccidere il nostro fratello e a nascondere il suo sangue?” Genesi 37:26. Tutti furono d’accordo e Giuseppe fu rapidamente tirato fuori dalla cisterna.PP 174.1

    Quando egli vide i mercanti comprese subito il terribile piano. Sarebbe stato meglio morire che diventare schiavo; terrorizzato e angosciato lanciò un appello ai suoi fratelli. Tutto fu inutile. Alcuni si impietosirono, ma temendo di essere derisi tacquero. Sapevano di essersi ormai spinti troppo oltre per poter tornare indietro. Infatti, se Giuseppe fosse stato risparmiato, avrebbe raccontato al padre tutto quello che era successo ed egli non avrebbe tollerato la loro crudeltà nei confronti del figlio prediletto. Si sforzarono di rimanere insensibili alle suppliche e lo abbandonarono nelle mani degli ismaeliti. La carovana partì e presto scomparve oltre l’orizzonte.PP 174.2

    Ruben tornò alla cisterna, ma non vi trovò più Giuseppe. Allarmato, rimproverò se stesso e si stracciò le vesti. Raggiunti i fratelli esclamò: “...Il fanciullo non c’è più; e io, dove andrò io?” Genesi 37:30. Informato della sorte di Giuseppe, sapendo che sarebbe stato impossibile farlo ritornare indietro, Ruben fu indotto a unirsi agli altri fratelli per nascondere la loro colpa. Uccisero un capretto e macchiarono con il suo sangue la tunica di Giuseppe; quindi, la portarono al padre. Gli raccontarono di averla trovata nei campi e di aver temuto che si trattasse di quella del loro fratello. “...Vedi tu” gli dissero “se sia quella del tuo figliuolo, o no”. Genesi 37:32. Avevano avuto molta paura di portargli quella notizia. Tuttavia, non erano preparati a una scena così dolorosa, all’immensa sofferenza a cui dovettero assistere. “... È la veste del mio figliuolo” disse Giacobbe “una mala bestia l’ha divorato; per certo, Giuseppe è stato sbranato”. Genesi 37:33. Invano i figli tentarono di consolarlo. Egli “...si stracciò le vesti... e fece cordoglio del suo figliuolo per molti giorni”. Genesi 37:34. Il tempo non alleviò il suo dolore. “...Io scenderò, facendo cordoglio del mio figliuolo, nel soggiorno de’ morti...” (Genesi 37:35), fu il suo grido disperato. Terrorizzati dall’azione compiuta, quei giovani, temendo i rimproveri del padre, continuarono a nascondere un crimine che perfino a loro sembrava terribile.PP 174.3

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